mercoledì 22 maggio 2019

Veruska Vertuani e il suo "Tempo degli amuleti"


Veruska Vertuani è una poetessa di Aprilia che nutre un grande rispetto nei confronti della vita e dei buoni sentimenti, in particolare l'amore, e lo manifesta attraverso la sua linea poetica, una linea, un dettato che è senz'altro originale e alto. Presentando molto volentieri su Transiti Poetici il suo recente libro "Il tempo degli amuleti", del quale riportiamo alcuni testi, è già possibile notare questa sua caratteristica peculiare, e cioè il tenere in gran conto la natura e l'amore, che contraddistinguono l'ossatura portante delle sue composizioni.
L'amuleto, da cui il titolo della raccolta, è un simbolico oggetto che nei miti e nelle tradizioni popolari da sempre ha accompagnato l'uomo nelle avventure più difficoltose, nei viaggi ma anche nella vita di tutti i giorni: così l'amuleto nella poesia di Veruska Vertuani diventa metafora di speranza, di fede in un mondo e in un tempo migliori; non resta, all'autrice, che "indossare i vestiti di tutte le stagioni e ingomitolare di lucciole le coincidenze": cercare, cioè, in qualche modo tutte le possibilità, grazie agli "amuleti", di una via salvifica per sé e per tutti.
Da questo nocciolo centrale, da questa ricerca di possibilità, si sviluppa il percorso poetico della Vertuani espresso nella raccolta. In filigrana, da ciascun componimento traspare la luminosità di un sentimento forte nei confronti della natura e della vita, un deciso e consapevole schierarsi a sostegno di essa e della bontà, della positività latente nelle cose e che solo i sensibili, e fra questi i creativi, gli artisti e i poeti, riescono a scorgere, a evidenziare. A volte l'autrice si lascia pervadere da un senso di sfumata disfatta, di scoraggiante rassegnazione ("Dio mi guarda dall'alto, ne sento la pietà / mentre appanno la finestra con le tempie. / Cercando un dettaglio per poterti amare."). Ma è proprio in virtù di questa consapevole distanza tra terra e cielo, che la nostra autrice riesce a farci intravedere una possibilità di redenzione: "cercando (appunto!) un dettaglio per poter amare".
E l'amore è protagonista nelle sue poesie, un protagonista luminoso e coraggioso, sincero e del tutto privo di compromessi o condizioni; si tratta di un amore soprattutto fisico, coinvolgente, di cuore e di labbra ardenti. Amore e giustizia, laddove le esistenze di alcuni, specie le donne, vengono bistrattate, offese e calpestate ("Prima di alzare le parole su una donna / ricorda che sei nato dalla sua bocca che urlava."), o addirittura annichilite, come nella commovente composizione lirica  “Magazzino diciotto” (le Foibe).
Si tratta dunque di un percorso poetico completo, quello di Veruska Vertuani, in questo suo pregevole "tempo degli amuleti", dove il suo dettato creativo spazia da elementi minimi della quotidianità, ad aneliti di più alta visione e considerazione della vita e della società.
Augurando a Veruska Vertuani percorsi artistici e poetici sempre meritevoli di attenzione e di plauso da parte del pubblico e della critica, offriamo ai nostri lettori alcuni testi tratti dalla sua raccolta "Il tempo degli amuleti", affinché possano aggiungere altri graditi commenti e riflessioni in merito.


Dio che guarda dall'alto


Ricalco sui miei capelli
le movenze gentili che vedo fare al vento,
carezze sulle foglie che si arricciano
salano l'aria di spezie e pensieri.
Le voci vengono da lì
quel punto oltre il quale non so più immaginare
e per il consueto gioco del destino
sono voci che parlano l'amore.
Dio guarda dall'alto
quanti spigoli ha il mio cuore
a forza di stiparci cassapanche e baci
si crede una casa. Invero è una soffitta
dal tetto disfatto
quando piango piove
e i cambi di stagione di rotta di identità
prendono di muffa.
Dio mi guarda dall'alto, ne sento la pietà
mentre appanno la finestra con le tempie.

Cercando un dettaglio per poterti amare.

***


Svuoto la mansarda
le stanze
la cantina

la mente
il cuore
la vagina

per stanare il tarlo del sogno.

*** 

Fiordipelle

Se solo ti voltassi a cosa mi è successo dentro
vedresti il mistero di fiori sottopelle,
piccoli, diafani petali, stringersi in una fitta corazza
e profumare le ossa.
Se solo capissi che continuo a sbocciare ma fuori strino
alleveresti la mia linfa in cielo
e con le iridi fragorose di primavera
ti salverei.

*** 

Il compleanno della libertà

L'uomo in divisa faceva domande
l'uomo in divisa scriveva risposte
il tempo sui tasti, come un grilletto
marcava i miei occhi in giro per la stanza.
Stasera è un anno che non inghiotto botte
un anno che compro solo scarpe rosse.
Soffio la luce sulla torta
le catene bruciano all'inferno
un dito nella panna e mi sento come lei
leggera e libera, una nuvola che non rabbuia mai.

*** 

Il frigo di Ivano

Una bottiglia di latte senza tappo
spaghetti freddi e ghiaccio caldo
Ivano apre e chiude il frigo
come una scatola di magia.
L'illusionista usa armi spuntate
una sega coi denti morbidi, bisturi di gommapiuma
ma quella sera di ospedale
Ivano sente una spada al petto
mentre la moglie diventa luce, smarginando il letto.
Ivano chiude, apre il frigo
il latte trema la bocca trema
al ricordo di quegli occhi, tondi e giusto azzurri
quanto la linfa la vita, la bellezza appena nate.
Grumi di latte nel lavandino
l'ultimo bacio poi via dalle lacrime
il bianco conduce alla speranza
che l'Oltre regala ai suoi angeli.

*** 

Il tempo degli amuleti

Settembre ha il tempo degli amuleti
capaci per ore di stare in bonaccia
contrarsi a rito in pochi secondi
da non dare scampo al mio volere.
Le conchiglie si ritraggono dal mare
legate al vento ninnano auspici
ma quando il maestrale è in tempesta
mi involano la mente alla pazzia.
Allora indosso i vestiti di tutte le stagioni
anelli quanti i cerchi che un sasso fa sull'acqua
a passi scapigliati sparpaglio coincidenze
e nella notte le ingomitolo di lucciole.

*** 

“Magazzino diciotto” (le Foibe)

Quattrocentogrammi di chiodi
uno alla volta tra le dita
non per appendere campane alla domenica
né giorni di festa alla parete.
Valgono il peso di quattrocentogrammi di chiodi
i tuoi affetti da imballare
ferro che picchi in ossi di legno
marci e sdentati, come la voce dei passi
in ordinata disperazione.
Trovi di tutto nel magazzino diciotto
rovi di sedie mobili sull'attenti
manciate di quattrocentogrammi di chiodi
con la fretta di sprangare porte e finestre,
correre
che il corpo è un avanzo, buono per domani
e l'anima tornerai a prenderla
nella stretta di un bambino a un fiore
tuo figlio o chissà, nipote
quando il cielo sarà ruggine di chiodi, in un giorno di festa
alla parete del magazzino diciotto.

*** 


Prima di alzare le parole su una donna
ricorda che sei nato dalla sua bocca che urlava.
Schiudevi la carne con la tua testa
ricorda la spinta tra i suoi petali
che cogliesti e le porgesti in ciglia
annodate di lacrime, quando ti vide.

Ricorda i fiori, le note dei suoi seni nei ghirigori di gioia
prima di alzare le mani su una donna
ricorda le sue mani sulla pancia
ali rosa che mai volarono.
Sul bordo del cielo, lì le lasciò
per medicare ogni tua caduta.


Veruska Vertuani, nata a Velletri, da sempre risiede ad Aprilia (Lt). A dieci anni inizia lo studio della danza classica, passione questa che contrassegnerà sin da subito il percorso di scrittrice e gli elementi salienti la sua poetica. Laureata in Scienze Statistiche ed Economiche, intraprende la professione di consulente aziendale.
Nel 2008 si avvicina alla scrittura per metabolizzare il dolore per la perdita della nonna materna.
Dal 2010 partecipa a concorsi letterari nazionali e internazionali, ottenendo molti riconoscimenti, tra cui spicca il II posto al Premio Gianfranco Rossi per la giovane letteratura organizzato dal Gruppo Scrittori Ferraresi; Premio speciale della giuria alla IX Edizione del Premio Napoli Cultural Classic; I posto sez. over 31 al VII Concorso Nazionale di Poesia Chiaramonte Gulfi-Città dei Musei; I posto al XVIII Concorso di Narrativa e Poesia Laghese. A giugno 2015 è stata insignita della Medaglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri al Concorso Letterario Internazionale San Maurelio di Ferrara e a ottobre 2015 si è classificata I nella sezione poesia al IV Concorso Nazionale dell’Associazione “LunaNera”, ottenendo la pubblicazione gratuita della sua prima silloge Frammenti di Crisalide.



venerdì 17 maggio 2019

Il gioco delle parole in "Ecolalia" di Marialoreta Mucci


Con grande piacere e condivisione accolgo la presente raccolta poetica di Marialoreta Mucci, dal titolo davvero singolare, "Ecolalia", in cui l'autrice dimostra di possedere una portentosa e coraggiosa padronanza di un dire poetico originale, forse unico, personalissimo e, nel suo insieme, molto intrigante e capace di coinvolgere il lettore portandolo al di là dei soliti schemi che, normalmente, un componimento poetico, anche di pregio, suggerisce. La raccolta, infatti, costituisce a mio avviso un validissimo esempio di come la poesia possa rivelarsi alta anche se pensata, progettata e fondata utilizzando termini inusuali, che esulano dalla quotidianità, e non solo: ma anche con l'intelligente e, direi indovinata, giustapposizione di parole nei versi, con l'uso opportuno di figure retoriche quali, soprattutto, l'allitterazione e la paronomasia (disseminate lungo tutta la raccolta, come giustamente evidenzia il prefatore Alessandro Carlomusto).
Il gioco delle parole è evidente, e qui supera ogni aspettativa, diventa ossatura primaria del corpo poetico generale, fornendo al lettore sussurri e colori, suoni soprattutto, e armonie che riecheggiano nella mente e nel cuore, al di là comunque di ogni eventuale significato oggettivo: qui non è tanto il contenuto che giustifica la maggior parte del progetto poetico dell'autrice, quanto la sua intenzione, più o meno consapevole, di lasciarsi andare (e di lasciar andare il lettore) su binari emotivi evocati dal suono stesso delle parole e dei versi, a volte addirittura fatti di simboli. Si tratta però di un gioco abilmente controllato, per niente lasciato al caso: l'autrice non disperde parole e versi banalmente, assicurando che questa è la poesia, la sua poesia; invero, Marialoreta Mucci (anche il suo nome sembra quasi un'allitterazione… sarà un caso?), imbriglia il verso, e i termini nel verso, secondo una sua intuitiva e indovinata pre-costruzione, dando loro la forma finale adatta allo scopo (di ricreare l'atmosfera sonora ed emotiva!).
Il titolo, più che appropriato, Ecolalìa, richiama la caratteristica ripetizione delle parole in un contesto parlato, e in alcuni casi può essere sintomo di una disfunzione del linguaggio, ma qui è un termine, un titolo, utilizzato magistralmente dall'autrice in quanto rispecchia pienamente il suo intendimento poetico nel convogliare attraverso questo suo stile personalissimo, tutta la sua tematica espressiva, almeno in quest'opera. I brani della raccolta appaiono come sprazzi improvvisi di suoni e di armonie ben costruite: sono isole rocciose, in quanto potenti e dense di contenuto, in un mare vasto e disperso, ma sono anche fari luminosi in un contesto generale di buio e di indifferenze. Le forme espressive variano dalla poesia normalmente intesa, all'aforisma, alla prosa poetica e, sotto certi aspetti, persino ad una sorta di haiku ("Luna / sai inondare il mare. / Il mare."). Interessante è poi, in alcuni testi, il richiamo, quasi parodia, ad alcuni versi celebri di autori del novecento, quali ad esempio Montale ("Ho steso allungandomi il braccio / almeno un milione di panni / e adesso che piove è un p**** dio a ogni goccia."). Il tutto, sempre basato su tante allitterazioni come già accennato prima, è sparso per le pagine, senza titoli, a costituire, come dicevo, un mosaico frastagliato ma intenso, variegato, gradevolissimo.
Ma non è soltanto la forma stilistica che caratterizza il dire poetico di Marialoreta Mucci in "Ecolalìa", sebbene ne costituisca la parte più immediatamente visibile e godibile: si intravede comunque un sottile filo conduttore tematico che si rifà soprattutto al recupero e al riscatto della parola in quanto mezzo di comunicazione di emozioni forti e rigeneratrici, di sonorità, di salti e di spiazzamenti imprevisti davvero intensi e coinvolgenti, e poi un riguardo particolare alla non-autenticità e alle ipocrisie di una società ancora troppo legata a falsi perbenismi e dolorosi pregiudizi.
Proponiamo dunque qui di seguito uno stralcio dei brani poetici tratti dal libro di Marialoreta Mucci, edito da RPlibri di Rita Pacilio (https://rplibri.com/collana-poesia2/), un marchio editoriale che sta riscuotendo molti e meritati riconoscimenti per le severe selezioni dei titoli da pubblicare, e per la serietà e grande competenza nel seguire i propri Autori.
I Lettori che ci seguono, ancora una volta, sapranno aggiungere altri graditi commenti in proposito.

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Le rose mute periscono afone

disossano la terra in lembi di organza
e l'anima non esiste eppure in essa alberga
la lotta secolare tra bene e male.


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Ecosostenibili
per l'economia
tutti malati di ecolalia
fotografando l'essere
con l'ecografia


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Le parole sono sommerse sotto scaffali di libri
sotto comizi d'autore
balzano sulle carreggiate come pubblicità
manifestano le loro intenzioni nella vanità
celano l'intensità della connessione
si immaginano gli idiomi che verranno.


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Ho bevuto tutto l'inchiostro del mondo
per paura di scrivere
loro poi si son lavati le mani inventando le tastiere.


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Rubare il cielo che non era di Dio
per convertirmi
per salvare una nuvola dall'oblio
per salvarmi io
potenti le voci ma solo nei microfoni
nelle radio, nelle tv
afone ma potenti
potenza saranno soltanto i battiti cardiaci
si odono i voli degli uccelli diramati
forti solo nell'aria.


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Io il mare lo accendo soltanto d'estate
lo inquadro bene
ne vedo il bianco, il blu e il celeste
e a tratti l'onda di ocra.
Lo traccio, lo confino, lo scrivo, lo bevo e poi
l'abbandono.


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Il gelo dell'acqua innera le mani
la pallida notte rischiara le ombre
del marmo trafitto dal vento
ora la voce antica dei pescecani
gli stormi volteggiano in grazia
abbai
puttino senz'ali.

Brani tratti da:
Marialoreta Mucci, "Ecolalia", RPlibri, 2019; prefazione di Alessandro Carlomusto.

Marialoreta Mucci nasce nel 1990 in Abruzzo. Sin da piccola si dedica alla lettura, fatale l’incontro letterario con Emanuel Carnevali che accende il desiderio di evaporare le parole. Studia Lettere Moderne a Roma e si laurea con una tesi su Carmelo Bene scrittore dal titolo: Carmelo Bene: scrivere la voce. Si occupa di comunicazione in una società di consulenza ambientale dove, affascinata dalla potenza dell’audiovisivo, inizia a lavorare con la realtà virtuale per scopi educativi.


lunedì 6 maggio 2019

Alessandra Paganardi e la sua "Regola dell'orizzonte"


Dice bene Giancarlo Pontiggia quando afferma, nel presentare questa interessante raccolta poetica di Alessandra Paganardi, che una delle caratteristiche principali del fare poesia è l'onestà intellettuale, cosa che ribadiva anche Saba. Onestà soprattutto intesa come serietà e consapevolezza, da parte di chi scrive, del grande impatto che la parola poetica può avere sui lettori attenti e sulla società: se la poesia (beninteso la vera poesia), riesce in qualche modo a suscitare immagini ed emozioni, disegni e visioni, prospettive tali da smuovere e commuovere l'animo e la mente di chi legge. E qui la parola poetica è fondamentale: non si tratta di un discorso giornaliero, di una semplice descrizione delle cose e dei fatti, di un raccontare usuale; la poesia è sintesi e astrazione, è un partire in verticale da un significato per raggiungere profondità celate o altezze trascendenti non esprimibili con discorsi diretti, è un far vedere, o perlomeno intuire, che c'è qualcosa di altro, che sta oltre il detto e oltre il significato; ed è tutta la costruzione del verso, tutto il testo poetico che "allude", rimanda.
Alessandra Paganardi, poetessa e scrittrice milanese, impegnata nello studio della poesia contemporanea, conosce molto bene la materia poetica e le giuste modalità di scrittura in versi, e penso sia senz'altro d'accordo con tutto quanto asserito più sopra, anche se, in verità, il discorso è abbastanza complicato ed ampio, e certamente non è possibile completarlo in questa sede. Ma parlando di alta e onesta poesia, possiamo senza alcun dubbio portare ad esempio la sua presente raccolta, dal titolo "La regola dell'orizzonte", puntoacapo editrice.
Come sempre, anche qui il titolo è in qualche modo esplicativo, sintetizza l'intero progetto poetico che l'autrice intende evidenziare attraverso i vari componimenti che, come tasselli di un grande mosaico, formano il testo. L'orizzonte ha dunque una "regola"? Direi di no, nessuna regola se non solo quella di stabilire un limite al mondo, incerto e invalicabile: "Non torneremo indietro / se tutto infine sprofonda / sul contrafforte bellissimo fragile… questo giorno che non ha conosciuto / santi ma solamente primavera / tu non segnarlo più sul calendario / non obbligarlo di nuovo a morire" (dalla sezione "Angeli guardiani"). Alessandra Paganardi ha quindi uno sguardo diretto sullo stato delle cose, ci indica una possibilità concreta e attuale da vivere qui ed adesso, abbracciando un mondo e una natura che appaiono, sì, distaccati e quasi alieni, nelle visioni in penombra, ma anche pieni di umanità e fondamentalmente autentici. C'è poi una forte immedesimazione dell'anima poetica dell'autrice nell'oggetto del suo dettato, ed è questo un equilibrio delicato che la Paganardi sa esercitare, mediante l'uso intelligente delle parole e del verso che ci mostrano, leggendoli, la luce della sua grande esperienza poetica: è lei stessa che "sta" nelle sue poesie, e ci conduce per mano, verso dopo verso, trasportandoci dal mondo descritto al mondo che potrebbe/dovrebbe essere. Una osmosi riuscitissima! E l'impellenza del dire, trasfigurato in immagini fortemente evocative ("Ho richiuso la porta del giardino. / Il sentiero sorride alle montagne…"), si stempera in un verso controllato e autonomo, ricco di rimandi e di visioni sovrapposte.
E poi al centro di tutto il mosaico poetico c'è la parola, la parola alla quale ogni onesto e buon poeta affida il suo messaggio, filtrato da un intenso lavorio di cuore e di mente per renderlo unico e con il massimo peso specifico di una significanza complessa e multipla: la parola che ha spessore e ridondanza, la parola che non è superficie di un discorso ovvio ma pietra che custodisce segreti profondi; "parole che fermentano in bocca e sono cristalli d'argento nel fango".
Un libro pregevole, complesso, un percorso di riflessioni profonde su ciò che ci circonda, dalla natura all'umanità, ai ricordi, all'amore: "La regola dell'orizzonte" di Alessandra Paganardi merita di essere letto, riletto, approfondito, perché, come ogni buon libro di poesia, non basta leggerlo distrattamente in superficie, ma occorre porsi nella giusta e intelligente predisposizione di cuore e di mente, per poter assorbire tutta la luce e tutta l'emozione che da esso scaturisce. Per questo, lasciamo ai nostri amici lettori che ci seguono su questo blog, il compito di aggiungere, se lo vorranno, altri graditisssimi commenti.

Riportiamo qui di seguito alcuni testi poetici tratti dal libro.

*

Bisognerà fare a meno
di questo non inverno
del sole strano che va per il mondo
invece di parole

senza il freddo a scrollare le vene
ti dimentichi in tasca le mani
le ritrovi in un pugno

è perdere due volte
sapere che finisce
ciò che non è mai stato

*

L'albero è capovolto
le radici nel blu
il nero la sua chioma
sfiora di vento il viso
bisogna avere cura anche del nero
crescerlo come un fiore
farlo bruciare nell'incandescenza
con la pazienza degli antipodi
preparare l'invaso nell'azzurro

(dalla sezione "Mare apparente")


*
Ulivi conficcati nell'asfalto
- avrei dovuto essere sul treno
verso un mare franato come roccia
nell'imbuto poroso dei vicoli

invece sono qui con le parole
che appendo lungo i muri
di una periferia color del sale

dai buchi ovali di plastica dura
strapperei il passaporto della mente
ora o fra poco se una cruna invidiosa
non avesse nel nostro tempo magro
aperto un varco senza congiuntivi
il letto sfatto di un torrente avaro
la fame che fa il vuoto dall'interno
del viso l'accartoccia in ruga

(dalla sezione "Angeli guardiani")

***

II

Gli occhi della moviola stendono
campi lunghi su filari guariti
c'è ancora qualche olmo cortese
a cucire tappeti di velluto
per i vasti imenei delle viti

la terra è generosa la terra dimentica
che si deve ogni volta farle male
ci guarda con gli occhi pazienti dei morti
lo vedi – tutto è già tornato fiore


VIII

Poi fu la guarigione azzurra
delle macerie con dentro la notte
bambini in bianco e nero giocavano
attorno a quel silenzio stupefatto

era il viaggio di nozze
del mondo nuovo con il mondo antico
le colline erano sorrisi strani
i campi diventavano di marmo
la banda celebrava la rivincita
perfetta di chi non può tornare

tu portami nel cerchio
dove la falda cede alla pianura
e l'assenza si piega alla memoria

(dalla sezione "Il resto della vita")


***

II

Ho richiuso la porta del giardino.
Il sentiero sorride alle montagne
come i binari al niente
laggiù – sul lato sud della città

ho accordato le mani alla luce
le ho spinte oltre il cancello
il sole mi crollava tutto addosso
e si faceva grave

mi aspettava la terra
alta delle montagne
un padrone di casa – lo splendore –

mi sentivo al riparo sulla croda
era la spalla sicura di un padre
il silenzio sulle giostre di notte
era la quiete intatta d'un grembo
impossibile

(dalla sezione "Monogramma")


*

Avere stretta in gola una poesia
e non scriverla ancora
aspettarla come sulla spiaggia
fanno le donne con i pescatori
guardarla che s'impasta dietro gli occhi
in un lago di luce e di vene
la nota assurda di carne e d'azzurro
conficcata come rupe nel mare
con la pazienza morbida
di un plenilunio senza calendario
salutarla se passa per tornare

(dalla sezione "Il codice del vetro")

*

La luna magra ha mangiato la notte
il cielo si fa varco tra le foglie
scopre resti di riso in un rigagnolo
che porta troppo lentamente al mare
il compleanno il tuo vino gentile
il soffitto come volta di chiesa
prima che fosse recinto di dio
tutto quell'oro vorrei regalarti
per medicare il buio
per guarire la terra
per cucire pazienza sui ricami
se un giorno non avremo più le mani

(dalla sezione "A termine")


Alessandra Paganardi, "La regola dell'orizzonte", puntoacapo Editrice di Cristina Daglio, 2019; prefazione di Giancarlo Pontiggia.



Alessandra Paganardi è nata a Milano, dove vive; insegna in un liceo e scrive. Ha fatto parte della redazione della Mosca di Milano ed è attualmente presente nella redazione della rivista letteraria internazionale Gradiva, nella giuria del premio omonimo e in quella del premio Gozzano.
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: La pazienza dell'inverno, puntoacapo editrice, 2013 (premio Operauno 2014); Tempo reale, Joker, 2008 (premio San Domenichino 2009); Ospite che verrai, Joker 2005, 2007. Inoltre diverse plaquette e testi poetici su riviste e antologie.
Come critica e studiosa di poetica contemporanea ha pubblicato la raccolta di saggi Lo sguardo dello stupore: lettura di cinque poeti contemporanei, Viennepierre 2005 (finalista al premio Nabokov 2008). Ha firmato numerose prefazioni a raccolte di poesia, saggi e recensioni per riviste nazionali e internazionali, oltre che per blog e siti letterari.
Per la narrativa ha vinto il premio Gozzano per l'inedito nel 2007 ed è stata inserita nell'antologia Milano per le strade, Azimut, Roma 2009, con il racconto La magnolia contro le persiane.
La regola dell'orizzonte è la sua raccolta di poesie più recente.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà