Ed è proprio così: al poeta non sono dati limiti. Purchè quello che ha da dire venga proposto attraverso uno schema ed uno stile originale, capace di suscitare nel lettore altri interrogativi, rimandi, evocazioni, nuove sensazioni. E' il gioco delle parole all'interno del verso, gli accoppiamenti indovinati, capaci di creare nuove figurazioni; è il gioco delle allusioni, delle metafore, che allarga l'orizzonte e fa intravedere scenari imprevisti, inattesi. Così è la poesia di Vera D'Atri. Ricordo la fluidità e l'eco dei suoi versi in "Una data segnata per partire", e ritrovo qui, in questa selezione che potrete anche voi gustare e commentare, la sua poesia fortemente evocatrice, che raduna immagini da un capo all'altro della natura e del cosmo, per fonderle in un unico melodioso respiro.
Ben volentieri, dunque, pubblico qui di seguito uno stralcio poetico di Vera D'Atri, con la speranza che gli amici possano e vogliano aggiungere qualche loro interessante commento.
*
Allora scalzo venne il tempo a mantenere segreta la luce
come un campo la semenza.
Cadde l’alba. Con occhi dilatati il più piccolo dei tuoi respiri
spezzò infiniti intrecci.
Sopra il letto, l’umido e tenue odore del risveglio
venne a dire è lo spillo, è la farfalla.
A quell’ora, a quell’angolo,
la città schiariva la larga faccia di travertino
come avesse avuto bisogno di suscitare ancora
un moto di speranza.
(Sola o non più sola) dentro ad un’ipotesi, quale il dettaglio
o quale inconsistente spartire adesso per non lasciarti andare?
*
Rospi e ninfee, cortecce senza cuore.
Al cartografo non interessa tutto questo.
Il cartografo segna i limiti, traccia le coste,
sul suo foglio rimpicciolisce ogni cosa.
Della Terra dà visione intera placando l’indeterminatezza
del nostro percepire.
Segna il mare in blu e la terra in verde, in marrone le montagne,
in bianco i picchi più alti, in azzurro lo zigzagare dei fiumi
e le macchie immutabili dei laghi, addobbando d’ocra i deserti.
Felicità del semplice. Gamme leggibili e apprezzabili
contrapposizioni.
Rospi e ninfee, cortecce senza cuore non appaiono.
La minuzia che dilania e satura i pensieri
appartiene al poeta. Al poeta
non sono dati limiti, egli è libero come una solitudine
d’afferrare l’invisibile e l’altrove o di concentrare se stesso
sulla nudità pastosa di un labbro, sulla piega
malinconica e impercettibile che assume dopo il sorriso.
Ne ha di cose da ingrandire il poeta.
Ma io, che sono poeta, avrei volentieri fatto il cartografo
se non ti avessi conosciuto,
avrei convintamente trascurato rospi e ninfee, cortecce senza cuore
pur di restare entro limiti sicuri,
tentando la fortuna dei materiali esatti
e delle linee artificiali.
*
E come a dire è solo questo il ricominciare;
il rompersi del buio
tra le rotaie lungo il marciapiede e l’erba nera,
dentro lo sfiato polveroso di una tristezza ovale, corale, madornale,
l’incredulo passato rappreso nelle tasche
fatto di giochi fatti, l’attesa dei colori,
laggiù,
dove sconfina il blu del paradiso
prima che arrivi il sole, quel mezzano, a utilizzarlo nell’acquerello
del mattino.
*
E’ sufficiente una sola balena all’orizzonte
per annerire il mare, determinando, da quel momento in poi,
che tutto il mare muove
in avvertimento
per suo inabissarsi.
Un attimo prima la serenità dell’azzurro.
Un attimo dopo la paura dell’ombra.
La paura dell’ombra poi è per sempre.
*
Era venuto un giglio a dedicarsi tutto
alla bellezza
ed era finito stracquato nella terra gonfia
come non avesse mai sorriso.
Così è l’inverno a dirci chi siamo.
La casa conosce il ritrarsi mattutino delle stelle.
Questo svanire discreto sarà presto nei gesti di sempre.
E in tale forma si presenta e in perfetta monotonia
il diroccarsi dei ripari,
quando mancano anni alla burrasca
e il comandante, bandiera contro, se ne sta nello studio
tutto arrotolato
ad uno smilzo bastone,
come una profezia non confermata.
Forse non sorrideremo mai;
ogni paziente rinuncia,
è un argine slabbrato, una regione insicura che inghiotte
la nostra miopia.
*
L’alleanza tra la fiaba e la vita passa attraverso questa miopia
di fodere a fiori,
il modo di scherzare che hanno con i mobili
a ridosso della parete,
leoni marini su rive di un lontano oceano senza voce.
Sopra la tavola l’acqua che scolora il vino
e il pallore di dicembre, laconico tra le losanghe delle grate,
così, al riparo della casa,
corolle crescono attorno ad un cespo di silenzio;
Per essere veramente al sicuro
brinderanno assieme al domani.
Ecco, due ombre ora gettano la loro vita
nell’intreccio delle mani, hanno paura e scherzano,
mentre la prima stella si posa
al di là del muro, proprio sopra al cesto delle mele vizze,
anche lei bianca di freddo e solitudine
come un’Immacolata dai tratti sfuggenti.
*
Preziosi i luoghi e prezioso
l’arpeggio delle mosche in gran ritmo
su meritevoli fili d’erba e capocchie gialle.
I tronchi ai lati. La strada che compie una partenza
mettendo al centro gli oscuri pensieri del ritorno.
Per quanto, senza volere, li dimentichiamo stritolando
sotto le scarpe
un’infinità di soggetti e di oggetti.
Ma evitiamo i cespugli. Evitiamo
di smagliare la natura,
di principiare a confonderci col tatto.
Prendiamo tempo; nessun arrivare, nessun cogliere.
C’è tanto e manca un senso, mancano
le progettuali dinamiche di ogni giorno.
Che la precisione, poi, continui a sbagliare,
non includendo panorami senza opinioni tra le beatitudini,
ci sembra impossibile.
In terra le formiche.
Tante, formidabili. Le superiamo lasciandole lavorare,
mentre pensiamo che indubbiamente,
nella vita di prima, con gusto e apologia di morte
le avremmo schiacciate.
Vera D'Atri è nata a Roma, vive a Napoli dal 1972. Archivista, solo dal ‘97 inizia ad interessarsi di letteratura. Ha all’attivo alcune pubblicazioni di racconti in ambito antologico a cura della libreria Evaluna ( “Raccontandosi”) e dell’editore Di Salvo (“Malamore”).
Una prima raccolta di poesie, “Il museo di vaniglia”, viene fatta circolare a cura delle Edizioni La Biblioteca, con commento di Giovanni Pugliese. Segue una menzione di merito al concorso Lorenzo Montano, diciassettesima edizione, con la raccolta “Abitare Sparta”. A fine 2009 esce “Una data segnata per partire”, raccolta di poesie edita dalla Kolibris di Bologna.
A luglio 2010 esce “Buona bella brava”, libro di narrativa edito dalla Robin.
Quarto premio ex aequo al concorso “La vita in prosa” 2011 con il racconto “Il gatto rosso”.
Vera è una poetessa grande, la sua scrittura è un dono per chi la ascolti, e dico "ascolti" perchè quella di Vera è una scrittura che suona...
RispondiEliminaleggo, tra le altre altrettanto belle, il cartografo, che già avevo ascoltato dalla voce di vera e "sentito" intensamente: originale, intelligente, senza smagliature: un'idea e versi che si ricordano, che non si confondono con altri versi. originale nell'assoluta apparente semplicità, come è difficile a farsi. originale oltre ogni esibita ricerca di appariscenti originalità. guarda, per esempio, la perfetta, antica punteggiatura: il nuovo di cui vera è capace sta ben oltre il sacrificio del punto e virgola. "e come a dire è solo questo il ricominciare;". marco de gemmis
RispondiEliminaE' con gioia che leggo i testi di Vera D'Atri, poetessa di grande spessore che molto stimo. La sua traccia poetica si snoda in un percorso che qualcosa ha a che fare con la prosa, con il raccontato minuto ed elegante, nell'osservare piccole e grandi realtà del mondo. In questi testi la Natura si fonde con l'interiorità più profonda e a tratti mi ricorda Mary Oliver nell'intreccio di dettagli naturalistici offerti. "Allora scalzo venne il tempo a mantenere segreta la luce come un campo la semenza" un incipit che ha tutto il respiro del tempo lasciato a decantare nell'evolversi delle stagioni e del loro maturare. E' una poesia completa, fine e deliziosamente introspettiva che porta con se tutti gli elementi narrativi e poetici di cui la sua penna è capace. Con stima grande, un caro saluto a Vera e all'ospite Giuseppe Vetromile.
RispondiEliminaFederica Galetto
Vera è scrittura di quella che prende e non lascia più. La sua poesia emanata dal vivere quotidiano, poggiata sulla minuzie del racconto, sul narrato poetico di spessore, retta dalla forte impalcatura
RispondiEliminadi un linguaggio ricco di grande esperienza, invade ogni spazio nella mente del lettore che se ne impossessa perché propria. Vera D'Astri è scrittura!
Non posso che ringraziare la scrittrice per i momenti belli che regala e Giuseppe per l'ospitalità che riserva a questi bravi autori.
Grazie
Sebastiano A. Patanè
Prima di ogni altra cosa mi affascina il linguaggio delle poesie di Vera, deciso e dolce al tempo stesso, che avvolge senza prepotenza. E' una poesia che incanta per la varietà e lo spessore delle sonorità quanto delle immagini che sembrano guidare l'orecchio e l'occhio di chi legge quasi come una telecamera che scruta silenziosa e discreta l'anima delle cose. Complimenti!
RispondiEliminaKetti Martino
belli questi nuovi versi che proseguono un percorso già ben avviato e delineato. una scrittura chiara e semplice e un tono medio che interpretano realtà circostante e realtà interiore in un fitto gioco di corrispondenze e rimandi, che aprono spazi a smagliature e incrinature che sono la meraviglia del poetare
RispondiEliminacarmine de falco
E'vero, sono musica i versi di Vera D'Atri, che risuonano di una eleganza di stile e di pensiero, nella quale pur si annida una concettualità complessa: di moti dell'animo, di percezioni del profondo, del senso dell'essere dell'uomo. Profumano di saggezza, di tensioni che abbracciano tutto il reale. Anche le cose si animano di vita e partecipano dello smarrimento dell'uomo dinanzi alla solitudine, alle ombre della paura, all'andare sempre mutevole del tempo, al cambiare inesorabile delle cose, alla perdita. "Era venuto il giglio a dedicarsi tutto alla bellezza...". Mi piace la padronanza che ha della parola, la duttilità con la quale ella plasma il verso. Grazie, Vera, per queste emozioni che sai trasmettere, per questa non comune sensibilità.
RispondiEliminaAgostina Spagnuolo
Come una pittrice distribuisce sulla tavolozza pennellate di colori, così la poetessa usa parole per desrivere sensazioni, che sembrano materializzarsi sotto i sensi di chi legge. La sua è la poesia dell'assenza, che dà più vigore alla presenza: "così è l'inverno a dirci chi siamo" e "prendiamo tempo; nessun arrivare, nessun cogliere". La poesia di Vera D'Atri scava nel profondo.
RispondiEliminaAdele Di Pietro
La poesia di Vera D'Atri, nel suo proporsi sereno e quasi colloquiale, cela a ogni passo la scoperta, l'invenione/rivelazione, sicché, accanto a spunti gnomici e meditabondi, guizza l'inedito, la felice intuizione, l'appagante parola che, vivida, disseta. E, anche di fronte alla negatività della vita, questa poesia (peraltro ricca e matura) rimane composta e discreta.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Molto apprezzato questo ritaglio di versi: una poesia concentrata molto sulla sovrapposizione continua di io e terra, io e natura. Molto delicata, quasi prosa a tratti.
RispondiEliminaPiaciuta molto.
Saluti a tutti!
Anila
Concordo con i commenti che mi hanno preceduta. Grande bellezza e profondità in questi versi. Immagini, metafore, colori si intrecciano e si dipanano in un vorticare di sensazioni, di luci e di ombre. “Un attimo prima la serenità dell’azzurro./ Un attimo dopo la paura dell’ombra./ La paura dell’ombra poi è per sempre…”
RispondiEliminaMi affascinano il ritmo e la musicalità dei versi di Vera D’Atri, che ho avuto già il piacere di leggere e commentare sul blog di poesia di rainews24.
“L’alleanza tra la fiaba e la vita passa attraverso questa miopia / di fodere a fiori..” Una messa a fuoco che manca di nitidezza…mentre lei definisce molto bene i concetti che vuole esprimere, quasi li scolpisse. E mi piace questa velata ironia che rende più lievi e aggraziate le sue poesie. Vera D’Atri ricerca il suo altrove, l’altrove del poeta, in attimi sospesi nel tempo (“Prendiamo tempo; nessun arrivare, nessun cogliere…”) a sconfinare, a muovere il mare…e a superare formiche... Cose apparentemente impossibili, ma non per il poeta a cui non sono dati limiti!
Monica Martinelli