domenica 30 gennaio 2022

"La gioia delle incompiute" di Rita Greco

Io non ho cuore / ho un gemito lungo / un pensiero interrotto / senza occhi né bocca né verbo”. Ecco: sembra sia concentrato in questi versi il nucleo fondamentale dell’indagine poetica di Rita Greco nella sua recente raccolta La gioia delle incompiute, Ladolfi Editore. Versi molto significativi, densi di un afflato di disperato rincorrere un confine di certezze che, a guisa del noto paradosso di Achille pie’ veloce e la tartaruga, si allontana man mano che si procede verso una più ampia conoscenza e verso una più stabile apparenza di vita. Come un’utopia sognata, un immaginario Eldorado o ultima Thule da raggiungere, la nostra poetessa è consapevole di quel limite, di quell’immane sforzo di comprendere, in tutti i sensi, cosa ci sia oltre questa realtà, cosa si possa ritrovare al di là di tutte le cose di qui che, necessariamente e ineluttabilmente, restano inspiegate e incompiute.
Ma allora, perché la gioia delle incompiute? E, soprattutto, cosa intende suggerire Rita Greco, con questi suoi versi? È naturalmente difficile “spiegare” il segreto intendimento di un poeta, di un bravo poeta come lo è senza dubbio la nostra Rita, che con la sua poesia esprime tutto un mondo, a partire da un’ipotesi (un’”ispirazione”?...) tutta sua e che, via via, si allarga, assume mille contorni e mille sfaccettature, mille coloriture, come quando si getta una pietra in uno stagno: la pietra è l’idea di base, e gli anelli concentrici di onde così provocati costituiscono i significati altri, i rimandi, le allusioni… Rita Greco dunque conosce, come dicevo, l’incompiutezza delle cose, si rende conto che non è possibile una “realtà” completamente soddisfacente, sia dal punto di vista materiale che da quello psicologico ed emotivo. Ma non si rassegna e non si arrende a questo. In una sorta di recupero quasi catartico, di ricalcolo introspettivo degli elementi che formano il proprio mondo, la nostra poetessa trova luce e addirittura abbrivio rigenerante nella “incompiutezza” stessa delle cose e dei gesti: la gioia delle incompiute, appunto!
Ascoltiamola ora in questi versi esemplificativi del suo progetto poetico, tratti dal libro.



Fiorivo in lontananze senza peso
veste azzurrata
anelli d’alba tra i capelli

mi ripopola uno splendore
più alto

in dormiveglia penso
con fierezza
con rabbia
con amore

sarei venuta
a deporre
il mio bacio più lungo.

(dalla sezione “L’ombra amorosa”)


***


La tua mano
era una nuvola carica di pioggia.

L’ho sfiorata appena,
si sono alzate in volo
tutte le mie solitudini.

Che nome porti ora, padre,
quale sguardo indossi
per sapere chi siamo
in quale sogno decanta
il tuo silenzio?

Il cielo stesso ora
è un sogno azzurro
pieno di ali.

(dalla sezione “L’ombra amorosa”)

 

***

 

E se tutta la vita non fosse
che questo fare e disfare
letti e caffettiere?

Quando torneranno le parole
sarò svaporata in uno scarabocchio.

Grandioso è il mondo
e certi suoi abitanti
posano la prima pietra
consapevoli
oppure rotolando
e io, estranea,
li misuro dal numero delle successive
gonfia di meraviglia
e di tristezza

(dalla sezione “Incompiuta”)

 

***


Mi chiamo incompiuta
la pioggia ha un cuore che trema
e neppure una lacrima

io non ho cuore
ho un gemito lungo
un pensiero interrotto
senza occhi né bocca né verbo

sono il bordo dal quale mi affaccio

brucia la fronte del vento
delira con me spezzettata

la polvere è il mio testamento

come un lenzuolo annodato
mi contiene
il silenzio,

(dalla sezione “Incompiuta”)

 

***

 

Tolsi l’orologio dal polso
per liberarmi del tempo
e quello mi prese
tutto il corpo

c’è così tanto da mettere a posto

non ce la farò
a morire ordinata.

(dalla sezione “Incompiuta”)

 

***

 

La poesia non ha nome
la poesia
si chiama resurrezione

e io la ricevo
con la gratitudine
che si deve a un dono inatteso

la contemplo

come un fiore di luce
che si schiude
tra le mie mani.

(dalla sezione “Canti in divenire”)

Brani tratti dal libro:

Rita Greco, La gioia delle incompiute, Giuliano Ladolfi Editore, 2021; prefazione di Alfonso Guida.

Rita Greco è nata e vive a Mesagne (Br). Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie Perché ho sempre addosso un cielo (Il Filo Edizioni). Diplomata attrice professionista, conduce laboratori di teatro-poesia per bambini. È vicepresidente dell’associazione culturale “Solidea 1 Utopia”. Suoi testi sono stati pubblicati su vari siti e blog, tra cui “Rai Poesia”, “Versante Ripido”, “Poesia del nostro tempo”, “Transiti Poetici”, “Poeti Oggi”, “Bibbia d’Asfalto”.



sabato 22 gennaio 2022

"Approdo" e "Grammatica interiore": la poesia internazionale di Giuseppe Napolitano

Con alle spalle una lunghissima e proficua attività letteraria e poetica, Giuseppe Napolitano, da Formia, dimostra di avere tuttora l’entusiasmo, la determinazione, la brillantezza e soprattutto il talento, per continuare imperterrito il suo prolifico percorso lirico, costellato da una miriade di pubblicazioni di grande pregio, nella collana “La stanza del poeta” (giunta alla terza serie), per i tipi dell’ottima Casa Editrice Volturnia, guidata e curata dalla scrittrice e critico Ida di Ianni insieme allo stesso Napolitano.
Qui vogliamo segnalare due volumetti che Giuseppe caramente mi affidò nell’ottobre dello scorso anno, in occasione di un grande evento letterario svoltosi a Minturno e organizzato dall’amico poeta Lorenzo Ciufo. Si tratta proprio di due raccolte poetiche internazionali, Approdo e Grammatica interiore, perché tradotte, la prima in greco a cura di Margarita Fronimadi-Matatsi, la seconda addirittura in cinese a cura di Kuei-shien Lee dalla versione inglese di Jason R. Forbus. Con questi libri, e non solo, Giuseppe Napolitano configura la poesia, e in particolare la sua poesia, in un contesto realmente universale e plurilinguistico, nel quale giustamente la poesia deve trovare spazio e “cullarsi”, essendo al di là e al di fuori di ogni limite, confine e circoscrizione geografica, storica, sociale e direi anche politica. La poesia è un canto dell’anima che non conosce razze e particolari ideologie, né linguaggi, utilizzandone uno per tutti, quello della creatività, dell’originalità e della bontà stilistica e tematica. Esprimersi quindi anche in altre lingue, grazie ad eccellenti e precise traduzioni, come spesso fa Giuseppe Napolitano da grande conoscitore e frequentatore di queste realtà internazionali, specie del vicino est, è un impegno da elogiare, un grande merito da riconoscere e da apprezzare.
Ma naturalmente questo è soltanto un aspetto del percorso poetico del nostro bravissimo Amico, la cui “militanza” nell’ambito letterario nazionale è nota a tutti. Una poesia, la sua, che si attesta senz’altro sui livelli qualitativi più alti, sia per i contenuti sia per la sua particolare impronta stilistica.

Di seguito qui alcune poesie (in formato jpg con relative traduzioni, così come figurano nei libri) tratte dalle pubblicazioni in oggetto, delle quali consigliamo la lettura.








Nato a Minturno (Lt) nel 1949, Giuseppe Napolitano ha insegnato materie letterarie per 33 anni. Da quando è in pensione, si dedica interamente alla promozione della poesia in Italia e all’estero (è tradotto in numerose lingue). Con Approdo, arriva a 100 pubblicazioni in 50 anni di attività. Tra le ultime opere: Libertà di parole, Grammatica interiore, Tutte le parole.

 


mercoledì 12 gennaio 2022

La "Sinfonia del mare" nei versi di Guglielmo Aprile

È indubbio che il mare possa essere fonte di ispirazione per tantissimi poeti, per la vastità e la ricchezza dei temi che esso può offrire: storici, geografici, mitici, e persino metaforici. E poi, quale altro poema più dell’Odissea, per esempio, può essere preso a conferma di tale interesse, se pure il mare lì appaia come sceneggiatura di fondo alle note peripezie di Ulisse nel cercare disperatamente la via del ritorno a Itaca.
Ed ecco dunque la riproposta del “mare” in questa ricca e interessante raccolta poetica di Guglielmo Aprile, autore certamente di riguardo, nell’attuale panorama poetico italiano, e che conferma, con questa sua silloge, Sinfonia del mare, la grande cura e attenzione nei confronti di un tema che, facilmente, può nascondere ovvietà o eccessivi entusiasmi per immagini e descrizioni stereotipate e riusate. Ma l’intuito, la cultura e l’intelligenza di Guglielmo Aprile, la sua vasta esperienza poetica, hanno evitato ogni possibile caduta di stile, producendo un nutrito e ben articolato poema sul mare, nuovo e originale nella fonte di ispirazione, nel contenuto e nel dettato.
Il mare considerato dunque nella molteplicità dei suoi aspetti, mare come elemento davanti al quale riflettere sull’evoluzione dell’umanità, ma anche come teatro di storie antiche e moderne; mare come simbolo di infinitudine, di apertura, ma anche di accoglienza, di riparo; mare come emblema di incorruttibilità, ma anche come esempio di trasformazioni ineluttabili, e quindi metafora del divenire, metafora di libertà e di autoconsapevolezza del proprio valore, della propria essenza. Ecco dunque il “mare” di Guglielmo Aprile: un mare vero, che ha una propria personalità e intuìto come entità sedicente e pensante, un’entità che parla tutte le lingue ed è perciò distante da ogni sorta di divisione razziale e da ogni conflitto intersociale, un mare che è di ognuno e di tutti, un mare che fonde tutte le voci del mondo, le unifica e le fa proprie, le trasforma in unico idioma, che è soltanto suo ed è soltanto quello, l’unico, in grado di lambire e di accogliere tutte le storie e tutte le geografie.
E a questo caleidoscopio marino, Guglielmo Aprile affida la sua poesia, traendo le note di un’armonia infinita proprio dal mare, e scrivendo versi di grande impatto emotivo, densi di significati: la sinfonia del mare!



Mi parlarono le onde

Risuonano tra le onde eco disperse
di altre voci, di uomini
vissuti in altre età, boati e gemiti
di Atlantidi dimenticate, il rombo
di uragani e naufragi
anche se per la distanza smorzato
si prolunga nel rantolo
della risacca che cresce dal largo
e che parla alla spiaggia, e le confessa
il remoto martirio di qualcuno
che si annegò, e di cui si ignora il nome;
e brandelli riemergono
di rotoli e di codici, in un vortice
di spume, avvolti dalle alghe, cocci
alla rinfusa, formule sbiadite
da acqua e sale, di rune e di saghe,
e tavole ma infrante tra gli scogli
e pagine di silice ma in pezzi
con sopra incise e quasi cancellate
le prime leggi e stralci del racconto
di come ebbe origine il mondo;
e sull’acqua prendono forma a volte
i tratti di quello che sembra un volto.
Mare, di fronte a te, sulle tue sponde
a lungo siedo, da solo, in ascolto.

(dalla sezione “Origliando alle porte del mare”)



***


Delle voci del mondo unica eco

Parla tutte le lingue
ma ciò che dice resta incomprensibile,
e fonde tutte le voci del mondo
in una sola, la sua, che non varia;

forse conserva nel suo oscuro idioma
l’eco di ogni parola che confessa
ognuno alla propria ombra quando è solo:
mare, conchiglia del cuore dell’uomo.

(dalla sezione “Bardo schiumante”)



***


La pagina rombante

Infaticabile mare, trascrive
con la mano febbrile della spuma
la sua biografia sconosciuta
sul quaderno sgualcito delle rive,

amanuense cosmico; e conosce
di ogni passata tempesta
le mai narrate gesta
e ne serba il ricordo nella voce;

e anch’io, suo copista fedele,
ripeto in sogno, sotto dettatura,
le parole che ha inciso sulla stele
delle onde, nella sua lingua oscura.

(dalla sezione “Cembali della Ionia”)



***


Nelle insonni fucine

Fabbro insonne del tempo
e della creazione, alacre il mare
lavora da quando nacque a plasmare
le coste e i loro profili volubili,

scava tornisce e smussa
la creta di falesie e continenti
in fantasmagorie, in assurdi abbozzi
di aberranti idoli, d’erme barbariche

e poi abbatte quanto le sue mani
enormi di magma e spuma innalzarono
ma ricomincia daccapo, mai domo,

prosegue la sua infaticabile opera
perpetuamente provvisoria e in fieri
e che fine non avrà mai.

(dalla sezione “Fuoco che di se stesso si nutre”)


***


Battesimo

La baia, con il suo profilo curvo,
scava una culla
sospesa tra nuvole ed onde:
nel suo profondo grembo
io mi corico, e piano
disteso su di un fianco, prendo sonno
su questa spiaggia, embrione
delle galassie, e il mio corpo consegno
alla sabbia, alla sua carezza calda
che mi battezza a una seconda nascita
più vera e pura; mi fa oggi il mare,
non di carne, da madre,

(dalla sezione “Il mare è una carezza”)



***


Ama celarsi, parla per enigmi…

Metaforico mare, ha molte maschere
ma una sola anima: suo è il dono
di mutare, di assumere

qualunque profilo, a capriccio,
quando l’onda disegna sulla riva
ora un cavallo, o un’idra, o una fanciulla,

ma sempre confonde i suoi esegeti
e dei loro pronostici si beffa,
e il suo vero volto non mostra

a chi si affacci sul suo specchio; mare,
a ogni nostro bussare il tuo silenzio
è la sola risposta.

(dalla sezione “Mare solo maestro”)

Brani tratti da Sinfonia del mare, di Guglielmo Aprile, Il Convivio Editore, 2021.


Guglielmo Aprile, nato a Napoli nel 1978, attualmente vive a Verona. È autore di alcune pubblicazioni di poesia (Il dio che vaga col vento, 2008; Primavera indomabile danza, 2013; L’assedio di Famagosta, 2015; Il talento dell’equilibrista, 2018; Elleboro, 2019; Farsi amica la notte, 2020) e di studi critici sulla poesia del Novecento e su alcuni classici della tradizione letteraria italiana.





domenica 9 gennaio 2022

Il dolore del ricordo in "Rebecca" di Gerardo Aluigi

La nostalgia è caratteristica che sovente adombra la poesia di una patina di lieve grigiore, di mestizia, di dolore compartecipato; altre volte può perfino sconfinare in ovvietà e stereotipi zuccherosi, andando a rivangare sentimenti eccessivamente autoreferenziali. Perciò è una inclinazione da trattare con cautela e con consapevole competenza poetica. Ed è proprio così che Gerardo Aluigi, maturo poeta di Pagani, in provincia di Salerno, affronta la recrudescenza del suo “nostos”, l’acme doloroso di una perdita e il conseguente ritorno ad uno stato di relativa rassegnazione, dopo aver metabolizzato in qualche modo la grande mancanza di Rebecca, da cui il titolo di questa sua recente raccolta poetica, con un coraggioso e preparato bagaglio poetico che lo distingue certamente da altre letterature più inclini a monotoni e scoloriti rimpianti.
Qui il ricordo assume infatti veste luminosa, se non addirittura gaia, si attualizza in un abbrivio di fede e di speranza, perché “l’abisso dei fondali marini possiedono il cielo dei miei occhi”; cioè a dire, che il dolore più grande, abissale, può essere lenito, esorcizzato e dissolto in una visione più ampia del creato, in cui adagiare la ragione di una infinita perdita.
La compostezza del linguaggio poetico, di stile vagamente montaliano in gran parte dei testi di questa ottima raccolta, conferisce dignità al tema del ricordo, ove necessariamente la poesia deve elevarsi per universalizzare l’intimità del sentimento, valorizzandolo e motivandolo. Alla fine, è pur sempre un orizzonte di luce e di speranza che s’intravede, dopo il pathos del dolore, ed è questa, anche, la meta che un poeta deve indicare: Gerardo Aluigi compie questo viaggio all’interno di sé, attraversa il baratro dei ricordi e delle memorie, e la sua poesia ne è pregevole struttura portante.

 



Sento la tua presenza,
come un abbandono
mi appari un’ombra tra bisbigli delicati
mi segui, dove sei?

Il mondo è qui tra le mie mani,
ne resta un pezzo profumato:
te lo regalo.

 

***

 

Il ghiaccio nella coppa di champagne
si è sciolto con te in un giorno
in cui tutto è cambiato improvvisamente.

Non hai contato le ore alle tue spalle,
resto a guardare le cose che hai lasciato
persone, abiti, scarpe e i tuoi occhi
emozionati
la luce che danzava nelle pupille.

Ora ti porto la rosa sulla tomba.

 

***


Chi amerò,
a chi volgerò le mie attenzioniadesso
l’emozione è sospesa
perché tutto mi è vuoto
come questa distesa di sabbia
che è un libro muto.

L’abisso dei fondali marini
possiedono il cielo dei miei occhi.

 

***

 

Senti il rumore dei vetri rotti?
Sì, lo sento.
Tutto è rimasto uguale,
anche se mi chiedo perché rimangono
i colori sulla vetrata infranta
come se la luce si fosse fermata lì
mentre i cortili più poveri di polvere e strazio
vorrei mi restituissero i miei dieci anni
in cui Dio cercavo e ancora cerco.

E rivedo mio padre pieno di sudore,
imbrattato di fatica
che corre, corre ma dalla parte sbagliata.

 

***


Forse queste scale hanno sentito,
il tuo passo
hanno tremato come tremo io?
Se tu sapessi le albe che mi hanno aspettato,
con il sole a parlarmi, a dirmi
non pensare a ciò che distrugge.

Quanta solitudine nel mio ramo
spezzato
senza i tuoi occhi che scavavano miniere,
lo scoglio intreccia nuove forme
si ritrae.

Pegaso è impazzito, è evaso dal cielo
per appartenere alla terra.

 

***


Vuota,
non c’è più niente
in questa casa
solo polvere e vecchi bisbigli.

 

***


Sciogliete i nodi dalle mie mani,
scioglieteli, fu solo per il dolore
della parola se sono qui.

Scioglieteli,
giudici di mille piazze, voi teste
pensanti, voi tremanti uomini
dalle cardinalizie mani, che
di vita non sapete, sciogliete
anche la luce dai vostri occhi
date alla bocca la voce
voi sangue rappreso
dalle torpide vene, voi corpi
vestiti da corvi.

Io sono qui libero da catene
e vi regalo un pensiero
in esso leggerete
tutto ciò che può
essere cielo o inferno.

Vedrete tutti gli anni della mia vita
io che di giorni ne vissi uno solo.

(Brani tratti da Rebecca, di Gerardo Aluigi, RPlibri, 2021)

Gerardo Aluigi è nato nel 1950 e vive a Pagani (SA). Appassionato di poesia ha pubblicato nel 2008 la raccolta Gli argini del silenzio (LietoColle) e nel 2015 Nudi, come il dolore (Guida Edizioni). È presente in alcune antologie poetiche nazionali. I suoi testi partono da una profonda ferita, così come lui stesso ama ribadire.

 

martedì 4 gennaio 2022

Gli "Incerti confini" di Stefano Vitale e Albertina Bollati

La poesia non è sempre soltanto parola e l’immagine non è sempre mero disegno, fotografia, dipinto. Voglio dire che, spesso, le due arti, quella poetica, fatta di versi, e quella visiva, fatta di immagini, possono unirsi andando a sconfinare l’una nell’altra, in un reciproco rafforzamento di resa emotiva e artistica. È questo il caso di Incerto confine, un’opera di poesia che è anche un’opera grafica di indovinata ed eccelsa fattura, dovute all’intuito e alla maestria dei suoi realizzatori: Stefano Vitale, per la parte poetica, e Albertina Bollati per la parte grafica.
Opere del genere ce ne sono e ce ne saranno tante, anche pregevoli e interessanti, ma mi preme far notare che, in questo caso, la grafica non è a corredo o a completamento della poesia, né la poesia è didascalicamente abbinata alle immagini: sono un tutt’uno, sono effettivamente una riuscitissima integrazione parlante del tema, o dei temi, espressi nel libro, e si nota l’evidente intenzione, da parte dei due autori, di procedere ad un progetto in comune intesa, senza giustapposizioni o adeguamenti successivi dell’uno rispetto all’altro. Un progetto elegante e molto significativo, dunque, che va “letto” e interpretato nell’insieme, avendo le pagine certamente un potenziale espressivo in più rispetto ad un testo di soli brani poetici.
Purtroppo per motivi tecnici non è possibile riportare qui anche le grafiche, e per questo si consiglia l’opportunità di reperire il libro materialmente.
Le poesie e le immagini formano quindi, in questo libro, un corpo unico, in cui i versi sono a volte anche in sovrimpressione, “disegnati” calligraficamente a mano, ma non in didascalia come appunto dicevo prima. Il tema preponderante è lo straniamento da certe situazioni e da certi stati d’animo acuti e spiacevoli, derivanti dall’osservazione di una realtà ipocrita e chiusa, restia egoisticamente a concedere spazi umani e sociali a ciascuno: l’incerto confine tra il bene-essere di tutti e il bene-essere del singolo in una società che mira essenzialmente all’isolamento, al “chiudere i porti”, per salvaguardare la propria identità, divenuta incerta a causa della cosiddetta “globalizzazione” che tende invece ad unificare e a omologare comportamenti, idee e valori. Incerto confine è dunque questo indagare nell’animo umano cosa possa impedire la rottura o il superamento di questi limiti, di questi fili spinati che ancora la fisicità e la materialità dell’uomo si porta dentro, per timore di perdere il proprio oceano, la propria casa, in un oceano ancor più grande, dove è arduo riconoscersi.
E in questo perdersi, la parola poetica è e rimane, sempre, un riferimento preciso, un’ancora di fermezza, da cui ragionare e ripartire: tutto il libro di Stefano Vitale è questa indagine lirica, questo gradevole mostrarci possibilità di riscatto oltre gli “incerti confini”.



Chiudere i porti

Chiudere i porti e lasciar riposare
le nere coscienze marce di rabbia
merce di scambio di triste rancore
mentre grasse risate bruciano l’aria
nelle sudice piazze deragliate ragioni.

Chiudere i porti per non incontrare
l’orrore di occhi naufraghi in mare
di corpi salvati piagati dal sole
stremati da guerre monete sonanti
del nostro silenzio di barbari stolti.

Chiudere i porti alla fuga smarrita
sul mare-sepolcro di cenere e sangue
le ombre dei morti sono gelate
scure radici senza più storia
deserto di mani e orecchie mozzate.

Chiudere i porti del mare che un tempo
fu Nostro onda di luce
ora muro che cresce abisso di sale
specchio scheggiato dal pianto di pietre
posate sul fondo del cielo d’estate.


***


Strisce

Il confine del corpo
è il filo spinato della paura
da qui si deve cominciare
tra le pagine bianche brunite

dalle ferite fioriscono cicatrici
solchi di giorni magri
cenere e chiodi da attraversare
ancòra terra da masticare

nell’ombra che ci segue
è il presagio della notte
a passeggio sulle schegge
di lingue sconosciute

di naufraghi smarriti
senza le chiavi d’una casa
in un ventre di balena
buio dove affonda

la lama del presente
strisce di fuoco sulla pelle
sono zattere di silenzio
attimi dove non siamo mai stati.*

*verso di Mark Strand da “Mappe nere”

 

***

Alfabeto muto

Cerchiamo la parola esatta, àncora
che viene dal bene
che ci afferri come un destino.

Cerchiamo la parola esatta, luce
nella piega delle labbra
nel gesto lieve delle dita.

Cerchiamo la parola esatta, argine
che ci renda lo splendore del silenzio
senza vergogna né rassegnazione.

Ma quel che abbiamo è
un alfabeto muto
passo senza cognizione
pieno d’errori
distrazioni, omissioni.


***


Passare il confine
è un viaggio verticale
volo d’airone disteso nel grigio
senza rimorsi varca l’argine
nel buio della lingua
silenziosa e lucida
col suo suono di cometa
torna al punto di partenza
oltre il labirinto delle cose
resta nascosta la scienza
di questa povera arte
vita che si cerca
nei silenzi turbolenti
entra in se stessa
rinasce sprofondando.

 

***



Perché non essere
come le nuvole?
Poter cambiare forma
luce, colore e direzione
nel disordine del vento
imparare il controcanto
segreto delle cose
viste da lontano
scolpite nel marmo dell’istante
senza altre distrazioni
ruotare a vuoto su se stessi
imprevedibile necessità
d’una anima sottile e d’aria
che, sorridendo o bestemmiando,
dobbiamo sopportare,
liberare.


 ***



Non c’è orologio
che batta il tempo in modo esatto
avanzano le lancette seguendo
un ritmo dissonante
lontano dalla giusta cognizione
d’una palpabile certezza
il tempo è altro tempo, fuori dal calcolo
della presunta precisione,
passo sbilenco sull’orlo di un cornicione
sentiamo che qualcosa sfugge
e s’apre una ferita da dove sgorga
il sangue d’una domanda:
sono io il mio tempo?

a Laura R.


Testi tratti da:

Stefano Vitale, Incerto confine, L’Artistica Savigliano, 2019; immagini di Albertina Bollati; introduzione di Vittorio Bo.

Stefano Vitale è nato nel 1958. Vive e lavora a Torino. Nel 2003 ha pubblicato (con Bertrand Chavaroche e Andy Kraft) la plaquette di poesia Double Face (Ed. Palais d’Hiver, Gradingnan); nel 2005 Viaggio in Sicilia (Libro Italiano, Ragusa) e Semplici Esseri (Manni Editore). Per le Edizioni Joker ha pubblicato Le stagioni dell’istante (2005) e La traversata della notte (2007). Nel 2012 ha pubblicato Il retro delle cose presso le edizioni Puntoacapo; nel 2015 ha partecipato con 24 sue poesie all’allestimento della mostra di Ezio Gribaudo “La figura a nudo” presso l’Accademia di Belle Arti di Torino. Nel 2017 ha pubblicato presso La Vita Felice la sua nuova raccolta La saggezza degli ubriachi. In collaborazione con l’illustratrice e artista Albertina Bollati, ha pubblicato nel 2013 per Paola Gribaudo Editore la raccolta di poesie Angeli, nel 2019 Incerto confine e nel 2020 Il colore dei gatti (Ventura Edizioni) con filastrocche per bambini. I suoi libri hanno ricevuto molti premi e riconoscimenti, le sue poesie sono pubblicate in riviste ed antologie oltre che sul web e riviste e sono state tradotte in inglese e tedesco. Cura sulla rivista on line www.ilgiornalaccio.net le rubriche critiche dei libri di letteratura e la rubrica “Oggetti smarriti” dedicata alla poesia. Appassionato di musica, è Direttore Artistico dell’Ass. Amici Orchestra Sinfonica RAI.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà