martedì 27 aprile 2021

L'immediatezza poetica di Stefano Tarquini

Da Roma, la voce di un poeta che ha molto amato e seguito la beat generation, giungendo anche ad entrare nel meraviglioso mondo della musica con la realizzazione di alcuni lavori discografici. Si tratta di Stefano Tarquini, del quale qui di seguito proponiamo alcuni testi poetici. Risalta evidente in questi versi la freschezza e l’immediatezza del suo dire poetico, un discorso privo di inutili sovrastrutture e lunghi giri di parole. Un canto incentrato sull’essenzialità del quotidiano, anche nell’ambito amoroso-sentimentale.


Fantasmi


È solo un sogno che non hai finito,
lungo una carreggiata che ti porta altrove
dove i pensieri non rimangono,
premono come fantasmi sulle tempie.

E ti fai spazio tra i vestiti della sera prima,
camminando tra le fiamme senza far rumore.

Non voglio svegliarti.
Il mio sogno diventerà il tuo.

***

Il sangue di domani

Con un sorriso idiota
affronteremo le altezze,
accartocciando pensieri ad uno ad uno.

E come mani in tasca,
fogli infreddoliti di giornale
soffieranno via,
il sangue di domani.


***

La rivincita dei vivi

Quando il giorno nasce appena
e ingoi come un brivido la notte,
un soffio di vento ti spalanca il petto,
un istante ti colora.

Ha lo stesso sapore della sconfitta
la rivincita dei vivi.


***

La stagione della caccia

Penserò a te,
avvolta in un timido vestito a fiori
che ti copre le gambe,
mentre passi un po' di terra sulle guance
viola scuro sulle labbra.

Mentre finisci il tuo Campari
lasciando il rossetto sul bicchiere
e due gocce di pioggia sotto gli occhi grandi.

Penserò a te,
mentre un vortice di pensieri e parole mi scoppia in testa,
sdraiato sull’erba bagnata dei venerdì notte
in cui hai avuto paura.

Penserò a me,
che proprio oggi che apre la stagione della caccia,
ho deciso di sbattere forte le ali
come un cormorano!


***

Letargo

Corridoi freddi più di prima.
Devi accendere la luce per vederne la fine.

Serrande abbassate.
Finestre serrate sui primi schizzi di luce del giorno
che tarda ad arrivare.
Porte socchiuse e sbattute senza rumore
su quello che era vero.

Mi specchio dentro pezzi di vetro che non riflettono.
Cerco una risposta oltre me.
Mi accontento dei riflessi.

Stanze vuote come strade vuote.
Mani vuote come occhi chiusi.

Ma oggi tutto è fermo.
Gli oggi che corrono a nascondersi dietro le maschere di domani.
Quei sorrisi dopotutto. Quei sorrisi appiccicati alla faccia,
perdono pian piano il colore primo
e riportano a noi.
A come siamo in mezzo al mondo.
Al mondo come era.

Cosa vedi oltre la porta?
Un uomo debole.
Una donna di lana.
Un paese in letargo.

Un mucchio di parole sbagliate che prendono fuoco.

***

Stefano Tarquini nasce a Roma nel Giugno del 1978.
Completati gli studi classici, si avvicina fin da subito alla poesia rimanendo completamente affascinato dalla beat generation e dal primo libro che legge senza condizionamenti esterni: “On the road” di Jack Kerouac. Conosce Ferlinghetti a Firenze. Scopre Bukowski.
Nella prima fase della sua scrittura pubblica su tantissimi blog di settore, riviste online e cartacee. Partecipa attivamente a manifestazioni poetiche, concorsi, laboratori di scrittura creativa.
Comincia a lavorare nel 2000. Si sposa e le nasce una figlia. Smette momentaneamente di scrivere per dedicarsi ad un’altra sua grande passione: la musica.
Incide cinque dischi con un gruppo crossover romano, i Palkosceniko al Neon, con cui colleziona più di 300 live in giro per l’Italia e l’Europa.
Nel tempo libero fa sport ed è amante della montagna e della buona cucina. Negli ultimi due anni ha ricominciato a scrivere.

venerdì 23 aprile 2021

Il "Silenzio eloquente" nelle poesie di Antonella Fusco

L’evanescenza è una caratteristica particolarmente insidiosa se viene utilizzata nel dettato poetico, in quanto il testo che ne è intriso potrebbe facilmente evolvere verso orizzonti di insignificanze o al limite di ovvietà: la poesia sfuma e si degrada, perde la sua efficacia, la sua potenzialità e la sua perentorietà espressiva, diviene una filigrana insensibile, si perde nella confusione di nebbie e ghirigori inconsistenti. Insidia, dunque, da trattare con consapevolezza e con coraggio. E soprattutto con competenza letteraria.
Antonella Fusco, in Silenzio eloquente, sa benissimo cosa vuole dire e qual è il suo intento poetico, e per questo scrive e propone le sue liriche rasentando quest’aura di evanescenza, che tutto sommato, a ben vedere, a ben leggere, a ben capire, evanescenza proprio non è, bensì più verosimilmente possiamo parlare di delicatezza eterea: ecco, mi sembra questa la definizione più idonea, che si adatta pienamente al progetto poetico della Fusco, poetessa che si rivela dotata di un suo originale dettato, o linea propositiva, e che esordisce pubblicamente proprio con questa interessante raccolta, edita da RPlibri.
L’impressione primaria che sortisce leggendo le poesie di questa raccolta è dunque una leggerezza e una soavità espressiva che, lungi appunto da offrire un senso di apparente evanescenza, impreziosisce il dettato e il contenuto con un fluire rapido e deciso, accentrando tutta l’importanza del dire in brevissimi sintagmi, in parole isolate e dense di significato. Il verso infatti appare snellissimo, a volte costituito da una sola parola. Tutto è concentrato in poco spazio, in pochi e corti versi, ma la sfoltitura, come in questo caso, a volte è necessaria, per far respirare meglio la parola e i concetti: Silenzio eloquente è dunque questo, è questa apparente mancanza (che poi è inutile frastuono) di alterità di pensieri che possano fuorviare i lettori da quello che la nostra autrice veramente intende dire, e cioè l’autenticità, la limpidezza, la luminosità intrinseca di concetti come l’amore, la meraviglia per il creato, il senso di appartenenza, la bellezza dei rapporti tra le persone. Ed altro ancora.
Per giungere dunque ad una sorta di conclusione, ma solo per mettere un punto, in quanto l’avventura della poesia non ha mai termine, e rileggendo ancora e ancora le poesie di Antonella Fusco, si trova sempre un nuovo inizio da cui muoversi per affrontare con la dovuta serenità e con i buoni sentimenti la vita e la natura che ci vengono incontro, nel silenzio eloquente della nostra anima, della nostra vera essenza… Possiamo dire che queste poesie costituiscono tutte insieme un canto d’amore silenzioso ma che accarezza il cuore con la sua armonia di parole evocanti suoni e immagini sublimi.


Sorriso profondo

Luna
la tua luce
delicata
e intesa
è carezza.

Carezzi
i capelli
sfiori
il viso

delicatamente
si accosta
al tuo.

Socchiudo
gli occhi.
Carezzi
ancora.

L’anima
soavemente
si dischiude
alla tua.


***

Lo sguardo e l’infinito


Lo sguardo
in me
vibrante
profondità
del sentire.

Dolcezza
e intensità
stupore
e silenzio.

Armonia
riverbero
straordinario.

Il finito
diviene
infinito.


***

Nido

Sorrisi
sussurri
silenzi
fragranze.

Armonia
inebriante
che volge
nell’abbraccio
del meriggio.

Nido
luogo
impregnato
di eternità.


***


La tua luce

Dal tuo
sguardo
luce

splendore
al canto
profondo.

E con
l’espandersi
dei raggi
è danza.


***

Palpito

Invisibile
profondità

segretamente
visibile

solo
al sentire

delle nostre
anime.

Brani tratti da: Antonella Fusco, Silenzio eloquente, RPlibri, 2020, prefazione di Giorgio Agnisola

Antonella Fusco, nata a Benevento nel 1968, è docente ordinaria di Lingua e Letteratura italiana presso il Liceo Statale G. Guacci di Benevento. Laureata in Lettere, in Pedagogia e in Scienze Motorie, giornalista pubblicista, è profondamente impegnata nel mondo della scuola, in cui riveste vari incarichi professionali, inerenti in particolare alla didattica e alla ricerca, avendo altresì operato soprattutto nei raccordi tra scuola di secondo grado e università. Si dedica da qualche anno alla poesia, partecipando con successo a significativi premi letterari e rientrando in antologie della poesia italiana presente.


giovedì 15 aprile 2021

Le "Poesie future" di Carla Malerba

Poesie future? Perché questo titolo? Dal momento che proprio il titolo di una raccolta poetica (e in genere di ogni lavoro letterario) rappresenta quasi sempre il nocciolo sintetico dell’intero progetto, mi è sembrato opportuno partire proprio da qui, dal titolo, per esprimere qualche breve considerazione su questa recente e pregevole opera di Carla Malerba.
Orbene, sembrerebbe che la nostra brava Autrice, di origine tripolitane, voglia proiettare in qualche modo il suo vissuto, la sua esperienza e di donna e di artista, in un immaginario mondo di là da venire, mondo che le dia la possibilità di eternare, anche nel suo domani più vicino, tutta la ricchezza, tutto il bagaglio emotivo ma anche memoriale della sua vita. E in effetti è così; ma non solo. La Poesia non ha bisogno di collocazioni temporali, e a volte non importano neanche quelle geografiche, una volta superate le barriere della lingua e della cultura di quel determinato contesto nazionale o area continentale. Una poesia è per sempre.
Ma in quest’opera di Carla Malerba, Poesie future, dove appare abbastanza evidente l’intento di creare una sorta di macchina del tempo, una bussola contenente messaggi importanti per una società futura, messaggi sotto forma di poesie che a loro volta sono foriere di memorie e di valori storici e sentimentali ed emozionali rilevanti e fondamentali, esiste un altro filone parimenti significativo, ed è quello del ricordo di “ora”, attuale, in un fluire di versi pregni di “nostos”, un canto melodico che ha come sottofondo lo scenario del mondo mediterraneo, esteso in tutte le sue connotazioni storiche, geografiche e di costume: qui i versi di Carla Malerba si arricchiscono dei suoni e dei colori tipici della sua terra d’origine, non solo, ma anche quasi per antonomasia, di tutte le terre analoghe, dove il sentimento e l’amore puro e ogni sorta di bellezza e di bontà, fungono da impasto fermentante e nutriente per costruire, anzi per ricostruire, mondi nuovi, mondi futuri, per sempre fortemente collegati al proprio cuore d’origine.
È in effetti un viaggio nella storia, nella sua storia ma anche nella cultura di tutti noi, quello di Carla Malerba: un riportarci su sponde di purezza, su spiagge lambite da un mare che è metafora e simbolo di immenso ma anche di ritrovate avventure, di storie e di culture integrate. Al centro di tutto, c’è la nostra Autrice che si perse quella notte in una solitudine di stelle: è dal suo cuore, dal suo profondo essere, che scaturisce poi la volontà e la forza di continuare la ricerca dell’amore, delle origini, del suo nostalgico ma ancora e sempre vivido mondo, per riproporlo a sé stessa e a noi tutti con rinnovata luce e impeto vitale in queste melodiose Poesie future.


Cercherò la parola mare
per quante volte l’ho scritta
cercherò di non farmi dominare
dalla perversità della rima
o dalle immagini aperte.

Meglio la chiusa parola
che travesta il mistero
meglio celare il pensiero
di ciò che tocca a ciascuno.


***

A volte prende forte
di pensieri
una strana mescolanza.
Ti rammenti
la terra natale?
Anche se non era la tua terra
l’hai amata come tale,
e se non era il tuo
il suo idioma,
lo sentivi familiare.
E sempre
ti segue forte
una solitudine amara,
un doloroso straniamento.

(dalla sezione “Straniamenti”)


***

Che strano gioco
quest’aria senza vento
e questa luce piena nella stanza.
L’estate spande intero
il suo colore
e s’inoltra
il silenzio nelle cose.
Giallo il sole,
lontano un abbaiare,
una sedia nel mezzo della stanza.

(dalla sezione “Straniamenti”)


***

Non bastano
echi dispersi
per ricomporti
nella mia mente.
Mi rimane
il tuo sfocato profilo,
il contorno appena
delle tue mani,
il dubbio della speranza.
Di notte il vento
fa gemere le cose,
un assillo
che avviluppa l’anima.
Di te ora i frammenti
dispongo incerta:
dai giorni chiari
si è compiuto il distacco,
ne prendo atto
e cerco
la parola che non dica.

(dalla sezione “Dove nulla si perde)


***

Quella notte mi persi
in una solitudine di stelle.

Dall’alto mi spioveva
un senso vitale, la mia forza,
il mio dolore umano.

Dalla porta dell’ombra
andavano i miei passi
alla piazzuola.

Misuravo i moti di quel cielo
distante, straniero ai miei.
Ma dalle schegge dei mondi
traluceva un riflesso verso me.

(dalla sezione “Dove nulla si perde)


***

Se vuoi ti cerco
dietro l’angolo retto
all’incrocio dei muri
dove non ti ho mai perso
o torno a prenderti
su quella spiaggia
di un lontano agosto.
E se potessi ancora
dislocarmi
chiederei al gioco
di non escludermi
di darmi
occhi stellati di stupore
per esservi accolta.
Ecco ti trovo
in questi scarti di attimi
in questo mio imperfetto accudimento
spesso avaro di abbandoni.
Ma basta solo l’incresparsi
del tuo labbro
per riconsegnarti a me.

(dalla sezione “Se vuoi ti cerco”)


***

Lascio una terra
persa in acque di infiniti azzurri
in cui pigro trascorre il giorno
e la notte si apre
al connubio dei pollini
che infioreranno rocce e rovi.

Torno ai dolci profili di colline
dove le cime degli alberi
si muovono al vento
e sussurrano accordi.
Qui l’aspro del mare
non giunge.

Ma del vulcano scabro
fiorito nei pendii
di rossi cappelli di fate
porto negli occhi l’alto profilo.

Brani tratti da: Carla Malerba, Poesie future, puntoacapo Editrice, 2020; prefazione di Ivan Fedeli, postfazione di Gemma Mondanelli.

Carla Malerba è nata in Africa Settentrionale e dal 1970 risiede in Italia. A Tripoli, sua città natale, ha frequentato il Liceo Scientifico Dante Alighieri e ha pubblicato i primi versi su quotidiani locali. Iscritta alla Facoltà di Lettere Moderne a Catania, interrompe gli studi a seguito di eventi politici legati al suo paese d’adozione. Si laurea nel 1986 presso l’Università degli studi di Siena con una tesi sulla poesia per l’infanzia. Ha insegnato Materie letterarie ad Arezzo, città nella quale vive tuttora. Ha pubblicato: Luci e ombre (Arti Tipografiche Toscane, Cortona1999), Creatura d’acqua e di foglie (Calosci, Cortona 2001), Di terre straniere (La Vita Felice, Milano 2010) e Vita di una donna (ivi, 2015). Alcune sue liriche sono presenti nell’antologia Novecento non più - Verso il Realismo terminale (premessa di Guido Oldani, La Vita Felice 2016), nella rivista Pioggia Obliqua-Scritture d’arte, in Fiordalisi-Menti Sommerse e in Tanti Pensieri. Scrive racconti brevi, alcuni dei quali sono stati pubblicati su Essere, periodico del Centro di solidarietà di Arezzo. Ha ricevuto riconoscimenti per la poesia inedita in alcuni concorsi nazionali tra cui un Premio speciale della Giuria al Premio “Ossi di seppia” e un secondo Premio per la sezione tematica al Premio “Le occasioni” 2019.



lunedì 12 aprile 2021

Loriana D'Ari e la sua forte consapevolezza poetica

Ecco una potente voce poetica, inaspettata, improvvisa, stentorea, che subito prende e per questo motivo con grande piacere l’accolgo qui su Transiti Poetici. Si tratta di Loriana d’Ari, genovese, impegnata professionalmente nell’ambito della psicoterapia ma con all’attivo già diversi riconoscimenti in campo letterario e con una sua pubblicazione di esordio, Silenzio soglia d’acqua, con la quale ha vinto la sesta edizione del rinomato Premio Arcipelago Itaca per la sezione inediti.
Proponiamo qui di seguito alcuni suoi brani, in cui spicca evidente il suo senso epico e il dettato fortemente scenografico, con interessanti contaminazioni teatrali (“Antigone, testamento”). In più, traspare dai suoi versi una particolare consapevolezza e sensibilità in merito alle problematiche esistenziali (“dei vivi e dei morti”). Una poesia convincente, che scuote gli animi e canta con dolce veemenza, utilizzando un lessico alto e pregevole.
Loriana D'Ari è senza dubbio poetessa che merita ulteriori approfondimenti e apprezzamenti, da tenere in considerazione nel nostro attuale panorama poetico nazionale.



Antigone, testamento

io donna nel mio ventre sottile
spezzerò questa catena micidiale
perché Antigone è il mio nome
nata al posto di un altro. fratello,
levigherò questa crosta di sangue
e fango, fino a restituirti un volto
e soffierò nei tuoi polmoni tanta vita
per quanta sciagurata colpa
è sopravvivere ai morti, portarli
come d’inverno nelle vene un canto
di passeri sepolti nella neve


*

sono andati tutti. col fiato addensi l’aria
ma la bolla si sfrangia, è trasparenza.
così rapprendi in un grano di buio
stringi il grido, resti nel dubbio


*

nel transito alla goccia, il chicco di grandine allenta
la scorza della dura lattescenza. non rimpiange
il confine, tutto quel che trattiene lo cede
in cambio di un po’ di calore


*

quasi nuda sulle scale, spingi avanti
alla cieca, pelle permeabile agli occhi
corpo di bianca sclera, un piede
dietro l’altro introflesso - l’orbita a
rovescio del passante, l’orlo slabbrato
del possesso. appartieni allo sguardo
dell’altro. la tua piccola morte soltanto
è un fatto privato, ti cade dentro


***

dei vivi e dei morti

ecco le povere cose, gli esili resti.
nel disarmo i coltelli feriscono
da ogni lato.
qui la colpa è uno scavo di rotule
nel fango, la spola
dei vivi tra gli opposti schieramenti.
quanto ai morti, indugiano
anche loro, da quando è slittata
la soglia non sanno più
dove cadere


*

non visti, i morti si allenano
alla trasparenza. dei vivi
ricalcano le orme, coincidono
ombre e contorni. d’inverno
ravvivano il fuoco, trascinano
notti interminabili lungo i
corridoi. non sanno se verrà
il perdono, ma intanto
bagnano i fiori. per questo
resistono, anche senza di noi


*

li abbiamo pianti, ma tornano a noi
per varchi tremiti schiusi ai rami
dai bianchi guizzi del mandorlo
e nel silenzio quel soffio di vento
ultrasuono che dice, non dice:
siamo la piena portanza dei corpi
la dissolvenza nella scia dei passi
non altrove, ma via dal vostro tempo
dentro il calco vivente del mondo


Loriana d’Ari vive a Genova, dove lavora come psicoterapeuta. Ha pubblicato su diverse riviste e blog letterari, e ricevuto riconoscimenti in occasione di vari concorsi, tra cui Ossi di Seppia, Bologna in Lettere e la segnalazione per la raccolta inedita al Montano. La sua silloge d’esordio, Silenzio soglia d’acqua, è risultata vincitrice del VI premio Arcipelago Itaca per la raccolta inedita (opera prima).

domenica 11 aprile 2021

Carmine De Falco e le sue "Meduse di Dohrn"

Meduse di Dohrn è il recente volume con il quale il suo autore, Carmine De Falco, conferma ed amplia la sua linea poetica tesa ad evidenziare fino allo spasimo, e in modo globale, lo stato di precarietà psichica e sociale di una società ormai schematizzata e stereotipata. Il titolo potrebbe essere fuorviante, ma bisogna a mio parere scendere molto in profondità viaggiando nei vari assetti e scomparti riflessivi e propositivi, per trovare il nocciolo unico, denso, significativo, che giustifichi in qualche modo l’intento dell’autore, cripticamente racchiuso nel titolo: le meduse e Dohrn. Le prime, creature marine spesso abbinate all’inquinamento e al degrado ambientale; il secondo, lo zoologo, emulo di Darwin e della sua teoria evoluzionistica, nonché fondatore della famosa stazione zoologica, o acquario, di Napoli. È dunque in questa profonda simbiosi tra i due termini, che Carmine De Falco architetta il suo percorso poetico in questo libro, riferendosi anzitutto al tema del degrado e della dissipazione incontrollata dei beni naturali, beni preziosi che in origine arricchivano il pianeta, a disposizione di tutti nell’”Acquario” meravigliosamente infinito che è il nostro universo.

Ma il nostro De Falco va oltre. Non si tratta, qui, soltanto di spreco materiale e di disordine nei consumi, non è soltanto mancato rispetto nei confronti della natura e dei suoi beni, ma è la cultura scellerata, o meglio la mancanza di cultura, che rende la nostra società attuale poco o per niente accorta su questi problemi. Siamo tutti a bordo di una nave da crociera, divertendoci in tutti i modi, isola in movimento in un oceano senza terra. È il modo errato, fuorviante, equivoco, nell’affrontare giorno per giorno un’esistenza egoistica e priva di un’etica, di un programma ideale e costruttivo serio che possa assicurare il benessere futuro.

Diviso in tre sezioni (“Poesie dei dopo disastri annunciati”, “Quadre danesi” e “Sature”), il libro è un ricco excursus poetico in questo mondo deturpato e frammentato, descritto prendendo spunto da un fondale nordico, più precisamente danese, nel quale il nostro autore è immerso, vivendoci da alcuni anni per motivi di lavoro. Il suo dettato poetico assume ancora, come è suo stile, un andamento articolato e variegato, utilizzando corpi poetici a volte lunghi e complessi, senza titolo, a volte addirittura prosastici; molti e molto bene integrati parecchi termini tecnici, mutuati dal linguaggio delle comunicazioni telematiche; c’è anche spazio al dialetto napoletano, che trova la sua migliore collocazione in un lungo testo (“Da canzoniere straniero”). Carmine De Falco insomma indaga e riesce a trovare tutte le potenzialità poetiche espressive per descrivere esaurientemente e con rara efficacia emotiva l’intero quadro progettuale da trattare, con un dire convincente, sagace, a volte ironico.
 
Impreziosiscono il libro di Carmine De Falco le dettagliate note di prefazione e di postfazione rispettivamente di Luca Ariano e di Ferdinando Tricarico, nonché l’originale copertina dell’artista Anna Maria Saviano.



Prendiamo la terra ne vogliamo
Sempre più la terra preda trasformata
Questa, spine di villette metallari
Pesanti che si schiacciano la schiena
Sotto trucioli di alberi imboscati
Tutti i malandrini con le doglie
Di parti non voluti dal creato

Rilasciate queste chimiche dannose,
Donnose, come femmine ancestrali
Che minacciano le mura di spaccare
Legna che raccolgono i residui
Dei grigiori ritrovati dentro i piani
Di sviluppo rurale urbanizzato

(dalla Sezione I, Poesie dei dopo disastri annunciati)

 

***


È uno shock scoprirti a seguire
scie chimiche attraverso terre piatte.
Preparo: soluzioni organiche di contraccezione

Per battere il rischio esistenziale
doloroso, di essere innesco biologico
di super menti artificiali

Qualcosa più di un suicidio
corre nei nostri meandri, naturale
competitività della natura umana

Arma che porta lontano da noi
salvaguardia del mondo abitato

Senso di colpa millenario che ha preso
fuoco nel giogo cristiano

Deciderai estinzione come
assoluzione da ogni peccato?

(dalla Sezione I, Poesie dei dopo disastri annunciati)


***

La città si allarga bassa
a portata di voce di mamma
proietta i suoi timbri
di luce sui bimbi

Meticolosamente si espande
a raggiera intorno a frammenti
di porto estromessi, venezie
di vetro, mattone e cemento upcycled
su lagune inchiodate al lavoro
irrefrenabile di ruspe e visioni

Metropolis sta lì a testimoniare
l’offesa dell’arrivo, dell’essere arrivati
Capsula di metallo e vetro verticale
che sinuosa ammicca a futurismi che furono.
Frantumata uguaglianza
in gradi di alture.

(dalla Sezione II, Quadre danesi)


***

Il finestrino mostra le luci distanti
dove non sparisce il peso dell’anidride
carbonica abbagliante nella notte
nera del puzzo di città illuminate

Magia crackata all’improvviso
torna alla banalità di un trucco
colpevolmente consegnato
al nostro sguardo saturo

Che forma hanno le montagne
e colline, questi boschi? Tuoi
per pura casuale geografica prossimità
Le guardi dall’alto ferite
montagne sporche, spaccate da strade

Fa sorridere questo cercare di mettere radici
questo bisogno ancestrale di restare
in un posto reale, sociale, animale di esseri
destinati a finire ancor prima che.


(dalla Sezione II, Quadre danesi)


***

Da canzoniere straniero

Te si’ miso ‘into ‘o Stritto
‘e ll’Ørresund friddo, addò passe
e spasse tra sti pizzarie
ca te pare ‘e sta â casa toja
cu tutte sti bannere
a tre culure, ma po si guarde bbuono
te vene a rirere, ‘a pizza c’o kebab, ‘a napolitana
cu ll’alice, ‘a sarsa ncoppo a ll’ananassa
‘a nduja a sotto ‘o ‘uacamole. Ma Napule addò sta?

(…..)

(dalla Sezione II, Quadre danesi)


***


Immaginaria immensa nave da crociera
piena di gente che prova a divertirsi, a ballare
in gruppo, a cantare su basi, a mangiare
a buffet, a ridere allo show, a nuotare, a fare
l’amore in cabina. Se questa imbarcazione navigasse
per sempre? Sempre più lontana con tutta
questa gente? Isola in movimento in un oceano
senza terra.

(dalla Sezione III, Sature)

Brani tratti da:

Carmine De Falco, Meduse di Dohrn, Bertoni Editore, PoesiaLab, Collana a cura di Luca Ariano, 2020; prefazione di Luca Ariano, postfazione di Ferdinando Tricarico. Opera di copertina dell’artista Anna Maria Saviano.

Carmine De Falco, esperto di comunicazione digitale, collabora per l’Agenzia Europea dell’Ambiente a Copenaghen. È cofondatore dell’Associazione Componibile62 e del progetto editoriale RACNA Magazine e ha lavorato come facilitatore a progetti di scambio culturale e artisitico.

Ha pubblicato le raccolte Linkami l’immagine (Fara 2006), Loop Vernissage (in Specchio poetico, Fara 2007), Italian Day (Kolibris 2009), I Resistenti, scritta a quattro mani con Luca Ariano (edizioni d’If 2012), Città Bianca (in Zenit poesia, La Vita Felice 2015).

Suoi testi sono presenti in antologie e riviste letterarie, tra le altre Trivio, Le Voci della Luna, Levania, e nei volumi Nella Borsa del Viandante, Attraverso la Città, Pro/Testo, AlterEgo Poeti al MANN, Poeti da Secondigliano, Poesia a Napoli II ediz. 2018.






giovedì 1 aprile 2021

Not bad, di Claudia Zironi: una preziosa opera di alta poesia

 “So quel che c’è da sapere”, recita Claudia Zironi in un suo testo poetico compreso nella raccolta “Non bad” che qui presentiamo brevemente. È un verso perentorio, laconico, direi rassegnato, in cui però la nostra brava autrice concentra a mio parere gran parte del suo progetto poetico, un progetto basato essenzialmente sul tentativo di descrivere tutta la realtà epurata da visioni ortodosse e fuorvianti, vedendovi in effetti quello che veramente serve a dare un senso alla vita e al creato. Not bad, che tradotto dall’inglese significa non male, è dunque una raccolta complessa e intensamente elaborata e prodotta con la piena consapevolezza di una grande maturità artistica e filosofica, sia per quanto concerne la visione delle cose nell’insieme, sia per la sua particolare modalità poetica.
In tutto questo, cardine fondamentale è la parola poetica, che, come sempre, deve caricarsi di quello spessore, di quel peso specifico particolare che la distingue in altri contesti discorsivi e informativi. Dice Claudia Zironi, ancora: “ci vorrebbe una parola per aggiustare, per trasformare, per realizzare una perfetta creazione”: una parola talmente potente, così universale, da poter essere essa stessa rappresentativa del tutto: è un avvicinamento asintotico, certo, per piccole approssimazioni, finché la “parola” aderisca poi come un involucro trasparente sulle cose da contenere e da indicare, in un modo sempre più “vero”, sempre più vicino alla propria visione e alla propria filosofia di vita.
È da qui che scaturisce la veemenza del dire poetico di Claudia Zironi: vedere la realtà e descriverla scientemente o limitandosi all’esteriorità e a quel minino di sensazioni che emana la superficie delle cose, non sarebbe alta e profonda poesia, ma costituirebbe un filone poetico normale se non addirittura ovvio, come avviene in gran parte della scrittura poetica odierna. Claudia Zironi ci indica una strada impervia, diversa dalle solite, perché la sua poesia è in effetti un’opera di vivisezione del creato, e dell’uomo, nei suoi molteplici contesti. È un viaggio di esperienze, il suo, di considerazioni e di riflessioni, condotto attraverso quadri e costruzioni poetiche che pungono e sollecitano direttamente l’emotività del lettore. L’organicità dell’intera raccolta è sostenuta e avvalorata dalla disposizione in quattro parti interconnesse (“Quando si spegne il cielo”, “Not bad”, “Nuda carne” e “Il ritorno degli uccelli”) ed inoltre arricchita dalle fotografie artistiche di Emiliano Medardo Barbieri.
La struttura poetica di Claudia Zironi, in questa raccolta, trova la sua massima armonia e perfezione stilistica, con un percorso costituito da corpi poetici generalmente senza titolo (a parte alcuni testi e quelli della sezione “Not bad”, nella quale la stessa Autrice spiega di aver preso a riferimento alcuni termini normalmente usati nei social, come “tag” e altre didascalie…). Tutta l’architettura poetica, compresi i segni grafici, la punteggiatura ed altri preziosi accorgimenti, fa di questa raccolta di Claudia Zironi una ragguardevole e preziosa opera letteraria di alta poesia.




di cosa hai bisogno – mi chiedevi. forse di un’intera
vita? una vita splendida e giusta. forse di un corpo
nuovo, appena nato, di una mente brillante, di un talento
che lasci tutti senza fiato. di cosa hai bisogno? – mi dicevi.
di dimenticare? di tanto futuro, di un altro padre o
della vista bella del mare, di riempire gli occhi
di sorrisi e di bambini, di parlare, di scoprire
un riccio timido tra l’erba, una margherita colorata.
o forse hai bisogno di un mio sguardo, di una carezza?
di uno di quei baci che fermano la pioggia, intenso
come una caduta, lungo come una guerra, improvviso
come il momento in cui ci si innamora.



***

so quel c’è da sapere, ore e ore
di parole, anni di inutili dati
ricordi miei importanti svaniti
per lasciare posto a memorie ininfluenti.
so più di quel che c’è da sapere di ciò
che non mi importa conoscere, che vorrei
non avere mai sentito, che non posso
cancellare, nemmeno se chiudo gli occhi
nemmeno quando si spegne il cielo.


***


ci vorrebbe una parola per aggiustare
per trasformare, per realizzare
una perfetta creazione, che fosse
rotonda e accesa, di giusta lunghezza
che assomigliasse un poco al nome
del mondo conosciuto e lasciasse intravedere
l’inimmaginato. ci vorrebbe una parola puro suono
un battito, una eco, un sentimento, un’ultima parola
che contenesse il senso
di tutto questo struggimento.



***

                            # hole in my soul

perché in fondo come si definisce un buco?
ciò che non è pieno, un vuoto, un tronco cavo
un nido abbandonato, l’abisso, il pozzo, il gorgo
che tutto inghiotte, nero e dirompente nello spreco
illusorio e fallace, della vita, il viaggio senza destino
della luce, che parte e non si sa dove si frange
dove riposa come buio, con tutti i suoi colori
ai margini del tempo, la mancanza
di progetti e aspettative appigliati a un domani
che non ci appartiene, la resa della terra
e del muro e di ogni altra nobile materia
alla sua asportazione dal contesto, il silenzio
che ci chiude anzitempo nella tomba, il lutto
della memoria, la demenza, la follia, l’oggettiva
inefficacia della perseveranza, l’archiviazione
di ciò che avrebbe potuto e non è stato, un passaggio
dal perimetro regolare o frastagliato, un foro.


***


come il cane, come il padre di un altro
come un vestito-spazzatura consumato
come la notizia di un eccidio in Siria
attenendomi alla metafora del lutto
ho scelto per te di spargerti al vento
come ceneri, di non avere un luogo
per le rose, di non avere immagini
per toglierti il tempo, sei un nome
asceso ai cieli scoloriti del rimpianto
pensieri di morte a mio carico
– benedetto sia il virus che arriva
galoppando rosso per il mondo
senza credo, senza colpa –
una meccanica perversa di abbandono
come un albero caduto per il vento
come un ponte crollato, come il pianto
come un amore irrealizzato.


***

                             a E.

gli uccelli neri sono tornati, lucidi
come il passato. dalla cima più alta
hanno cantato ricordando i caduti
lungo il viaggio, ricordando le carni giovani
le correnti del cuore. hanno portato notizie
da paesi inesistenti, inutili dettagli di rovine.
gli uccelli hanno detto che non c’è luce
oltre i confini della nostra esistenza
che è inevitabile il gioco del fuoco
bruciarsi, soffrire, perdere piume
che in questa vita solo una volta si nasce
solo una volta si muore e solo una volta
si può amare. tutto il resto è dolo.

Brani tratti da: Claudia Zironi, Not bad (2019 – 2020), Arcipelago Itaca, 2020; prefazione di Francesco Tomada.


Claudia Zironi, bolognese, opera dal 2012 nel mondo della diffusione culturale con l’associazione Versante Ripido (www.versanteripido.it) dedicata alla poesia e della quale è uno dei fondatori e Presidente. Collabora anche con altre realtà associative rivolte alla cultura, all’arte e al sociale. Fa parte della redazione della rivista Le Voci della Luna. Ha fatto parte di giurie di premi di poesia a rilevanza nazionale.
È alla sesta pubblicazione poetica in Italia, delle quali Eros e polis, nel 2016, è stata riproposta in USA in traduzione di Emanuel Di Pasquale.
Nel 2019 è uscita, per i tipi di Marco Saya Edizioni, l’antologia a cura di Sonia Caporossi Claudia Zironi – Diradare l’ombra – antologia di critica e testi – 2012-2019.
Altre notizie si possono trovare nel sito claudiazironi.wordpress.com





Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà