È sempre
un viaggio interessante, quello che si compie attraversando il mondo poetico di
Mario Fresa, un poeta che certamente si distacca molto, per certe sue
caratteristiche originali di scrittura poetica, dall’usuale seppur interessante
e valido assieme di protagonisti che vivono, attuano e frequentano gli ambiti
letterari di questo primo scorcio di secolo. Si tratta certamente di una voce
autorevole, forse non molto presente sui “social”, ma seria, competente e anche
prolifica, sia nella produzione di proprie opere letterarie, sia attraverso la
cura e la gestione di alcuni blog specifici, di alto livello culturale (come ad
esempio “Il Re pescatore”). Le sue competenze letterarie spaziano infatti dalla
scrittura poetica alla traduzione di testi latini e francesi, alla critica
letteraria attenta e affinata. Insomma, un poeta militante, come suol dirsi, ma
con una “militanza” attiva ed esemplare, che è in grado di produrre ottime
opere ma anche di provocare nel lettore una sorta di “scossone” intellettivo
(ed anche emozionale) che lo induca a meditare e riflettere in profondità,
partendo dal contenuto, dalla forma e dalla efficacia dei testi ideati e
scritti dal nostro autore. Perché, in fondo, la Poesia deve proprio far questo,
altrimenti i versi scivolerebbero sulla superficie della nostra pelle senza
produrre alcun effetto valido, senza “penetrare” nell’anima, senza mettere “in
crisi” il lettore, crisi che dovrebbe poi coinvolgere la sfera intellettiva ed
emozionale del lettore, aprendogli nuovi orizzonti, proponendogli nuove
domande, nuove possibilità e tanto altro…
Di
certo Mario Fresa appartiene a questa schiera di letterati e poeti che lasciano
una traccia profonda e significativa nel lettore, prova ne è la copiosa
produzione poetica fin qui realizzata, ed ancor di più questo recente volumetto
dal titolo davvero emblematico: Bestia divina.
Con Bestia
divina entriamo subito, a mio avviso, in un mondo fortemente
ossimorico, che inizia già dal titolo, dove il sostantivo bestia è aggettivato con la parola divina, chiaramente, o forse anche in modo latente, in contrasto
tra di loro. Ma questa è una interessante prerogativa del nostro autore, che
predilige gli estremi sia nelle narrazioni e sia nelle figurazioni; versi come
“Avete visto com’è spettro e bicchiere,
questo corpo?” (pag. 34), o anche: “Vivendo,
ci si rovescia per terra. Angiola / sta legata per terra – ha detto; … “
(pag. 52), denotano infatti un vistoso e interessante ampliamento del
significato complessivo, da una sorta di “polo” positivo, ad un altro che non è
inferiore, negativo, meno importante, ma certamente opposto.
Del
resto anche l’ottimo prefatore Andrea Corona, afferma che Mario Fresa ha l’”esigenza di andare oltre la superficie del
testo, a tener conto dei gangli che tengono unita la testura nel suo complesso”.
Questo allargamento, o meglio slargamento, del dire poetico produce un mosaico
di figurazioni addirittura tridimensionale, in quanto i vari tasselli non solo
si incastrano l’uno con l’altro sul piano discorsivo, ma si sovrappongono,
elevandosi l’uno sull’altro senza peraltro occultare o trascurare il
sottostante.
Il
risultato di questa operazione è piuttosto evidente: Mario Fresa, in Bestia
divina, dilunga, sovrapponendo parzialmente i termini e le parole, la
sintassi della proposizione nel verso, spiazzando il lettore in un modo
inaspettato e inconsueto, come qui ad esempio: “Si dimostra d’accordo quando gli viene / dato un insistente cinema
odore.” (Il marito condimento,
pag. 22), dove già si nota quella scorciatoia cinema-odore, o anche, nello stesso titolo del brano, marito-condimento, che integra due
sostantivi con l’effetto di ampliare, elevare, con soltanto due parole, un
concetto, uno stato, una figurazione, a livelli superiori, che raccordano in
qualche modo due estremità di significato diverso (cinema, odore. Marito,
condimento).
Per
tutto questo, per l’originalità del dettato, per la forma stilistica (notevole
l’utilizzo dell’enjambement), per la scrittura in versi e per alcuni brani in
prosa poetica, Bestia divina di Mario Fresa si colloca tra i migliori testi
poetici dell’attuale produzione nazionale.
Il
libro meriterebbe ulteriori considerazioni, ma lasciamo ai nostri lettori il
gradevole compito di aggiungere riflessioni e commenti, dopo aver letto il
libro o anche i pochi versi che qui riportiamo.
Sparirà
Dice
che usciamo insieme, carnivori e infelici:
così
ci scontano gli anni a metà.
Siamo
lo sguardo e il pescecane.
“Questa
morte mi è costata sette chili.
Per
respirare, dunque, lo consolo; la lascia un po’
di
giorni dietro di noi, e clic.
Poi,
di sicuro, sparirà.
***
Il
marito condimento
Si
dimostra d’accordo quando gli viene
dato
un insistente cinema odore.
Non
si può lasciarla andare ma
la
vede precipitarsi, a dir poco,
in
un sonno macellaio.
Chi
l’ha capito? Si aprono i congiuntivi della testa,
sì
da farmi cadere nella fretta somiglianza.
I
piedi uguali al resto. Albicocche e pagelle.
Anzi
un solo compenso pediatra,
come
il mostro di un corpo vivo
che
ha perduto la speranza di restare…
Allora,
non entrò. Né vide spina mortale ma
un
architetto dalla solita bocca più che longeva,
né
mangiare né facchino;
e
Agnese è colma di sale e fa un incendio
di
severità. Ma quanto terrore sta
nel
tuo infinito corpo-trasloco?
***
Disertore
Noi
stiamo con un ultimo ferito che sta intero
e
che gli viene addosso: vero soldato
pronto
a morire per una lingua che non passa
più
mercato; e se ritorna, c’è una pesante corte
delle
imprese che a suo modo
cerca
di vivere, lo guarda a lungo
e
poi gli chiede: che guerra è questa, se in effetti
proviene
dalle gambe che diventano,
come
per sbaglio, niente?
Che
fa questo regalo da testa lavatrice?
Soldato
che diventa puro crollare,
colla
di ballerina; una sonora mente
di
balbuzie!
***
Nella
casa
L’amica
del vento magro si chiama
con
due nomi di silenzio; un po’ fune
(domani
le avrei detto: giusto un po’ meno)
e,
per esempio, il colmo del destino.
Ed è
per questo che lei delira di anarchia.
La
fissa dolce con gli ultimi, sottili rotoli
notturni
sopra di sé; e sta bene sulle ossa
che
si credono, quasi, un miracolo
di
carne. Appena entrati nella testa delle parole
siamo
mercurio, intimità.
***
Parole
della morte a sua madre
Vivendo,
ci si rovescia per terra. Angiola
sta
legata per terra – ha detto; è pronta almeno
quanto
una testa impazzita a causa
dei
ricordi. Di nuovo, poi, l’azzurro esortativo.
Diventiamo
una balbuzie mondiale.
Che
fare allora, di questi verbi? Il nome c’è,
così
allarmato da venirgli addosso. Ma credo proprio
che
sia di un altro.
Uno
straccio, le ripeto,
dipinto
per sventura. Il salto dal balcone.
(Testi
tratti da “Bestia divina”, di Mario Fresa, La scuola di Pitagora Editrice,
Napoli, 2020; prefazione di Andrea Corona).
Mario
Fresa è nato a Salerno nel 1973. Tra i suoi libri di poesia: Uno stupore quieto
(Stampa2009, con prefazione di Maurizio Cucchi, 2012; menzione speciale al
Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); Svenimenti a distanza (Il
Melangolo, 2018, con una riflessione critica di Eugenio Lucrezi; Premio
Internazionale Cumani Quasimodo). Ha tradotto poeti latini e francesi e ha
collaborato a “Paragone”, “Caffè Michelangiolo”, “Il verri”, “Nuovi Argomenti”,
la “Revue des Archers”, “L’Almanacco dello Specchio”, “Recours au Poème”,
“Nazione Indiana” e “Poesia”.
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