sabato 5 giugno 2021

Sandro Pecchiari, "Alle spalle delle cose", silloge vincitrice del 1° premio "Transiti Poetici" 2021

 

Gli occhi non sanno vedere”, recita Sandro Pecchiari nell’ultima poesia di questa breve ma significativa e originale raccolta alla quale la Giuria del Premio Silloge Transiti Poetici ha all’unanimità deciso di assegnare il primo premio. È vero: sovente gli occhi non sanno vedere quello che c’è veramente “alle spalle delle cose”, ma si limitano a osservare le apparenze, le grandi e anche piccole caratteristiche che denotano un paesaggio, un panorama, una città e persino un individuo; questo avviene nella cosiddetta normalità della vita di tutti i giorni, laddove non è possibile soffermarsi ad indagare, a “vedere” più in profondità e con maggiore senso critico, quello che passa sotto gli occhi, impegnati come si è, di solito, a concludere quanto prima la giornata, ad affrettarsi nelle mille incombenze da svolgere. Una vita condotta tutta di fretta e in modo superficiale, così come la società odierna, ormai globalizzata e omologata, ci impone.

Ma per fortuna l’uomo non è un manichino né un robot aduso soltanto a conseguire meccanicamente meri obiettivi materiali. Per fortuna esiste un aspetto critico e indagatore nell’uomo, e in particolare nel creativo, in colui che fa dell’arte la riproduzione, sotto certi aspetti, della realtà esterna e anche interiore, modellando le forme, i gesti, le parole, le note, le vibrazioni, il proprio sentire, fino a creare l’oggetto artistico, il prodotto del proprio ingegno creativo.

Nella fattispecie il poeta sa vedere oltre le cose e la fisicità del mondo, ne trae spunto per indagare ulteriormente e per ricavarne una possibile risposta, risposta che però non arriva mai definitiva ma sempre con un rimando ad altri interrogativi. Gli occhi del poeta sanno, dunque, vedere, sanno invece “allargare” l’orizzonte delle cose, percepire il non percepibile celato dietro i muri e dietro i movimenti, sanno ascoltare l’eco e le vibrazioni emotive che la filigrana delle pareti sembra ostacolare. È un occhio metafisico, un occhio ossimorico se vogliamo, quello dei poeti, perché vede il non visibile, il non rilevabile al sole della normale quotidianità.

Questa silloge di Sandro Pecchiari è l’esempio più vivido di come effettivamente il poeta possa “vedere” e raccontare il mondo. Si tratta di una raccolta omogenea composta da dieci raffigurazioni o quadri, in cui l’autore si sofferma a considerare l’”oltre” visibile al di là delle apparenze, delle situazioni, dei luoghi, dei paesaggi. È un viaggio poetico con dieci “stazioni”, ognuna diversa per aspetti e situazioni, ma appunto collegate intimamente e internamente dal filo conduttore delle riflessioni profonde che scaturiscono dalle visioni e considerazioni dell’autore. Qui la poesia non è dunque un mero riporto delle cose, degli stati d’animo, della natura circostante, dei luoghi visitati e dei panorami, sebbene ciò non pregiudicherebbe il buon esito lirico, come in tanti componimenti di illustri poeti in cui l’aspetto descrittivo è predominante. La peculiarità dei testi di Pecchiari in questa silloge non è dunque solo nell’aspetto descrittivo e superficiale delle cose, bensì nel trarre spunto da esse per proporre quadri e lacerti di riflessioni e di emozioni, in un contesto parallelo se non addirittura proiettato oltre l’oggettività del momento: soffèrmati dove la realtà è sostegno / ma non si fa vedere, / dove le guide non danno spiegazioni / e tu la affronti solo (“Cattedrale”), oppure anche: il tempo resta fermo sulla casa /consuma e erode con costanza - / le stanze sparite hanno sprofondato / le urla le bave il decadimento / a volte solo prigionie da incomprensione (“Padiglione”). Sono versi che denotano la grande capacità di Pecchiari del suo profondo scrutare attraverso i muri e le stanze del mondo, la vera essenza emotiva e filosofica ìnsite in quelle, riproponendo memorie, ricordi, visioni, viaggi, luoghi, panorami, su piani emotivi che acquistano nuova luce e nuovo vigore grazie proprio alla sua poesia.

Alle spalle delle cose c’è dunque veramente il senso del progredire della vita, o perlomeno la ricerca di un senso, guardando bene ciò che la vita frenetica di tutti i giorni, l’indifferenza e la superficialità, ci nascondono dietro il volto di una normalità omologata e tacitamente accettata. La poesia, e sicuramente la poesia di Sandro Pecchiari, assolve così il compito di ricercare l’autenticità delle cose e dei sentimenti, di individuarle tra una miriade di situazioni contingenti e di estrapolarne l’essenza fondamentale.


Cattedrale

 

soffèrmati dove la realtà è sostegno

ma non si fa vedere,

dove le guide non danno spiegazioni

e tu la affronti solo

 

appena dietro il fianco di una statua

lo sbaffo di vernice

d’oro che manca di una pennellata

e snuda il legno grezzo

 

è il mondo delle giunture mal celate

passate nel silenzio

le espressioni eloquenti sul davanti

qui sono solo quiete

 

la luce che proviene dai rosoni

stringe gli occhi e taglia

la scoperta di un mondo altro

scolpito dalle ombre       

 

qui i mantelli sono abbozzati e grigi

di polvere degli anni

i candelabri sfoggiano un lusso

che è solo tinto

 

qui conviene sostare con la poca gente

che gira per dovere

per un’icona preziosa trafugata

d’un santo sconosciuto

 

qui si manifesta questo stare al mondo

sentendo le giunture

guardandosi alle spalle per capire

dove saremmo veri

 

cattedrale di San Marco, Venezia


***


Canale

 

il cielo di voli di meduse

il cielo ha un bordo

il pelo d’acqua -

non si vive oltre nell’aria

non si respira la rarefazione

 

qui possiamo osservare

le ondate di marea

e di storie

ne immaginiamo in abbondanza

 

                            *

 

non si comprendono le barche

lassù in alto

immerse con la faccia dentro l’aria

ci chiediamo

come sanno vivere due vite

ma loro stanno sospese

nel silenzio

 

Canal Grande, Trieste

***

 

I dormienti

 

l’aria stretta nonostante cambi

tutto fuori o non cambi

la temperatura pulsa in mesi lunghi

di soffocamento o in freddi estremi

 

i movimenti sono così lenti qui

a volte variano le sfumature di colore

immobili nel tempo con nessun odore

- dei fiori veri a volte -

un ricordo spicciativo forse punge ancora

 

questa moltitudine è ordinata

in numeri crescenti

cambi di arrivi scarsi diluiti

le foglie restano a lungo nella polvere

 

                            *

 

nessuno ci guarda fisso mai

nessuno sfiora queste lastre con le mani

 

eppure lo so, lo sappiamo

 

siamo tutti lucidati fuori sigillati

i nomi al contrario incisi in bronzo

i nostri sorrisi scollegati

 

ma fa buio dentro

da decenni

 

i loculi al cimitero di Sant’Anna, Trieste

***


Padiglione

 

la calma trattenuta alle finestre

come biancheria stesa senza vento

ora lo sguardo entra all’incontrario

e snida il cambio delle nuvole e del cielo

 

l’edificio si è svuotato con gli anni

i pazienti la mobilia i pavimenti

sprofondati in un ricordo solo scritto

cartelle e documenti vergati a mano

lobotomie punture elettroshock

 

il tempo resta fermo sulla casa

consuma e erode con costanza -

le stanze sparite hanno sprofondato

le urla le bave il decadimento

a volte solo prigionie da incomprensione

 

                            *

 

ora il pavimento è erba e fango duro

si muta in melma quando piove, qualche piastrella logorata

la pittura resiste in qualche angolo protetto

ma vince il vuoto

 

la facciata è ancora salda e forte

confine sbrecciato tra due esterni

un gioco come un roller-coaster per i refoli

 

qualche grido resta, qualche mano a pugno

lo ricordo

 

OPP, ex ospedale psichiatrico, Trieste

***

 

Larice spogliante

 

sono un uomo per la sera

forse anche per una vita intera

forse, dipende

se mi estirpi l’ombra

se mi svelli da questo posto fermo

e mi trascini

 

ti strapperò le tende

e sporcherò il tappeto

e il letto, sappilo,

mi avvolgerò rugoso su di te

ti graffierò le parole con le mie

antiche che potresti non capire

ma vere sempre

 

tu sei così veloce

parli, ti arrampichi veloce

hai pochi decenni

un bambino come gli uomini che passano

e li vedo sparire con dolore

ti ricordo con i giochi alla mia ombra

ora sei qui che mi inviti a casa

e la tua voce suona sempre amata

 

se accetto porto con me il golfo

tutte le barche e i temporali

i nidi che proteggo

terrò anche te dentro i miei rami

non ne sarai scontento

 

lungo il Timavo, Trieste

***

 

ΘΑΛΑΣΣΑ-ΘΑΛΑΣΣΑ

 

raccolgo il respiro aspro delle albe

il raspare ostile dei gabbiani

l’imprendibile punirsi delle sabbie

scabre tra le dita

 

e storie antiche da attraversare ancora

ricordarsi di cullare tutti i morti

cantargli ninnananne di catrame

il russare di barche contro i moli

il ruvido dormire tra gli scogli

 

ci vuole lo schiaffo delle acque

il largo dei tramonti sul torace

e la stoppia resistente dei cordami

l’incoerenza dei guizzi il patire

immenso del calore

 

mostro sempre l’orizzonte dentellato

che rimbocca il tuo rumore

rotolando sassi nelle mareggiate

un cuore che fugge assieme alle meduse

 

Trabzon, Trapezounta, Mar Nero

 

***


Compagno di viaggio

 

strada al crepuscolo percorsa così poco

che non sai dove porto e dove termina il salire

arginata dal bosco ormai nel buio

 

ritrovo la tua compagnia discreta

quel tuo sorriso sulla mia lentezza

io che parlo al buio e a te di fianco

nella polvere d’una sera fuori di città

 

è qui che il raro traffico si cambia in aria tersa

e nelle strida e il raspare tra le erbe

d’un tardo maggio ancora un poco inverno

 

e ti chiedo quale sia la natura del salire

e se i pensieri siano simili per quelli che lo fanno

o se parlino con te come me in quest’ora

per compagnia forse o per errore

per consolare un dolore che timido sussurra

vergognandosi di disturbare ancora

 

e ti chiedo se alla fine con sorpresa e delusione

si dicano sempre delle cose simili

e se tutto si appiattisca nel sostare

 

non rispondo e non rispondi

sperduti assieme nella reciproca mancanza

 

ma, lo vedi, m’inclino verso il golfo

a scialare le sue luci come dentro un cielo

 

Vicolo Delle Rose, Trieste

***


Caesarea Maritima, Qaysariyah, Qisrin

 

la terra tra le dita

è terra di caldo e di scorpioni

d'ombra scabra nei palmeti

e di vento steso sulla pelle

 

scoprirla e farla nuda

e scarna è stato lento

sminuire la città altera

in piatte simmetrie

il patto feroce

d'una smorfia contro il sole

 

uomini, cavalli e religioni

bassa forza ondeggiante

sul filo della costa

maniscalchi di vite e di rovine

 

ora esibisce i gangli

scoperti della storia

le scarse tracce d'esistenza

che ci spinge a brancolare

nella luce come ciechi

a godere degli avanzi masticati -

mendicanti di palazzo

 

Cesarea Marittima, Giudea

***


L’acqua che divide

 

non torneremo mai

nelle pelli strofinate fino a farne scaglie

quando troppo ignoravamo

lo scatenarsi nella lontananza

le nostre sepolture separate

da migliaia di miglia

rinascere ci sarà impedito

 

siamo vivi con un altro sangue

un rinnovo di capelli

i miei più bianchi i tuoi più diradati

non viviamo sotto lo stesso cibo

nell’espellerci reciproco in silenzio

 

fuori le pianure e i fiumi naufragati

la baia di Hudson verso nord

fuori il Mediterraneo inospitale dell’inverno

fuori le parole che eliminano

quello che non affrontano

 

io non capivo, andando, le righe dritte irrigidite

tracciate sopra i laghi dell’Ontario

tanti da non contarli mai -

l’assistente di volo rivelava

che erano le spaccature del disgelo

accecante come carta vetro

 

ecco l’inizio pensavo

ma l’acqua si rompeva in gorghi

volo Toronto-Winnipeg

 ***

 

Lo specchio

 

ma un piccolo peso di silenzio

cambia il contare delle cose

ne ridisegna il percorso

 

nessuno ne parla volentieri

gli occhi non sanno vedere

questa smorfia di saluto

 

eppure duplica l’immagine

la ricomincia ma al contrario

come se sapessimo tornare

 

senti una punta dentro il sangue

un ramo di traverso sul sentiero

che si flette e torna indietro:

questo specchio da entrambi i lati

 

 

l’entusiasmo non basterà più

per incanutire nell’infanzia

 

 

la manutenzione d’ogni giorno

in un corpo che non obbedisce

l’insicuro, i garbugli delle cose

che dimentichi e più non ami

 

accudito o orgoglioso e solo

appari esposto alla carne

che non tiene più

 

affronterai i due estremi -

sfila il ragazzino dallo specchio

ricomincia dal germoglio


Sandro Pecchiari ha pubblicato: Verdi Anni, 2012, Le Svelte Radici, 2013, L’Imperfezione del Diluvio - An Unrehearsed Flood, 2015, e il lavoro antologico Scripta Non Manent, 2018, per la casa Editrice Samuele Editore, Fanna, Italia.

Pubblica in spagnolo Le Svelte Radici, con il titolo Despojando Raíces e la silloge in inglese Kidhood nello Special Issue, Writing in a Different Language, NeMLA, Italian Studies, The College of New Jersey, USA.

Presente nel Quarto Repertorio della poesia italiana contemporanea, Arcipelago Itaca, 2020 con cui pubblica anche la nuova raccolta Desunt Nonnulla (piccole omissioni). Presente anche in altre antologie e riviste in diverse lingue straniere.

Collabora con diversi artisti italiani e stranieri. Si interessa ai video poetry tra Stati Uniti e Canada, con Erica Goss, videomaker statunitense e Al Rempel, poeta canadese, nel video I’ve in the Rain, finalista al Zebra Poetry Film, Berlino e al Ó Bhéal International Film Competition, Cork, Irlanda.

Attualmente collabora alla sezione Traduzione del sito QB - Quanto Basta dell’Independent Poetry di Faenza, con la rivista Graphie di Cesena e il blog Versante Ripido di Bologna. Scrive saltuariamente anche per Il Ponterosso di Trieste e per Fare Voci di Gorizia.

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