lunedì 22 gennaio 2024

La poesia graffiante in "Sabbia aspra" di Francesco Randazzo

 

Spiazza e sorprende il lettore l’avvertimento che Francesco Randazzo pone all’inizio della sua raccolta poetica: “Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’inventiva dell’autore e vengono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o defunte, fatti o luoghi è assolutamente casuale.” Di solito ci aspettiamo di trovare una nota introduttiva, una prefazione o al limite una citazione. Ma ben ci sta questa precisazione, in Sabbia aspra, ed è in perfetta linea con il progetto poetico del nostro Autore, in quanto con grande intuito e arguzia descrive lacerti di realtà abnorme, spigolosa, annaspante (“Ansimano a volte le case, come gole strette, rauche, / irritate da vite costrette / e le mura si stringono / in lenti singulti rasposi…”). Il Poeta è sensibile osservatore ed è consapevole degli schemi ripetitivi e abitudinari, dei rituali che segnano la quotidianità, del falso perbenismo e dell’ipocrisia che spesso connotano i comportamenti in questa nostra società non del tutto schietta, appesantita e ingrigita da inutili stereotipi. Perciò l’avvertimento. È un modo di dire che l’Autore non ci sta, che vuole divincolarsi, denunciando il quadro negativo complessivo della storia attuale, accentuando nei suoi versi non privi di una certa ironia, quegli atteggiamenti, quelle pulsioni in giù, nel fosco e nel torbido. Non è la realtà distorta e maligna, ma è in fondo l’uomo che l’accoglie e la vive malamente, perversamente, perciò “A volte vado a letto vestito, / di tutto punto, giacca compresa…” Un agire per contrappasso, a dispetto delle solite normali maniere, o abitudini rituali, un comportarsi quasi al contrario, per riportare in vita l’originalità della persona, la schiettezza dei sentimenti e per essere aderenti e coerenti alla propria dignità umana, in questa realtà. È quanto emerge da questa sabbia aspra, in un contrasto quasi ossimorico tra il candore del creato e l’amarezza, l’asprezza dei tempi che corrono.

Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal libro "Sabbia aspra", di Francesco Randazzo, PortoSeguro Edizioni, 2022


Silenzio

 

Albeggi, tendaggi e sàgole,

pianto di rosmarino in bilico,

mentre sulla torre smemora

ogni sapienza esatta.

 

Dietro lo specchio opaco

ride la sfinge isterica

e con le mani stringe la cornice.

 

E poi silenzio, silenzio senza enigmi.

 

 ***

 

Ben vestito

 

A volte vado a letto vestito,

di tutto punto, giacca compresa,

ci fosse un terremoto fuggirei dignitosamente,

ci fosse un trapasso sarei già pronto,

ci fosse, come poi è, per lo più,

che semplicemente dormo,

me ne vado in giro ben vestito

nei miei sogni e al mattino

mi alzo ed esco così come sono,

con gli abiti stropicciati dal sonno,

e gli occhi furbi di chi va

continuamente tra due mondi,

senza andate e ritorni,

sempre in giro, altro dove,

altro quando, ben vestito,

spiegazzato di vita e di sogno.

 

 ***

 

Ai primi di novembre

 

Non mi piace venirvi a trovare, laggiù,

messi in fila, inscatolati nel cemento,

piantati nell’asfalto, freddati dal marmo,

con le date d’inizio e fine, perentorie.

Preferisco incontrarvi, come siete per me,

straordinariamente vivi e guariti dal male,

dagli errori e i rimpianti, bellissimi per sempre,

come forse non speravate o non avete saputo,

ma adesso e per sempre lo siete, in questo

enorme palazzo della memoria, il mio,

il nostro, che abitate con me, dentro stanze perfette.

Non ci sono rintocchi, né grida, né lacrime,

nessuno può disturbarci, persino ridere possiamo,

dimenticarci di tutto, rivivere solo il bene, sempre.

 

A qualcuno dovrò lasciare le chiavi,

ma questo palazzo non sparirà.

 

 ***

 

Chi resta

 

Chi resta, su strade di fumo,

tra pietre accatastate con cura,

alle finestre infrante e soleggiate.

Chi resta e fluttua, mosca bianca

sbattuta dal vento assurdo di Patmos

che soffia sulle tangenziali crivellate.

Chi resta e canta, come se volesse

andarsene ma resta ancora adesso

e nell’ora dell’assenza, carbonio,

sale, orchidea, cemento e pomice.

Chi resta e nessuno se n’accorge,

finché manca, rimpianto rasposo,

dentro qualcun altro che resta

e tutto si trascina senza coscienza,

come un sasso che rotola pigro

dalla roccia al mare, senza scampo.

 

 ***

 

Misura della fine

 

Racchiusi nel mobile antico, dolori di conforto,

raffinate porcellane, pianti dorati di Sèvres,

mascherine imprigionate nel Capodimonte,

argenti e cristalli di rimpianti e promesse,

traspaiono speranze, trasudano santità sprecate,

tutte le bambole dormono sognando risvegli,

cadono gocce di silenzio, un elegante vaso

racchiude tutto il vuoto e la perdita, azzurro

vibra su un diapason flebile, che subito smorza.

Non c’è nessuno, solo la polvere ha memoria

ormai inconsistente, spietatamente uguale

su tutto, su questo niente, su ogni piccola cosa

che ostinatamente permane senza più senso,

né dolci baci, né languide carezze, né sguardi,

né respiri, né pianti, né allegrie, resta soltanto,

questo svanire d’ambra liquida, misura della fine.

 

 ***

 

 Saliremo

 

Saliremo quelle scale senza fatica,

vorrei dirti, ma non so mentirti,

non sarà facile, questa è la verità.

Vorrei dirti che possiamo fermarci,

tutto sommato potrebbe andar bene,

ma sarebbe un errore sai, bisogna andare.

Perché questo è il bello di noi due,

quest’ostinato salire, inciampare,

rialzarsi, continuare, senza quasi

rendersi conto. Tranne poi, quando,

per un attimo sospeso, ci guardiamo

intorno, sorpresi e sgomenti, sempre

in bilico, tutto il mondo intorno a noi,

sollevati, con le mani strette insieme

e un capogiro che ci spinge ancora più su.

Non lo so dove arriveremo, che importa?

L’importante è questo andare, io e te.

 

 ***

 

 

Sabbia aspra

 

Ansimano a volte le case,

come gole strette, rauche,

irritate da vite costrette

e le mura si stringono

in lenti singulti rasposi,

persino l’aria s’indura,

e noi come sabbia aspra

bloccata dentro un orologio.

 

Vibrano a volte le finestre,

con un tremito strano, occhi

che sussultano paure e ansie,

e il vetro s’addensa opaco,

niente traspare, accecato,

silice ferita, stasi turbata,

e noi come sabbia aspra

mista a un pane raffermo.

 

Abbaiano a volte le porte,

ringhiano, ululano rabbia,

i chiavistelli sghignazzano,

le maniglie si nascondono,

gli stipiti reggono ottusi,

si sente un sordo masticare

che divora ecosistemi morti,

e noi come sabbia aspra

dentro un frullatore rotto.

Crollano a volte i tetti

stanchi di rinchiudere,

s’aprono al cielo spietato,

accolgono sarabande d’aria,

e noi come sabbia aspra

in una clessidra infranta.

 

Perché gli specchi sono indifferenti?

Perché gli ascensori non dicono la verità?

Perché gli armadi ci detestano?

 

Sabbia aspra, vetrosa, che bisbiglia

 

Francesco Randazzo, siciliano, ha pubblicato, con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti e due romanzi; ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi di drammaturgia e festival nazionali e internazionali. Le sue opere teatrali sono tradotte e rappresentate all’estero (Francia, Belgio, Spagna, Croazia, Slovenia, Usa, Canada, Cile).






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