Anche in questa raccolta, Irene Sabetta rivolge il suo sguardo al mondo circostante e agli aspetti di carattere esistenziale, filosofico e sociologico, ampliando e approfondendo ulteriormente le sue riflessioni fino a ricercare, nei dati geo-sociali, quel punto d’inizio dell’umanità dove questa avrebbe potuto svilupparsi in modo più armonioso, giusto ed equilibrato (“avremmo potuto inventare un’altra rotta / spostare di lato l’asse terrestre / e dormire nei fossi”…). Si tratta di una profonda indagine su quanto l’uomo ha costruito finora, paragonando in parallelo questa realtà a quella che l’occhio e il cuore dell’autrice (e in fin dei conti di tutta la buona Umanità!...) avrebbe desiderato che fosse. E il desiderio di un mondo diverso, scevro da innervature maligne e stereotipi ingombranti, da falsità e sopraffazioni, si evidenzia in prima persona con la consapevolezza di poter agire da protagonista (“sono forse io il prescelto? / quello nato per archiviare i misfatti della storia / e decretare l’avvento di un destino giusto?”…).
La sua visione della realtà, nel suo complesso umano, sociale e persino politico, non è quindi distaccata, bensì pienamente partecipata, rimanendone coinvolta in prima persona ancora di più che, ad esempio, ne Il mondo visto da vicino. Irene Sabetta infatti in questa raccolta densa di un grande potenziale propositivo per un cambiamento di rotta, a partire da quell’errore cronologico che ha determinato l’inizio del degrado tuttora in corso, esprime con tutta la sua accattivante veemenza poetica tutto ciò che non dovrebbe essere. Purtuttavia, come fa notare intelligentemente Franco Falasca, questa sua impronta poetica appare delicata, quasi dietro le quinte, in un continuo, incessante e sofferto dialogo interiore vòlto a spiegare (ma non a giustificare) l’attualità.
E come è possibile questa impronta che, mentre calca la storia cercando di condizionarla, di riportarla nella giusta dimensione dopo l’errore cronologico, dall’altra parte rimane sospesa e indeterminata?... Quasi a voler applicare al mondo intero la famosa legge di indeterminazione di Heisenberg in base alla quale non è possibile precisare contemporaneamente posizione e velocità di una particella, perché le due qualità si condizionano a vicenda. È possibile con la poesia. La conciliazione tra le due vedute, prima e dopo l’errore cronologico, avviene tramite la poesia: “la poesia non è cibo / ma se ti nutre / deve essere buona / poesia biologica a filiera corta / dall’idea alla parola / materia prima e ultima / dell’unico confronto possibile”…
Poesia dunque come unico mezzo, discreto ma sottilmente efficace, in grado di raggiungere direttamente, ma con delicatezza, le sfere più intime dell’animo umano per coinvolgerlo e sconvolgerlo. Irene Sabetta ne è consapevole, perché la sua è buona poesia, a filiera corta, diretta, senza ostacoli di punteggiature o distrazioni di pause e lettere maiuscole, ma perfettamente aderente allo scopo, alla funzione che in queste parole altamente poetiche l’autrice si era imposta: una dolorosa ricerca del (vero) io, in un mondo che ha sbagliato direzione umana e sociale da ormai troppo tempo.
ore 18.00
la risoluzione magnetica
registra aumento e diminuzione
e il compito di dire accende la corteccia
ma lo sforzo involontario che corruga la fronte
accompagna la necessità
ed il superfluo distruggendo insegna
il metodo è essenziale alla parola
epilessia bloccata di inalterabili funzioni
per aiutare medico e malato
ad ascoltare la voce di un neurone
frequenze variabili segnali fluttuanti
dal cuore al cervello alla balaustra
amleto in patagonia
nel dissesto della misura
il grande orologio batte un tempo tardivo
che al limite dell’intervallo
torna in voluta d’incenso
e schiva la punta della spada avvelenata
sono forse io il prescelto?
quello nato per archiviare i misfatti della storia
e decretare l’avvento di un destino giusto?
le mie azioni sono senza guida
e marciscono le risoluzioni
assieme ai fiori sulle tombe
troppe trame da dipanare
troppi occhi dovrei avere
per sondare il grembo buio di tutti i mali
eppure resto in questa landa squassata
a misurare i passi silenziosi
di uno spettro che vorrebbe dirci qualcosa
aerei
non è linea riconoscibile
che separa un mondo dal suo doppio
nel tramonto sfumato
al largo dei secoli in numeri romani
strati di ricchezza non allineati
si ammucchiano su un versante solo
per effetto ottico della distanza e dell’altezza
un mondo sembra l’altro
e tra africa ed europa solo acqua
campo minato
l’architetto del labirinto
è un idolo che avanza
con i serpenti nelle mani
e innesca tagliole
lungo la strada buia dei desideri
non sono mai stata qui
e so che la saggezza appartiene ai morti
non potrò fare altro
che giocare a nascondino
con il santo patrono delle cause perse
la poesia non è cibo
ma se ti nutre
deve essere buona
poesia biologica a filiera corta
dall’idea alla parola
materia prima e ultima
dell’unico confronto possibile
nessuna indicazione
molte trappole
un unico sospetto
che questa nave sia stata costruita
per naufragare
eclittica
il fato non è al di sopra delle cose
e i funerali non sono tutti uguali
quando i pezzi tutti d’oro
luccicheranno nell’erba
del gioco di scacchi interrotto
i piedi dei figli degli uccisi
correranno al ritmo del cosmo
e ogni treno arriverà puntuale
scienza e realtà occuperanno la stessa pagina
e coincideranno i peccati e le virtù
sul filo teso dell’orbita aurorale
sarà il giorno del pentagramma perfetto
in cui la mente si muoverà con i pianeti
a ricalcare la vita con precisione prima della scrittura
ripensamenti
seimila anni fa e oltre
quando le costellazioni
erano l’alfabeto del cielo
avremmo potuto inventare un’altra rotta
spostare di lato l’asse terrestre
e dormire nei fossi
nel solco della scrittura
si perdono le tracce di un misticismo
senza spargimento di sangue
dell’armonia muta dei corpi
l’immaginazione regala secondi pensieri
che la ragione non riconosce
il giudizio riposto nell’ovest
cancella i fiumi volanti dell’amazzonia
e i disegni sui volti dei guerrieri diventano macchie
hegel ha scritto che non può che essere così
‒ e gli hanno creduto
ma il rumore di fondo
che agita i mari e le giornate bianche
è l’eco del possibile che grugnisce in cattività
errore cronologico
oltre l’ordine morale delle cose
nello spazio anacronistico
dell’azione incerta
l’alone dell’errore assorbe
lo spessore della luce
e incrosta di vita l’intenzione
malinconica ricerca dell’io
in un pugno di polvere
discorso diluito nel sonno
tra un tradimento e l’altro
una cena e l’altra
dove il volto e la maschera non si toccano
tra le labbra e il bicchiere
tra la chiave non trovata
e la tasca bucata
inizia una spirale infinita
la retta via di fuga
dei pensieri latitanti
sulla curva
che euclide non vide
la lancetta spezzata dei minuti
annulla ogni racconto
e si fa giorno
Irene Sabetta, Errore cronologico, Il Convivio Editore,
2023. Postfazione di Franco Falasca. Foto di copertina di Sandro Figliozzi.
Irene Sabetta vive ad Alatri (Fr), dove insegna lingua e letteratura inglese al liceo. Suoi testi sono presenti su diversi blog, in antologie curate da vari editori, in “poemi collettivi” e riviste letterarie online e cartacee. Dal 2019 collabora con la rivista “Formafluens – International Literary Magazine”. Nel 2021 è stata finalista al premio “Arcipelago Itaca” e ha ottenuto il secondo posto al premio “Antica Pyrgos”. Nel 2022 suoi testi inediti sono stati finalisti al Premio “Lorenzo Montano” di Verona e al Premio “I Murazzi” di Torino. Nel 2023 è risultata vincitrice, nella sezione “silloge inedita”, al concorso “Carlo Bo – Giovanni De Scalzo” di Sestri Levante. Ha pubblicato i volumi di poesia Inconcludendo (EscaMontage 2018), Il mondo visto da vicino (Il Convivio Editore 2020), Nella cenere dei giochi (La Vita Felice, 2022). Errore cronologico (opera tra le vincitrici del premio per silloge inedita “Pietro Carrera” 2023) è la sua quarta raccolta.
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