domenica 10 marzo 2024

"La parola in ascolto", di Lucianna Argentino

Il silenzio. Sembra strano, rimanendo in ambiente poetico, prendere in considerazione questo termine, che in un certo senso appare addirittura ossimorico, cioè opposto alla parola, al suono della parola, a ciò che la parola produce in chi l’ascolta. In effetti non è proprio così, e Lucianna Argentino ne è ben consapevole, tanto da, esperta poetessa qual è, approda, avvertendone l’intima necessità come afferma anche nella sua introduzione, ad un lavoro intenso e dettagliato sul silenzio, che intitola proprio La parola in ascolto. Non è un libro di poesie, ma tratta sicuramente di poesia perché solo un poeta, solo un creativo, un artista, sa cosa è il silenzio e soprattutto come questo sia intimamente legato alla poesia.
Non poteva esserci titolo più appropriato, dunque, perché per un poeta il silenzio è fondamentale: a parte i molteplici interessanti esergo con i quali Lucianna Argentino introduce il suo lavoro, ritengo peculiare la prima definizione che apre l’intero saggio: "L’ascolto è il terreno da cui nasce la parola poetica perché il silenzio è per l’anima ciò che lo spazio è per il corpo. Apertura. Esercizio. Intimo movimento di ciò che dà voce all’essenziale."
L’idea davvero singolare di Lucianna Argentino è stata quella di raccogliere, in questo libro, riflessioni e commenti intorno al concetto del silenzio, esprimendosi però con brani in prosa che hanno tutta l’atmosfera e la valenza della forma poetica. Certamente, sono riflessioni personali e condivisibili, e certamente hanno anche un contenuto filosofico considerevole, ma sono soprattutto moduli poetici autentici che indagano in profondità sui molteplici aspetti del silenzio, in tutte le sue articolazioni e relazioni con il mondo personale e con la quotidianità della vita di ognuno. "Il silenzio è"…: così inizia ogni modulo, con la susseguente definizione che ne completa il brano.
La parola in ascolto, dunque: non può esserci creazione poetica se non si attingono proprio dal silenzio quei brani, quei lacerti di mistero e di incomprensibile razionalmente, che siano poi in grado di formare una struttura propositiva poetica interessante e originale, che sia anche valida e condivisibile per tutti. Lucianna Argentino ha voluto donarci, con questa sua opera, un interessante contributo alla comprensione del mondo della poesia: da dove nasce e su cosa si fonda.

La parola in ascolto, di Lucianna Argentino, Manni Editore, 2021.

Libro presentato in occasione del secondo incontro 2024 della Rassegna "Poesia è... Rinascenza", di Melania Mollo e Giuseppe Vetromile. 

Pollena Trocchia (Na), 9 marzo 2024




 

 

 

mercoledì 6 marzo 2024

I "Futili arpeggi" di Antonio Spagnuolo

Non è affatto facile entrare nel mondo poetico di un autore come Antonio Spagnuolo: è un mondo complesso e articolato, dove la creatività si nobilita assumendo forme, contenuti e armonie poetiche di altissimo livello, e l’uomo-poeta non è più scindibile in uomo e in poesia, ma è e rimane un tutt’uno, un solo luminosissimo raggio, una sola incommensurabile Parola fatta di carne, di spirito e di pura Poesia, lungo tutto il percorso della sua vita. E Antonio Spagnuolo è Poeta, con la “p” maiuscola, perché nella sua persona è la poesia, quella vera, quella seria, quella sofferta e sperimentata attraverso anni di lavoro e di impegno, di ricerche e di studi, con una frequentazione assidua del mondo letterario, con pubblicazioni e saggi critici di grande spessore, con la fondazione e direzione di riviste letterarie importanti e collaborazioni con case editrici rinomate.
Dice giustamente Carlo Di Lieto nel suo saggio critico che completa, in appendice, la raccolta Futili arpeggi: “Antonio Spagnuolo, poeta di squisita finezza, prosciuga nella sua essenzialità il “pensiero iconico”, facendo emergere echi di un oltre inattingibile e cifre inquietanti di un’inconscia pulsione scopica”. E a rinforzare tale affermazione del Di Lieto, è lo stesso Spagnuolo quando ribadisce, nella sua nota introduttiva intitolata proprio “Cos’è la poesia?”, che la poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della poesia. Sappiamo benissimo che è veramente arduo definire cosa sia la poesia: molti non si esprimono in proposito, per non cadere nella banalità o nell’ovvietà, ma Antonio Spagnuolo può permetterselo, perché lo fa e lo può fare, con cognizione di causa, e nessun altro, o pochissimi, possono, a mio giudizio, proporre una definizione per la “poesia” che abbia un senso profondo, come da lui suggerito.
Ma veniamo a Futili arpeggi: brevemente, perché, come dicevo più su, il mondo poetico di Antonio Spagnuolo è vastissimo e non basterebbero pagine e pagine di commenti critici per circoscrivere esaurientemente la sua poetica. Il titolo, che sempre in qualche modo cela il segreto nocciolo significativo di una raccolta ben strutturata, evidenzia la ricerca quasi spasmodica, incessante e sovente infruttuosa (futile!...) di un altrove esistenziale e sentimentale, che soltanto con la poesia (arpeggi!...) può essere sperimentato, intuito e (asintoticamente) raggiunto. È quel pensiero iconico, ben sottolineato dal Di Lieto, che si configura nella poesia di Antonio Spagnuolo, quando travalica i confini della quotidianità per cantare un mondo di pura armonia, intriso di afflati emotivi e sentimentali, ricordi, memorie.
La poesia è un modo per scrutare nell’inconoscibile, per riportare in questa vita lacerti di quell’altra realtà, fatta appunto di ricordi, di sogni e anche di illusioni, tuttavia necessari ad alimentare l’anima. Un lavoro continuo e strenuo, che il poeta deve necessariamente compiere, perché, come declama Spagnuolo, “Fare poesia è attingere chimere, / ipotesi di azzardo e di speranze / con ritmo serrato oltre il silenzio.”

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dalla raccolta Futili arpeggi:


Fili

 

Ho appreso il canto argentato della sera

con la semplice follia delle mie nostalgie

ricamate con fili d’argento

alle pareti.

Ripetono un sussurro fianco a fianco

nel tepore della malinconia,

tra le porte che si affacciano sul nulla

e gli armadi ormai vuoti.

Fra la nuda verità che si attorciglia

su se stessa

e il profilo che esclude confini

riprender fiato è come spaccare il cuore!

 

 ***


Dentro la poesia

 

Governare i marosi delle idee,

per sostenere il flusso di parole

iridescenti al raggio di chimere

e ricamare al gioco come il vento,

così la penna scivola irrequieta

stregata dall’incanto di un pensiero.

L’altrove è come anelito sfiorato,

inquieto alla ricerca del sussurro

che anela ad una sorta di abbandono.

Sfugge realtà strumenti e vibrazioni

cercando quel filone colorato

che rinnova nel segno ogni pulsione.

Ecco il poeta inquieto e delirante

nel sentimento che trema per le attese,

proteso come il filo di aquilone,

o clown cadenzando l’infinito.

Fare poesia è attingere chimere,

ipotesi di azzardo e di speranze

con ritmo serrato oltre il silenzio.

 

 ***

 

Rapinando alfabeti

 

La chiave non è più segreta,

inquieta per quel diamante incompiuto

che ci riavvolge nel diverso rischio

di una rimessa in gioco.

Pulsa parole lasciando margini addensati

e simboli da decifrare al tocco.

Altro impegno ha il pulsante e la figura

si staglia nelle coordinate, o in slash,

affollando emozioni irrazionali,

delineando esplosioni colorate

per un diagramma colto di sorpresa.

In questo eterno scorrere a mezz’aria

punta trepidazioni ed esplorando

immagini si affollano

nel canovaccio di sottile incisione.

 

 ***

 

Catene

 

Inseguo confuso la tua assenza

quasi fantasma lieve al palpeggiare,

per riaccendere il sesso corrusco

che devastava richieste più scomposte.

A spargere rimpianti come carne

è un travisamento ad ogni segno,

perché rispondi tra mirti d’argento

con labbra in un debito peccato,

ritornando a tempeste fuori meraviglie.

Dissolta ogni incognita un sanguinario

fedele prestigio riprende occulte catene

e mi impaura ogni dubbio.

 

***

 

Galassie

 

Eri dolce nel sogno

tempo che scorreva indelicato

per le mammole scalze

e il passo lieve del midollo.

Ti voglio bene fu soltanto un sussurro

al bivio di galassie ormai smarrite.

Lento ruotare di pupille e ciglia

naufrago incespicando tra macerie

quasi impotenti ai riflessi

che erano allora ultimo messaggio.

Perdute traccia compromesse agli zigomi,

bianca e dorata in mille segmenti

ripeti giravolte e ritornelli.

 

***


Conteggio

 

È giunto il tempo di chiudere i conteggi

e affido il mio bagaglio di poeta

all’illusione dell’eternità.

Le virgole, i puntini e sospensioni

che bloccavano spesso il mio sussurro

pungono a piena pioggia nei ricordi.

Il brusio, poi ingoiato dal silenzio,

prometteva la landa desolata

o un cenno di splendente infinità.

Nel dubbio della fine che sorprende

tracce di gemme e di immortalità,

oggi è il frammento di un ultimo demonio

che declama il mio esitare vano

nell’ardente supplizio d’intervalli.


Antonio Spagnuolo, Futili arpeggi, La Valle del Tempo Ediz. 2024, con un saggio critico di Carlo Di Lieto.

Antonio Spagnuolo è nato a Napoli nel 1931. Ha fondato e diretto negli anni ottanta la rivista “Prospettive culturali”, alla quale hanno collaborato firme autorevoli. Redattore della Rivista “Realtà” al tempo di Aldo Capasso e Lionello Fiumi. Ha fondato e diretto la rivista “Iride”.
Ha fondato e diretto la collana “L’assedio della poesia”, dal 1991 al 2006, pubblicando Autori di interesse nazionale.
Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, inserito in molte antologie, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana “Frontiere della poesia contemporanea” per La Valle del Tempo edizioni e la rassegna “Poetrydream” in internet. Presiede il premio “L’assedio della poesia”.
Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo, rumeno, arabo, turco.
Ha pubblicato più di 40 libri di poesia, quattro volumi di narrativa e due per il teatro.



giovedì 22 febbraio 2024

Il "Desiderare" poetico di Stefania Bortoli

Come appunta diligentemente Alfredo Rienzi nella sua dotta prefazione a questo nuovo libro di Stefania Bortoli, che qui segnaliamo, l’oggetto del “desiderio” è da ricercarsi in qualcosa che non si ha, o perlomeno che si cerca, nei meandri delle proprie visioni, dei propri sogni, dei propri progetti di vita. Desiderare è dunque il laconico titolo di una raccolta poetica che, assolutamente, laconica non lo è. Sic et sempliciter, il titolo racchiude in sé, come spesso accade, ed è buono che lo sia!, tutto l’ordito poetico della raccolta, il nocciolo, l’essenza di tutto il progetto; progetto che è ampio, articolato, diversificato, pur concentrato in quella parola, in quel verbo, “desiderare”, che è l’imperativo iniziale da cui e per cui muoversi lungo una linea esistenziale ed emotiva che va e prosegue oltre il sé, solca la natura e l’umanità, attraversa gli affetti, i ricordi, i luoghi, i momenti.
Già in Promessa di dire (Book Editore, 2016), avemmo modo di notare questo movimento del suo animo in tendenza verso il “desiderio” (“Il desiderio del tempo in attesa del disgelo”… https://transitipoetici.blogspot.com/2022/04/stefania-bortoli-e-la-sua-promessa-di.html del 25/4/22), e che ora si concretizza diramandosi in tutta la raccolta, esaltando ancora di più l’anelito della sua ricerca di un luogo (o meglio, un non luogo) dove vi si possano concentrare tutte le positività (i desideri) del mondo, in tutte le sue manifestazioni. E allora è indicativa anche la suddivisione della raccolta in varie sezioni, o meglio aspetti di questa realtà: “Il giardino dell’attesa”, “Canto del silenzio”, “Confini d’acque e isole”, “L’amore accade”, “La vita tenace”: tutte particolarità di fatti, di luoghi, di sentimenti, di riflessioni, che confluiscono nella grande aspettativa, o desiderio, di una realtà finalmente autentica, piena e del tutto aderente alle proprie visioni.
La poesia è un mare che bagna territori sconosciuti, ma che si intuiscono, sognandoli e prevedendoli, proprio grazie ad essa. La poesia dolce, melodica, intelligente e perspicace di Stefania Bortoli, in Desiderare, raggiunge e lambisce questi territori, i propri e anche quelli universalmente da condividere, in forza della sua potenzialità ad indicare, a suggerire, ad alludere ciò che di bello e di grande, di nobile, sta fuori di noi, a cui tendiamo progressivamente, per esserne sempre degni in un mondo che ancora tende a ripiegarsi sulla sua nullità.

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro:


Si era addormentata

fuori dal tempo l’anima perduta

Dentro l’inconscio sogno

come profondo sonno

cieco

velato nei varchi dei sogni

 

Nelle vene esangui

l’eco remoto

del mio cuore desolato

 

In un’altra parte del tempo

aspettava una rosa purpurea d’aprile

 

 

***

 

Libera i tuoi occhi che vedono

l’ombra più scura

dove è intensa la luce

 

A gennaio

il seme è fiducioso

e riposa sotto la neve nel gelo della notte

 

Finalmente il giardino dell’attesa

è solitario – vuoto

Custodisce,

coltiva la mia solitudine allargando le braccia

 

Ai luoghi imprevedibili

si radica la parola poetica

immergendosi nell’ascolto

delle voci umane e delle ferite della terra

 

 

***

 

Ieri notte mi è venuto a cercare

un sogno color rosa

con un treno carico di animali.

Era segreta la destinazione –

forse andavano in un luogo di montagna.

 

Eppure, quel frammento di roccia

frantumata – ricoperta d’erica

mi ha condotta nel luogo di un ricordo perduto.

 

Mi sono ritrovata a salire

dove cresce indomita l’erica rossa – solitaria.

 

A marzo,

sfugge il canto degli uccelli

alle impervie rocce

sale dalla terra riarsa – deposita germogli e semi.

 

Ecco la tenacia della natura selvatica

in attesa di una lenta pioggia…

 

 

***

 

Quelle voci erano sussurri

lingue familiari ascoltate – interiorizzate.

Mi proteggevano

come una fantasia d’armonia

mentre tracciavano destini del desiderio

sotto la sabbia.

 

Ci pensò il corpo e la parola

a trasformare tutto ciò che non mi assomigliava.

A dare un nome alla passione del possibile

all’isola innominabile – inattesa.

 

E alla voce umana che esce dal mio corpo.

 

 

***

 

Non dimenticare

che esiste la linea di un orizzonte

sotto la casa che s’apre al cielo stellato

una striscia di terra feconda

sotto i piedi dell’Angelo

 

L’Angelo dell’ultimo silenzio ripone le ali

ora riposa –

o forse è in attesa?

 

Senza sforzo vede –

si offre alla necessità del volo

respira la vista in te smarrita

 

Al suo sguardo non sfuggono

le verità nascoste – il peso di una foglia

 

 

***

 

Nei campi incolti – lungo corsi d’acqua

crescono le margherite dei fossi

– i topinambur selvatici –

insieme li abbiamo trovati

nel vivo sole d’autunno

 

A novembre

mi fermo con la soletudine dell’heliantus:

si inchina a ricevere

la luce rara – ormai sparsa nel vento


Stefania Bortoli, Desiderare, Arcipelago Itaca Edizioni, 2023; prefazione di Alfredo Rienzi


Stefania Bortoli è nata a Thiene e vive a Pove del Grappa. Si è laureata in Pedagogia all’Università di Padova ed è stata docente di Lettere al Liceo Artistico.
Sue precedenti pubblicazioni: Voci d’assenza, 2012; Con la promessa di dire, 2016.
Sue poesie sono presenti in blog letterari quali “Di Sesta e di Settima grandezza”, “Blanc de ta nuque”, “Perigeion”, e nell’Antologia “Transiti Poetici” Vol. XXVII (2021).
Partecipa a rassegne, letture e incontri di poesia.

 


lunedì 12 febbraio 2024

I "Paradigmi della complessità" nella poesia di Silvia Elena Di Donato


Nella grande, anzi grandissima produzione di opere poetiche che si riscontra oggi in Italia, non mancano certamente testi considerevoli e meritevoli di attenzione, accanto ad una moltitudine di libri che soltanto mediamente possono considerarsi appartenenti alla categoria “poesia”, ché di questa hanno poca o addirittura nessuna parvenza.
Altre volte, rare volte, ci si può invece imbattere in capolavori assoluti, almeno da un mio modesto parere del tutto personale, però confortato da decenni di letture, ricerche e approfondimenti della poesia contemporanea. Mi riferisco dunque a Paradigmi della complessità, di Silvia Elena Di Donato, che in questo spazio molto volentieri mi accingo a segnalare. Una raccolta di poesie pregevole, sia per il contenuto e sia per la elegante veste tipografica con la quale la Di Felice Edizioni, casa editrice di tutto rispetto, ha voluto confezionarla. Una colta prefazione di Vincenzo Guarracino, impreziosisce ulteriormente la silloge. Trovo molto significativo il fatto che (finalmente!) la raccolta non è “a tema”, cioè non è dedicata ad un particolare argomento, più o meno attuale, più o meno sentimentale o sociale (l’amore, la famiglia, la donna, l’emigrazione…), che, per quanto interessante e incisivo, a volte può adombrare o banalizzare l’argomento stesso. In Paradigmi della complessità è la Poesia stessa, la poesia pura, a essere argomento di sé stessa e nello stesso tempo tema che avvolge totalmente la realtà e l’esistenza. E un dettato che fonda sullo spessore e sulla potenzialità della parola poetica, sulla sua “verticalità”, la sua essenza, è senza dubbio da considerarsi veramente e pienamente aderente ai criteri con cui si scrive, si deve scrivere, di poesia. Silvia Elena Di Donato è all’interno di questa linea pura, con la sua poetica di Paradigma della complessità, in cui compie un viaggio nella e con la parola, per dire l’essenza del mondo, della realtà circostante, della sua filosofia di vita. Attenta osservatrice del mondo fuori dalle sue stanze, sublima in versi il senso del creato (“Siamo quello che accadiamo… dispiegata geometria della durata…”), dove il tempo e lo spazio si congiungono in un’unica dimensione esistenziale, e dove la materia non pesa, non ha consistenza, bensì trascende sé stessa elevandosi. In tutto questo, l’amore è collante e ponte che unisce e integra la fisicità del creato con quella dimensione d’attesa asintotica d’infinito (“L’eternità inserita nel mondo”…).
Paradigmi della complessità, in un mondo che andrebbe semplicemente compreso e affrontato con la verità del proprio cuore. Con l’unica verità: la poesia.

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal libro


Elegia di un tramonto

 

Sospesa sulle spalle di Atlante

la luce sferica di un sogno di carta

 

Parole. E mani

– ancelle e sassi –

– Esperidi d’oro all’estremo occidente –

 

Il mondo fuori dalle mie stanze

 

E respiri a picco sul mare lontano

 

 

***

 

Il breve addio

 

Strade, rena, passi

fino a qui

dove ora bevo la terra

salata più del mare

 

manca l’aria

in questa landa

senza parole

 

e mancano i tuoi baci

– sassi smarriti

sulla riva del mezzogiorno –

 

li raccoglierà l’attesa

in ceste pazienti

 

e altre strade, altra rena, altri passi

ti condurranno

ad abitare i tuoi sogni

 

 

***

 

La lente

 

Siamo quello che accadiamo

e quello che accadremo e già accademmo

 

dispiegata geometria nella durata

 

modi

 

archetipi memorie e mito, cifre

intagli d’infinito

 

mente parola azione

la bocca dei profeti

la sapienza di Salomone

 

effetti cause compimenti

rovine sedimenti ed intuizioni

discorsi opinioni ed algoritmi

 

chiare e distinte mappe o inadeguate

errori di pronuncia e ortografia

scritture provvisorie di un’idea

distese di solitudini e di attese

 

Siamo quello che accadiamo

e quello che accadremo e già accademmo

congiunzioni non lineari

connessioni sincronicità e metafore

chiarore raro perfetto e benedetto:

 

l’eternità inserita nel mondo

 

 

***

 

 

Alfa e omega. O della finzione suprema

 

Fingere una finestra

in queste nostre vite

variamente dislocate e riunite

 

Farsi soglia di corrispondenze

sospesa nell’aria

 

Guardare adeguatamente

di là da un muro, di là da una siepe:

 

Svelare l’infinito in ogni parte

del tutto

 

La materia non pesa: eleva

La commozione è azione: di conoscenza

 

Così questa poesia: è l’unica verità

 

 

***

 

Il canto del sapiente

 

Facciamo sogno ogni nostro giorno

noi segmenti di un unico codice

non altrimenti vivi se non cifre

tradotte in pelle e in alfabeti e amori

misurate colonne rastremate

fin sotto al peso delle trabeazioni

o migrazioni senza gravità

come profumo di zagare e acacie

visioni agli occhi dell’aedo cieco

che dall’inizio ci conobbe mito

 

perfetti paradigmi

della complessità

 

 ***

 

Clairvoyance

 

A Federico Leoni, il mio maestro

 

Portami sulla vetta

che non conosce sospetto

né lingue mutile e confuse

 

dove si fa chiaro

che non c’è amore sprecato

e ogni senso si squaderna perfetto

nella misura dei fatti

nel tutto che accade

 

Portami dove non si manca alle promesse

perché non si crede alle delusioni

 

Portami al punto d’osservazione giusto

dove le parole si fanno mondo che so vivere

e il mondo parole che so dire

 

E lì tienimi

sull’orlo del cadere

vertigine e funambola che mai cade

 

Silvia Elena Di Donato, Paradigmi della complessità, Di Felice Edizioni, 2024; prefazione di Vincenzo Guarracino.

Silvia Elena Di Donato, nata a Pescara nel 1976, vive a Manoppello. Laureata in Lettere classiche e in Filosofia, insegna presso il Liceo Classico “G. B. Vico” di Chieti e cura costantemente interventi di carattere storico e letterario sia su periodici locali sia nell’ambito di rassegne e manifestazioni culturali. Con la raccolta poetica La maschera di Euridice (2018) si aggiudica numerosi premi e riconoscimenti, guadagna diverse recensioni e viene segnalata anche su La Lettura del Corriere della sera; nel 2019 è invitata a presentare la silloge presso il Centro di cultura italiana “Dante Alighieri” di Bahia Blanca, in occasione della settimana della lingua italiana nel mondo, e nello Spazio arti della Casa Alda Merini a Milano.

mercoledì 31 gennaio 2024

La poesia de "L'altra mano" in Asia Torreggiani

La consapevolezza di una sottile linea di demarcazione tra la realtà circostante e il mondo visto con gli occhi del cuore, così come si vorrebbe che fosse, si connota in modo accentuato nei creativi, negli artisti, nei poeti, i quali giungono ad esprimere con la propria arte questo disagio interiore, questa intima sofferenza nel dover comunque condividere comportamenti e quotidianità che non aderiscono mai perfettamente alla propria natura, al proprio avvertire il vero senso delle cose e della società.
È il caso di Asia Torreggiani, giovane artista, ballerina e poetessa di origini marchigiane ma residente ora a Parigi, che con questa sua silloge d’esordio, L’altra mano, edita da Interno Libri nel 2023, rimodula profondamente questa interna dicotomia tra i propri sentimenti, il proprio mondo, e la realtà esterna; una realtà che vede lontana, distaccata, indifferente ai moti propulsivi e rigeneratrici dell’amore e degli affetti: “Due voci lontane dagli spazi, / delle bussole fisse, / non si spostano…”. È indovinatissima qui la metafora della bussola, ad indicare posizioni (leggi: comportamenti) stereotipati, standardizzati da una società, come quella odierna, che persegue un andamento esistenziale monotono, ciclico, quasi ritualistico.
Ne deriva un desiderio di distacco, di isolamento, un voler riportarsi in quest’altra parte, nel proprio intimo, nel proprio mondo di verità e di originalità: è "l’altra mano”, che rimane lontana ma che comunque fa parte di noi e deve essere considerata e integrata, per una comprensione più profonda della realtà e della vita: “Non sapevo, / che non si può / imparare / a sapersi tenere, / senza curarsi / dell’altra mano, / lontana, / dal cuore inquieta”…
L’amore, inteso in tutte le sue espressioni, ma soprattutto quello di coppia, passionale ed intenso, può essere il giusto collegamento, anzi il giusto collante, necessario a tenere insieme i due estremi, ad unire con un vincolo robusto la realtà esterna a questo nostro mondo ideale, a considerare tutto il creato come un unico corpo che si serve anche dell’”altra mano”, spesso sconosciuta, lontana, dimenticata. L’amore è tale da far conciliare ogni cosa e ogni persona: “Accettami / con i capelli sciolti, / senza raccogliere / parrucche da portare, / con il viso sporco / del mattino…” Questi versi, inclusi nel primo brano della raccolta, denotano dunque la forte volontà, il desiderio d’un amore possente e inclusivo che affermi e confermi la propria autenticità (Accettami come sono…) in un rapporto tra sé stessi, la propria vera natura, e la società esterna, indifferente e conformista.
Un dettato poetico suadente, scorrevole e ricco di rimandi e metafore: un inizio eccellente per la nostra giovane autrice, di cui riportiamo qui di seguito alcuni brani.


Due voci. Lontane dagli spazi

 

Due voci lontane dagli spazi,

delle bussole fisse,

non si spostano. I passi, nemmeno

ad accompagnarli.

Sono due voci di una casa

dove vissi immobile

all’amore spento

dalle mani fredde, come stanche

di darsi mattina da sistemare,

coi cuscini arrotondati,

sento una voce che lasciai.

Parole alle stanze dei ricordi,

tu, nuovo usato,

parabola da raccontare.

Verbo nuovo, solita

inquieta porta, che accogli

mesta e scarna; le lucciole

in cerca di antri spenti

per farsi ritrovare.

Suonano accordi d’altezze

centrali, l’Appennino non rimbomba,

mancano tanti passi per le Alpi.

Quattro scarpe per vincere

l’amore, alto, freddo

il suo nome. Principessa,

fu lei e la montagna, i principi

dormono muti

dove le onde non possono rinchiudersi

alle sponde. Indietro, il corso

avanza.

 

 ***

 

Madre,

fa freddo oggi, mentre taglio il broccolo

del pranzo. Fa freddo

anche al ricordo di qualche abbraccio

chiesto come il pane

del primo angolo,

dell’ultimo minuto.

Soffiami le tue solitudini,

dimmi che non sono sola,

mentre piango nella folla

che si sfiora fino al sesso,

vuota al cuore. Dimmi

Mamma, fa ancora freddo,

ho bisogno d’altro fra le steppe,

il pesco,

e l’ultimo tulipano innamorato.

 

 ***

 

Ma parlami

 

Parlami ancora di come si

toglie una lacrima,

di come si coccolano

gli orsi in montagna,

di come la mamma

è diventata figlia;

parlami delle rose viola,

delle federe senza pieghe,

delle uova vendute

con il pulcino morto.

 

Parlami delle cose che

ancora racconti,

dimmi che non cambi,

lasciami stare meglio.

 

*** 

 

L’altra mano

 

Non trovo la pace

tra le foto

dei mesi passati,

c’era l’incontro

di corpi intensi,

e solo un cuore

a ballare,

un cuore a mancare,

a nuotare a vuoto,

inquieto.

Volevo insegnargli

la luce libera,

non sapevo,

che non si può

imparare

a sapersi tenere,

senza curarsi

dell’altra mano,

lontana,

dal cuore inquieta.

 

*** 

 

Portami il vento

con le rondini unite, la curva

dell’infinito lasciata in cielo.

Portami le luci

di tutte le albe che conosco,

materia pura,

giorno lasciato sgombro,

grembo delle ore scure

e il germoglio ormai nato.

 

 ***

 

Articolami le labbra

morte, come se dovessi

succhiare spicchi d’arancio

e prendere l’amaro

di un succo falso,

per noi,

per entrambe

le piante seccate,

in un campo siculo

nudo alle nebbie

alte.


Asia Torreggiani, L’altra mano, Interno Libri Edizioni, 2923

Asia Torreggiani, nata in provincia di Pesaro-Urbino (1994), ballerina-interprete professionista, oggi vive a Parigi. Le formazioni di danza, a Siena prima, a Parigi poi, si uniscono agli studi accademici (Università di Bologna, Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, Université Jules Verne d’Amiens). Con questo bagaglio poliedrico, Asia si consacra oggi alla danza e alla scrittura. L’altra mano è la sua prima raccolta.




Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà