Un viaggio lungo la vita,
quello di Sergio Zavoli, che nel narrare la sua avventura personale ed
esistenziale coglie a 360° tutto il panorama attuale della nostra epoca:
ribelle, fatua, dedita all’utile, all’interesse, contraddittoria, votata
all’automazione visionaria di un vivere ai margini della vita stessa, non più
all’interno, non da protagonisti, ma da controfigure di noi stessi.
Il nostro periodo storico
riflette molte mancanze, dà segnali di uno scenario disabitato dalle coscienze,
dalle emozioni, dai sussulti intimi.
Tutto è dilacerato e
mercificato, ustionato, reso inagibile da una sorta di ridimensionamento
frustrante, passivo, azionato da conflitti e da contraddizioni ineludibili, che
spesso cancellano ogni traccia di umanità, di intelligenza e di bellezza.
Il mondo è in subbuglio, ma è
un disorientamento, uno smarrimento da perdita di contatti reali, da amnesia,
da abuso di stravaganze.
Il tempo dell’informatica,
dei canali satellitari, dell’usa e getta, del superfluo, si è rivelato un
“mostro” raccapricciante che ingoia i suoi cultori.
Camuffato da necessità vi è
il “nulla”. La vita non è più irrorata da bellezza, da verità, dal sogno, ma è
azionata da una sorta di idrovora che disattiva ogni ragione di “normalità”
intesa come raziocinante. Tutto è eccesso, esaltazione dell’ego che dà e, in
contemporanea, nega ogni sorta di bene.
“Una contraddizione in
termini”, quasi letale, ha invaso le vie della nostra spiritualità, le
condizioni morali più qualitative dell’uomo, quelle che portano all’intelletto
e al cuore.
Così, l’amarcord di Sergio
Zavoli è una riflessione mirata alla comparazione tra due mondi opposti che
appaiono due "epoche", ma invece si riferiscono a “ieri”. La vita
quotidiana, gli stili, le consuetudini, i sentimenti, tutti annullati nel breve
volgere di una generazione, la “sua”: uno scempio di ciò che eravamo e quel che
“siamo”.
Paradossale la distanza tra i
due “modus”, perché risente di una nostalgia contenuta che riprende l’assenza
quasi totale dell’emozione.
Un primo attacco ci viene dal
razionalismo “ante litteram” del secolo scorso nel quale i valori venivano
messi da parte, per dar spazio alla concezione nietzschiana del super-io. Una
forte tendenza a porre in evidenza l’ego al posto del plurale “noi”.
“Il ragazzo che io fui” è
un’opera che dovrebbe essere adottata nelle scuole.
Ha il tono didattico, non
accademico né sentenziale, senza indottrinamento, scritta sul filo della
continuità logica, si avverte il senso dell’umanità ferita e dolorante, la
quale può mutare col “ravvedimento” il destino delle cose e del mondo.
Pensare con l’obiettivo
dell”utile” è stato il modo meno ontologico e più irresponsabile di vivere.
Perciò, Zavoli vi affonda a piene mani e ci dà il responso
del suo parere, che nel riflettere il senso del disordine morale e sociale ai
quali siamo giunti, ci indica una via di riscatto, un ripensamento, forse una
salvezza “possibile”.
"Il ragazzo che io fui", di
Sergio Zavoli, Mondadori, 2011
Ninnj Di Stefano Busà
Un libro interessante come quello di Zavoli non poteva avere recensore migliore che Ninnj Di Stefano Busà, un critico eccellente per uno scrittore di alto livello...
RispondiEliminaAverne tanti di critici aurorevoli e preparati come Ninnj...
RispondiEliminaHo letto il libro di Sergio Zavoli, l'ho trovato piacevole e interessante; riflette e riprende episodi di vita, incontri, occasioni non solo personali ma della società di oggi, allineata e imbarbarita da troppi avvenimenti di natura decadente, travolta da troppe evasioni, inadempienze, assenze e devastazioni di carattere, sociale, culturale, economico e strumentale. Complessivamente un bel libro da leggere...
RispondiEliminaottimo libro e ottima critica. Il volume è di quelli che si leggono con interesse e piacere. Il giudizio critico è tra quelli che meglio rispecchiano la validità del romanzo.
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