sabato 19 dicembre 2020

Il "Pinocchio" di Pasquale Montalto

Il mondo delle favole ha sempre affascinato bambini, adolescenti e, perché no?, anche i grandi. Le trame ricche di avventure, sentimenti, sogni, lotte, speranze, fanno entusiasmare piccoli e grandi, si sa, e Pinocchio è senz’altro uno dei maggiori pilastri di questo genere letterario. Ma quello che maggiormente risalta in questi mondi paralleli sapientemente creati da narratori come il Collodi, sono i valori fondanti della vita e dello sviluppo della personalità dell’individuo, valori come l’amore, la pace, la giustizia, la libertà, la solidarietà, il rispetto per gli altri e nei confronti della natura, La favola è un po’ come una scuola dove con esempi ed esercizi, vengono descritti e suggeriti comportamenti e progetti di vita consoni e appropriati, eticamente corretti ed equilibrati. Vi è una morale sempre latente, ma pronta a rendersi evidente al termine della storia. Suggestivo è quindi il riferimento a “Pinocchio” nella poesia di Pasquale Montalto, poeta validissimo che, oltretutto, conosce molto bene l’animo e la psiche del suo prossimo, grazie alla sua specifica e importante attività professionale. Con il suo “Pinocchio”, Pasquale Montalto ha dunque voluto immergersi in quel mondo “parallelo”, costituito da scenari fantastici e magici, dove però i valori di cui sopra sono veri e tangibili, dove l’amore familiare e amicale sono sentimenti autentici, e la lotta perenne tra il “bene” e il “male” ha una sua reale configurazione, un suo svolgimento naturale come ugualmente avviene nella nostra “normale” quotidianità. Orbene, il nostro poeta ritrova quel Pinocchio in tutti noi, ripropone in chiave poetica la sua vita, la sua maturazione, i suoi sogni, delusioni, speranze, paure, progetti, insomma prende spunto dall’intera favola per suggerire a tutti una ripartenza, la ricostruzione di una vita idealmente ed eticamente migliore, conducendo per mano quel bambino di legno che è segretamente celato in ognuno di noi, fino a mostrargli quei cieli di speranza e di libertà, di giustizia e di pace verso i quali noi tutti tendiamo, ma che la vita di tutti i giorni, compressa e sacrificata da tante inezie e pregiudizi, ci impedisce di vedere. Mi piace concludere questa brevissima riflessione sull’opera poetica del Montalto, con i suoi stessi versi che sintetizzano, a mio parere, l’intera filosofia morale ed etica insita nel suo ottimo lavoro: “Nell’attesa di liberarsi da ogni giogo / Vecchio e nuovo / Pesante è il fardello delle catene / perbenismoconformismoformalismopensierieideecondizionanti / Porte giudicanti da chiudere per sempre”.



A Pinocchio

Sogni a primavera


Ascolta il fuoco,
la fiamma parla, gioca, danza,
e la vita
nasce dal legno,
apparentemente statico e freddo.

Ascolta il cuore
e con l’energia dell’amore
illumina la mente,
perché la vita
non perisca al buio.

Chiama, chiedi, cerca,
con amore,
e liberamente, sinceramente,
sicuramente incontrerai
la verità dei tuoi sogni,
in una lunga primavera.


***

Pinocchio e Lucignolo

Pinocchio martella
con le mani di Geppetto,
e con Lucignolo
insegue poi il sogno
del Paese dei balocchi

Il piacere di un corpo vero,
corre veloce
nel desiderio della parola Amore,
perché duri con la Fata
oltre ogni illusione

La sua Grande Anima
non sfugge la morte,
il suo Essere Bambino
dispensa
carezze e tenerezze ricercate

Pinocchio e Lucignolo
continuano l’avventura,
con un’esagerazione di cuore
che trasforma
e ogni volta crea vita nuova.


***

Un angolo di cielo

Dentro l’occhio del ciclone,
quando lotti per sopravvivere,
e ti è difficile scorgere
lo sguardo di chi ti vuole bene,

puoi capire allora
su chi tu puoi contare
e ciò che vuoi veramente:

… un bacio,
la qualità della goccia
che bagna le tue labbra,
una carezza
strappata all’oblio …

per ogni lacrima che arriva,
c’è certo un angolo di cielo,
che ti consola
e scende a farti compagnia,
e Tu non ti senti più solo.


***

Pinocchio in Via del sole

Quanto tempo…
per avvicinare il tuo mondo:

fossati burroni precipizi
sospiri titubanze timori
orchi e fantasmi
luoghi lontani di fate

… lontane terre da attraversare
sfiorando e asciugando
i tuoi soffocati silenzi

Le lacrime congelate
Il petto rigido e schiacciato
Dall’odio del tuo legno

Albero dell’impiccagione
Sacro campo incolto e selvaggio
Monete sottratte con l’inganno
Sberleffi del gatto e la volpe

Anima libera ritrovata – Pinocchio
Burattino e poi Bambino,
Anima la città in Via del Sole

Quanto tempo…
per dare un senso alla favola:
portarti nell’isola dei balocchi
con profonda unità di cuore
dove farti sentire al sicuro.


***


Un mondo da lasciare

Sono entrato nel tuo mondo
Per studiarlo da lontano
E poi sempre più vicino
Ho incontrato mostri e diavoli
Pronti a dilaniare il corpo
Nel desiderio di piaceri infecondi
Paura e pugni stretti sulla testa
Chiusure e sofferenze
Con l’unico pensiero di voler scappare
In questo mondo mancava
Affetto e tenerezza
Mancava amore oltre la vendetta

Al tuo mondo ho accostato il mio
E con fiducia mi hai seguito
Tenendo la mia mano
È allora comparso un altro mondo
Quello dei sogni infranti
Completamente da riparare
E ora la voce grida con il corpo
Nell’attesa di liberarsi da ogni giogo
Vecchio e nuovo
Pesante è il fardello delle catene
perbenismoconformismoformalismopensierieideecondizionanti
Porte giudicanti da chiudere per sempre


(Testi tratti da “Il mio Pinocchio”, di Pasquale Montalto, MACABOR Edizioni, Francavilla Marittima - Cs, 2020; prefazione di Daniele Giancane)

Pasquale Montalto (Acri–CS–1954), poeta, narratore e saggista. Presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma si è Laureato in Psicologia Clinica e Sociologia, conseguendo poi il Perfezionamento in Sessuologia e Ginecologia Psicosomatica presso l’Ospedale Cristo Re di Roma. Specializzato in Psicoterapia Analitica Esistenziale Individuale e di Gruppo, presso la SUR-IPAE. Docente di materie psicologiche e antropologiche, lavora come Psicologo Psicoterapeuta tra Acri, Rende e Cosenza. Sue poesie sono state tradotte in francese, esperanto, inglese, russo, spagnolo e romeno. Recente è la monografia da parte di Tito Cauchi Sogni e ideali di vita nella poesia di Pasquale Montalto, Totem Ed.ce, Roma, 2020.

Tra le opere di storia letteraria è incluso in: Bonifacio Vincenzi a cura di SUD I POETI, Beppe Salvia, Macabor, Francavilla Mar.ma (CS), 2020, Vol. 7; Quadernario Calabria, Lieto Colle, Faloppio (CO), 2017; Storia della letteratura dell’ultimo novecento (Roma, 2003); Enrico G. Belli Innocenza e Memoria: saggio critico sulla teoria della poesia e sull’estetica (CS, 2002); Dizionario autori contemporanei (AV, 2001,Vl.VIII); Noi poeti della Sicilia e della Calabria (Roma,1999); Storia della letteratura italiana del secondo novecento (MI,1998,Vl.II); Dizionario autori italiani contemporanei (MI, 1996); Giuseppe Julia Storia della letteratura acrese (CS, 1984).


mercoledì 16 dicembre 2020

Fiorella Rega: "Come fiori del deserto"

 

Fiorella Rega è una valente poetessa del nostro territorio campano. Nata a Salerno, vive ed opera a Mercato San Severino, una ridente cittadina della provincia salernitana. Premiata in vari concorsi importanti, si prodiga anche nel promuovere la cultura e la poesia con incontri e rassegne letterarie. Ha pubblicato due raccolte di poesie, da una delle quali, Come fiori del deserto, selezioniamo per la rubrica “Proposte di lettura”, alcuni brani. 

Si tratta di una raccolta omogenea, suddivisa in quattro sezioni (“Noi”, “Dedicate”, “Desiderate” e “Rinascita”), in cui il sottile filo conduttore che lega i vari testi poetici, è costituito da un afflato sentimentale piuttosto forte ed evidente, ripartito nelle quattro tematiche scelte dall’Autrice. La voce poetica di Fiorella Rega è infatti forte e soave nello stesso tempo, ed è caratterizzata da una costante ricerca dell’amore, sentimento che lei vede permeare tutta la natura e che manifestarsi nelle sue molteplici e variegate forme, da quello passionale a quello familiare e filiale, fino a interessare tutta la sfera delle relazioni umane. Il suo è anche un viaggio di speranza, di veder “rifiorire il deserto”, metafora di questo nostro mondo divenuto così arido e superficiale; e il “sogno” del poeta, della nostra poetessa, è proprio quello di vedere gli orizzonti aprirsi, e che si "accorci” ancora di più la distanza tra il sogno e la speranza.

Sono versi gentili e melodici, molto solari, e parlano direttamente al cuore del lettore, il che denota la genuinità e la credibilità di una vena poetica avulsa da tentativi di ulteriori abbellimenti o di ridondanze fuorvianti. Fiorella Rega conferma così la sua impronta di poetessa chiara e propositiva.


Al centro di noi

Di tutto il viaggio mi ricordo il vento
le foglie sdraiate sul pendio della collina
e gli occhi tristi dei nostri volti stanchi
in cerca di un domani.

Si toccano le nostre mani
nella città straniera
e chiedono calore ai giorni
troppo freddi
che ci hanno invecchiato il cuore.

Di tutto il viaggio mi ricordo il vento
il sogno di ritrovare i gesti amati
e i lievi baci addormentati
che attendono le nostre labbra
per sbocciare.

(Dalla sezione “Noi”)


***

Amazzone

Sei così bella!
Lascia che la tua bellezza
ti prenda per mano
e ti conduca nei prati verdi
ove ogni cosa è nuova.

Sei così bella!
Lascia che la tua bellezza
ti parli dolcemente
per asciugare ogni lacrima
che non hai versato.

Va’ incontro al domani
come una Amazzone
tu che sei guerriera nei tuoi giorni.

Sii fiera e cogli il vento
della speranza
che ti darà la gioia
che non muore mai.

(Dalla sezione “Dedicate”)


***

Sogni

Mi parlavi dei tuoi sogni,
gli occhi ti brillavano e
io dentro ci scorgevo il mare.
Mentre mi sorridevi
io capivo
che lentamente andavi
via da me.

Brillavano i tuoi occhi,
e io morivo
come una stella
che si spegne e cade.
Avrei voluto essere
per te
un desiderio da avverare.

Invece tu
chiamavi nuovi giorni
e vecchie strade
da lasciare indietro.

A ogni istante
andavi via da me.

(Dalla Sezione “Desiderate”)


***

Silenzi

Neppure adesso puoi amarmi.
Il tramonto
mi scende sulla schiena e
mi colora la pelle di silenzi.
Troppo spazio
separa i nostri sguardi.

Tu guardi indietro…
Io avanti.

Non voglio
neanche dirti addio.
Ti ho lasciato
nelle pagine bianche
di una vita sospesa.

Colmerò la mia essenza
dell’assenza di te.
E, a ogni passo, correrò
più forte
incontro al mio domani.

(Dalla Sezione “Rinascita”)


***

Come fiori del deserto

Ripenseremo
ai fiori del deserto
vivi
- dentro la terra arsa -
Impavidi vessilli
di colorata luce.

Non c’è bandiera che si pieghi
al vento della lotta.

Breve è la distanza
tra la speranza e i sogni.

(Dalla Sezione “Rinascita”)


(Testi tratti da Come fiori del deserto, di Fiorella Rega, Edizioni Paguro, 2019; prefazione di Anna Maria Merola)


Fiorella Rega, all’anagrafe Carmen Rega, è nata a Salerno e vive a Mercato San Severino (Sa). Ha conseguito con lode la laurea in Sociologia all’Università degli Studi di Salerno.
Nel 2018 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, intitolata Parole nuove (Edizioni Paguro), con la quale ha ricevuto numerosi riconoscimenti.
Numerosi sono anche i riconoscimenti ottenuti grazie alle poesie della raccolta Come fiori del deserto (Ed. Paguro).
È vincitrice del “Pompei Poetry Slam” 2019, titolo che le dà accesso alla finale nazionale a Milano nel 2020.
Suoi articoli e collaborazioni sono pubblicati sulla Rivista letteraria internazionale “Fiorisce un cenacolo”, fondata da Carmine Manzi.
È stata presidente di Giuria alla I Edizione del Premio Artistico Letterario “San Vincenzo Ferrer” 2019.
Tiene seminari sulla poesia nelle scuole di ogni ordine e grado del suo territorio.
Per la narrativa, è autrice del racconto breve L’arte di ascoltare nel libro Lettere da Babbo Natale e regali indimenticabili (Edizioni Paguro, 2019). 




 

domenica 13 dicembre 2020

Silvana Kühtz, 30 giorni, una terra e una casa

 

I poeti non se ne stiano con le mani in mano / possono baciare l’azzurro e invadere la città / con quel magma inafferrabile che / è regalare soffio luce sogno furore animale / che si insinua in ogni dove.” Sono i versi riportati in quarta di copertina del libro “30 giorni, una terra e una casa”, di Silvana Kühtz, edito nel 2015 da Campanotto. Ne parliamo brevemente qui, nella rubrica “Proposte di lettura” di Transiti Poetici, perché il messaggio (non solo poetico!) della nostra illustre Autrice di Bari è decisamente propositivo e spronante, indicando a noi tutti, poeti, artisti, letterati e comunque operatori culturali di qualsiasi tendenza e tematica, che l’arte in genere (e nella fattispecie la poesia nel nostro caso) sarebbe più utile, più fruibile e condivisibile, se fosse diffusa e praticata in ambiti di quotidianità e nel contesto delle normali attività sociali: beninteso, sempre preservando la qualità e il valore della parola poetica e del fare poesia. Silvana Kühtz, attivissima in ambito letterario, ha dunque ideato una linea progettuale poetica molto interessante e viva, intitolata Poesia In Azione, dove attua e propone questa modalità coinvolgente (in tutti i sensi) del dire e fare poetico, integrandolo e completandolo anche con altre espressioni artistiche, quali ad esempio la musica.
Il libro 30 giorni, una terra e una casa, è un viaggio illuminato e nello stesso tempo stigmatizzante della quotidianità, dove momenti peculiari, scene e riflessioni dell’io narrante (la nostra brava Autrice), sono “elencati” e indagati profondamente, giorno dopo giorno, e appuntati con cura ed eleganza poetica: “Io intanto / con una vecchia sveglia da comodino / affino l’orecchio e mi preparo”, recita la Kühtz a pagina 39, acclarando in tal modo la sua attenzione e predisposizione ad accogliere la vita e il susseguirsi dei giorni. Esemplare la conclusione: Una terra e una casa, dove la nostra poetessa concentra il fluire universale della vita, con la bellissima metafora della porta della sua casa di mattoni rossi, attraverso la quale è possibile entrare, ma da cui è anche possibile uscire.
Il libro è impreziosito da una ottima traduzione in inglese dei testi a fronte, col merito di allargare il dettato poetico dell’autrice oltre i confini nazionali.
Stralciamo qui di seguito alcuni brani tratti dal libro.


Lunedì 1.

Abbiamo tutti un segreto
ma il corpo sa tutto.
Tutto.
Che numero hai?

Io vado laggiù
dove c’è quella striscia rossa,
a guardare le persone.
Hai visto che bello?

Non è stato un sogno.
I fili eterni sottili e resistenti fra le persone
sono un segreto.
Radici
che per quanto tu abbia tagliato la pianta
sono lì.
Vive.


***

Toccami

La festa comincia.
Io sono carne slegata per te.
Ti amo. Ma le mie labbra sono secche.
Ti lascio andare nel giogo oscuro dei ghiacciai,
nelle gole fredde depresse atrofiche senza musica.
Se è questo che vuoi davvero.


***

Mercoledì 11.

Ho perso le parole.
Le ho lasciate su un treno
che pensava di te
nostalgie di violini lontani.

Ho perso un quaderno con
una farfalla in fronte
che scriveva di te
parole disperse
di infrarossi calori.

Ho perso ancora:
e non sono arresa
al caldo
immobilizzata
ferita
allungo l’acqua con il latte
e mi faccio il bagno
nelle foglie di menta
d’ora in ora nei minuti vivo.


***

Martedì 25.

È finita l’era
che indica la via
per far spiccare sogni e desideri alati.
Questa è l’era in cui
non capisci
se il cielo è il mare rovesciato
se si infrange l’onda
contro lampade magiche
se puoi cogliere la magia di ciò che appare
o
vangare la materia cerebrale.
Ma giù in strada ci sono
dei bambini che si gridano ciao.
E ripetono ciao ciao ciao
infagottati con sciarpe e cappelli
mentre il cielo pare voglia svuotarsi
in un colpo solo.


***

Casa

La mia casa è di mattoni rossi
e si entra dalla porta.
Oggi sono spuntati i bucaneve
che si bevono la pioggia:
se la pelle non è separata dal suo interno
allora tutto è permesso.
Io lì per lì non l’ho capito.
Sentivo i tuoi pedini
d’oro sul pavimento di marmo
fare come una musica.
Bella e terribile.
Feroce.
La mia casa è di mattoni rossi
e dalla porta si esce.

(Testi tratti da “30 giorni, una terra e una casa”, di Silvana Kühtz; Campanotto Editore, 2015; traduzione in inglese di Nathaniel DuPertuis).


Silvana Kühtz è nata a Bari. È ideatrice del progetto PoesiaInAzione che nasce per far scendere la parola poetica dalle austere stanze dell’accademia e portarla nei retrobottega, nei garage, nei luoghi quotidiani, per sfidare la noia mortale cui spesso si pensa quando si dice poesia e mettere insieme elementi apparentemente lontani fra di loro come scienza, letteratura, azione, improvvisazione e ispirazione, e per far questo si serve di parola e musica e non solo.
Vincitrice del Premio di Poesia Alfonso Gatto 2014 nella sezione inedito con la raccolta “30 giorni, una terra e una casa”.






giovedì 10 dicembre 2020

"Trentagiorni", gli Haiku di Lucilla Trapazzo e le foto di Alfio Sacco

 

La poesia a volte indossa abiti di luce e di colori, di immagini artistiche e pittoresche che si abbinano e si fondono con la stessa parola poetica, fino a formare un’oscillazione emotiva dal polo scritto a quello figurato e viceversa. Nel nostro caso, la poesia, sotto forma di haiku, si integra con delle foto artistiche, a comporre un libro d’arte veramente originale e pregevole: “Trentagiorni” è il titolo di questo volumetto, edito nel 2019 da “Il Sextante” di Pinzolo (Tn), che raccoglie i trenta haiku della poetessa Lucilla Trapazzo e le trentadue foto artistiche del maestro Alfio Sacco.

Non potendo dare il giusto risalto alle bellissime fotografie in questa sede, e ne siamo rammaricati, riportiamo invece alcuni degli haiku di Lucilla Trapazzo, poetessa originaria di Cassino ma residente da tempo in Svizzera; la ritroviamo dunque in questa diversa forma espressiva poetica, notando la delicatezza e la profondità di questi suoi trenta haiku, leggendo i quali mente e cuore partono per orizzonti tersi, respirando arie di infinito amore per la natura e per la vita.

 

Di fiori neve

effimero l’incanto

il vento incalza.

 

*

 

Brusio d’insetti

impollinando menti

fermati oh tempo.

 

 *

 

Scranno di neve

acciottolio di tempo

il senso della quiete.

 

 *


Oche selvagge

un grido contro il vento

scende il silenzio.

 

 *

Bianco il gabbiano

nel mare di metallo

senza orizzonte.

 

( "Trentagiorni", haiku di Lucilla Trapazzo, Foto di Alfio Sacco; Ediz. Il Sextante, 2019)

Lucilla Trapazzo è nata a Cassino. Risiede a Zurigo. È poetessa, traduttrice, performer, critica e formatrice di teatro. È redattrice della sezione poesia di “MockUp Magazine”, membro del comitato di giuria del concorso poetico “Un libro per l’inverno” (Rende) e del Festival Internazionale di Poesia organizzato da Cape Comorin, India. È stata nominata Poeta dell’anno nel “Silk Road International Poetry and Art Festival”, Xian, Cina), Le sue poesie e i suoi racconti sono stati più volte premiati, tradotti in 10 lingue e pubblicati in antologie, riviste e libri d’arte in Italia e all'estero (uno per tutti: Atunis Galaxy 2020, antologia di poeti del mondo).

lucillatrapazzo.com

 ***

Aldo Sacco è nato in Sicilia, vive a lavora a Zurigo. La sua arte è contrassegnata da un taglio critico nei confronti dell’attualità. Nell’espressione artistica si pone come contrappunto e alternativa alla cultura ufficiale e riconosciuta, seguendo le orme dell’Underground Art.

mercoledì 9 dicembre 2020

Il "Viaggio in Veneto" di Giuseppina Palo

Una sensibile e certosina poetessa e scrittrice, Giuseppina Palo, originaria di Eboli, ci propone in lettura una sua recentissima pubblicazione, dalla quale volentieri estrapoliamo alcuni brani. Si tratta del volume “Viaggio in Veneto”, edito da Pagine, di Roma, nel corrente anno, e con un’accurata prefazione di Plinio Perilli.
È un libro che dimostra la grande capacità della nostra Autrice ad esprimersi sia in versi che in prosa, in modo altrettanto gradevole e interessante; un libro che rappresenta un vero e proprio viaggio, ma che è anche un percorso dell’anima e del cuore, lungo una linea spaziale, territoriale e anche temporale (non per niente il sottotitolo è “Lungo le rotte del tempo”), perché narra delle esperienze vissute dall’Autrice nei suoi viaggi in diverse località italiane, in particolare nel Veneto, al quale è appunto dedicata un’intera sezione del libro.
Questo libro rappresenta una sorta di opera omnia dell’Autrice, una vera e propria antologia di brani scelti, sia in versi che in prosa, alcuni dei quali tratti da altre pubblicazioni singole o collettanee, nelle quali è presente; le varie sezioni che compongono il volume sono ben organizzate e seguono un ideale percorso affettivo che le unisce, come pure, l’alternarsi di brani in versi con brani in prosa, che a volte, come nella sezione dedicata al viaggio in Veneto, costituiscono una sorta di introduzione ai versi successivi, rendono piacevole e varia la lettura. A questo proposito, il libro di Giuseppina Palo può leggersi anche come un lungo e complesso diario dell’anima e del cuore, in cui ogni aspetto del sentimento e del ricordo viene riproposto in modo profondo e coinvolgente mediante una perfetta simbiosi poetica tra versi e narrato.


Quartieri del Sud

Quando il buon vecchio siede sul gradino
e chiama il nipotino è storia.

Ormai è rado accogliere visioni di gruppi
a rammentarsi le vicende antiche,
da quando vennero al mondo ad ora,
coi riccioli bianchi.

(Dalla sezione: “Il dono selvaggio” – poesie scelte, pag. 26)


***

Andrò presso le celle umide dei monasteri
ove i rossi lumini traspariranno quieti.
Il laghetto della montagna innocuo
e duraturo suggerisce un bacio appassionato.
Ma le foglie fan coro:
- Attendi ancora,
gli ultimi pallidi punti del cielo
dovranno raggiungere il geroglifico
indicato nell’antico quaderno
dell’esistenza -.
Frattanto l’inconscio esprimersi
lentamente fluiva
dai rigagnoli acquosi.
Tra le mute sembianze di pesci coloriti.

(Dall’Antologia: In my end is my beginning – I Poeti italiani negli anni Ottanta/Novanta, pag.33)


***

Saggezza

Chi mai avrà le salde ali della certezza?
Spiegami il segreto della corrispondenza,
oh vecchio che, con barba a lame d’argento puro,
hai combattuto nei sentieri della ragione.
Il tuo intelletto seppe frenare
la immaginosa forma del tormento?
Io aspetto, già da lungo tempo,
segnali di un Amore
a vita eterna!

(Dalla sezione “Dell’Amore eterno” – poesie scelte, pag. 66)


***

Mi amerai per sempre?

«Ti amo Fiore di Luna, te lo confesso
sotto l’albero, lungo il corso del fiume».
Profumo di Biancospino, chi garantisce
che tu sia il vero amore?
«Interroga pure gli uccelli,
che ti cantino le delizie dell’alba.
E al tramonto
che dal cielo,
tappeto d’arabeschi rossi e d’ali di gabbiani,
l’eco del mio cuore ti giunga».

(Dall’Antologia: “Navigare 22” – Poema, pag. 73)


***

Nello spazio della mia casa

Ti ho preparato l’acqua tiepida, mia cara
ove immergerti silenziosa e bella.
Tu, ninfea dai boccioli colorati
che profumi di cedro del Libano.
Tu, fresco muschio delle regioni settentrionali
dai capelli d’èbano.
Nello spazio della mia casa ora vivi,
coi tuoi veli bianchi gialli rosa azzurri.
Sui tappeti vellutati
del mio essere.

(Dalla sezione “Viaggio in Veneto”, pag. 128)


Brani tratti da:
Giuseppina Palo, Viaggio in Veneto, Edizioni Pagine, 2020; prefazione di Plinio Perilli.


Giuseppina Palo è nata ad Eboli nel 1965. Ha compiuto i suoi studi in materie letterarie con indirizzo artistico/dello spettacolo presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Salerno. Si è laureata nel 1992 discutendo una tesi in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea su Dino Campana e il Decadentismo, con il prof. Luigi Reina. Ha partecipato con successo a diversi concorsi letterari di poesia e prosa. Suoi testi sono apparsi su riviste del settore e su blog e siti di poesia.
Ha esperienze di canto, laboratorio teatrale, performances e danza contemporanea.

lunedì 30 novembre 2020

Federico Pinzetta, "Il travestire dei geli", RPlibri


Nel rileggere i versi di questa raccolta, dal titolo originale e spiazzante, mi sorprende la laconicità con la quale il giovane autore, Federico Pinzetta, riesce a sintetizzare i concetti e le riflessioni sull’esistenza, sulla vita, sui rapporti con gli altri e in special modo con coloro che ama, in un modo davvero efficace, anche dal punto di vista stilistico e formale. Laconicità che non è semplificazione o scarnificazione del dettato, bensì al contrario, è potenziale profondo e denso di enunciati e di idee che sottintendono, alludono, allargano ad orizzonti di significati più ampi. Come ad esempio proprio nei primi versi della raccolta, che dicono così: “Una casa in mezzo a un giardino, / le tegole lucenti sotto la luna, / la luna”: quasi un sillogismo, un concetto che ne richiama un altro, fino ad estendere la visione ad uno scenario universale.

Si tratta dunque, a mio giudizio, di una poesia davvero essenziale, dove non c’è posto per fuorvianti giri di parole, ma in cui proprio da questa perentorietà scaturisce fatalmente e sorprendentemente tutto un mondo altro, custodito e misurato sapientemente nel cuore dei versi del nostro ottimo autore.

Lasciamo ora ai nostri amici la possibilità, se lo vorranno, di aggiungere altri graditi commenti, dopo aver letto i brani che seguono.


Se tu non fossi
per questi interni mari ruggine
senza verso verrebbero
navi e
poesie bianche.


***

Negli occhi chiusi di mia madre
riconobbi il sonno del mondo,
poteva essere ognuno,
all’eternità di una memoria
sopravviveva un tramonto
dopo l’altro.
Di nuovo le foglie respirano
non sapendo di nascere
ancora.


***

Nel giro di boa delle mattonelle
sospirano le miserie,
in confronto allo stare
arboreo delle leggende
la botta del supermercato
spalmato sul cemento
raccoglie il ridicolo.
A volte è piangere un pilastro
per il gelsomino o
sputare se stessi.
Nel loro preciso essere nulla
i geli travestono.


***

Aprire le porte,
verso ogni dove spalancate
arie di sensualità odorano
nei miei capelli, le bave della notte
e aldilà di ogni ebbrezza
quella della carne cola
viscidamente dalle serrature, sebbene aperte
non ne arriva mai abbastanza
da entrambi i tropici, a vela
o a nuoto in ogni sogno essi
mi avvengono inesorabili
a seppellirmi in fosse di pelle.


***

Non si può cogliere la pioggia
la vita di questa cosa che cade
è solo nel momento in cui cade
che la goccia è goccia
intanto che è nell’aria.

Federico Pinzetta, Il travestire dei geli, RPlibri, 2020, prefazione di Antonio Bux

Federico Pinzetta è nato a Mantova nel 1996 e studia Filosofia a Verona. Collabora con la rivista di filosofi a “Sovrapposizioni”. Il travestire dei geli è la sua prima pubblicazione.


sabato 28 novembre 2020

Il "Sillabario senza condono" di Giorgia Deidda

 

Di questa silloge della giovane poetessa Giorgia Deidda, i versi che maggiormente desidero prendere come sintesi dell’intera architettura poetica, sono i seguenti: ... perché il dolore ti circoscrive e ti vuole far rimanere / solo, / no, nessuno, solo tu e lui, / compagni di vita, a braccetto come Montale / su un milione di scale / e ad ogni scala una fitta al petto, / e tu cerchi di spiegare ma sei solo, / sei solo, /sei solo. Sono versi tratti dal libro “Sillabario senza condono”, edita da Amazon nel corrente anno, e che segna l’esordio poetico della nostra autrice pugliese. Dicevo, sono versi importanti e significativi, in cui la Deidda concentra, a mio parere, la sua linea poetica, incentrata sulla consapevolezza di essere immersa in un mondo essenzialmente pervaso dal dolore e in cui lei stessa si vede anima e corpo minimi rispetto alla complessità dell’universo; una consapevolezza che denota la sua indubbia maturità ma anche la sua volontà di confutare questo dolore attraverso la poesia; si tratta, beninteso, di un dolore esistenziale, affettivo, il quale però può persino interessare la fisicità del corpo, tanta è la sua intensità. La nostra giovane autrice ha voluto dedicare la sua poesia al fidanzato, Gabriele Galloni, che, come è noto, è venuto a mancare proprio quest’anno. Mai dedica è stata più appropriata, per la coincidenza dei contenuti poetici dei due autori, per la medesima serietà e consapevolezza profusi nel loro percorso creativo. La Deidda aveva nel classico cassetto questo “vulcano” letterario che ora erompe come lava di fuoco dal suo cuore, ma con una misura ben controllata delle parole e dei versi, già da esperta conoscitrice di quella materia lavica che è, in fondo, la poesia.
In “Sillabario senza condono”, titolo alquanto esplicativo, la Deidda sceglie con coraggio da eroina le posizioni e i comportamenti più adeguati per “stare” nel mondo, accettandone, senza condono, tutti i frangenti dolorosi, le perdite, le mancanze, le negatività ma anche segretamente accendendo qualche lume di speranza: "C’è una vita dentro di me. / È l’assenza, non preghiera, delle cose lontane".
È un libro molto denso e articolato, a testimonianza di un percorso affettivo e psicologico maturato da lungo tempo, nonostante la giovane età, e che la nostra poetessa è riuscita ad incanalare nella sua originale espressività poetica con particolare veemenza e determinazione. Anche il suo dettato poetico si mostra deciso e variamente configurato a seconda dello stato d’animo contingente, del tema, del ricordo, della riflessione, e quindi si struttura su brani poetici succinti, a volte allusivi, mentre in altre parti della raccolta i testi sono più lunghi e discorsivi.
Nell’augurare alla nostra brava e giovane autrice Giorgia Deidda gli apprezzamenti che merita nel suo procedere lungo le luminose vie della poesia, proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo recente libro; i lettori che ci seguono potranno aggiungere ulteriori graditi commenti in merito. 



Radici

Io avanzo perfino immobile
sopra la terra aperta e scopro
che son tutta lavorata e ugualmente
ricca di pioggia.
Non faccio che osservare
dentro la scintilla e nelle cose
che occupano uno spazio
tra le fratture
la gente nuova e quella perduta.
Buona la terra e buono il mare
se oltrepassa la frontiera
o quando – come me –
si lascia attraversare.


***

Tessuti

Da oggi il bianco si riaccende
afferra la spina dell’inesistente,
il mio sillabario senza condono
con abiti uguali tutti gli anni,
ci svia mentre parliamo del vulnerabile
che formiamo.
Specialmente se il vento con dita gelate
mi accarezza il viso.
E lancio un grido d’ombra che il mare,
udendo,
tossisce e trema.


***

Assenza

C’è una vita dentro di me.
È l’assenza, non preghiera, delle cose lontane.
È il guardare la pellicola da vicino
e toccarne gli arabeschi e le intarsiature,
è godere della bellezza nascosta
nelle cose dimenticate,
è guardare
senza rimpianti i propri occhi, è guardare
quelli degli altri senza più paura.


***



A volte vorrei che il mio pianto fosse rispettato,
perché ha una dignità e cresce alimentandosi con le lacrime,
una radice da giardino, si innaffia ogni tanto,
gli si parla vicino per farlo crescere in torrenti mostruosi,
e poi si aspetta che plachi le bufere e i maremoti,
che si dissolva come gocce bagnate uniformate sulle guance,
il viso tutto spettinato, le ciglia pini grondanti d’acqua che ancora scrollano via l’acqua rimasta putrida.
A volte vorrei che si rispettasse il dolore,
che è un semino in potenza ma che spazza via tutto,
anche il respiro
- mamma non sento più niente -
e ti anestetizza il lugubre appiccicaticcio
sulle fronde del cuore, incurante delle carezze
ti butta a terra e gridi strilli
- Signorina la smetta si rialzi -
mi diceva la guardia in ospedale, come se fossi
una bambola da buttare via, o una malata senza speranza,
io vi chiedo di non calpestarlo questo dolore,
che brucia le viscere e buca i polmoni,
così che tu non possa più respirare,
e neanche dire addio,
perché il dolore ti circoscrive e ti vuole far rimanere
solo,
no, nessuno, solo tu e lui,
compagni di vita, a braccetto come Montale
su un milione di scale
e ad ogni scala una fitta al petto,
e tu cerchi di spiegare ma sei solo,
sei solo,
sei solo.

***


Le rotaie sono il mio prossimo treno
rigore del tempo cronometrato nei
segnali orari. Hanno memoria
di un vecchio appuntamento,
un lavoro continuo per pagare
false risate, un pomodoro a fette
sul pane come soglia del mio sguardo,
una domanda lontana si impossessa
di me, sonnambula e trasparente
attorno a questo mio corpo in tante
schegge. Un doppio effetto a cui
non posso pensare, dovevo perdere
prima con un nervoso silenzio.


(Brani tratti dal libro "Sillabario senza condono", di Giorgia Deidda, Amazon ediz., 2020)

Giorgia Deidda è nata a Orta Nova (Foggia) nel 1994. Ha studiato Lingue presso l'Università di Bari.

1994 Orta Nova (Fg) studiato lingue all’università di Bari

sabato 21 novembre 2020

Simone Principe: "Aria pulita al risveglio"

 

Per la rubrica “Proposte in transito”, ho trovato molto interessante un giovane poeta molisano, Simone Principe, seguito ottimamente nel suo percorso letterario dalla compagine di scrittori e poeti che faceva capo ad Amerigo Iannacone, fondatore e direttore della rivista letteraria in lingua italiana ed esperanto “Il Foglio Volante – La Flugfolio” e recentemente scomparso ad Isernia, nel 2017. La particolare dedizione alla realtà poetica molisana ora viene ripresa e continuata da altri amici illustri, come Antonio Vanni, Giuseppe Napolitano, Ida Di Ianni. Le pubblicazioni della EVA Casa Editrice di Venafro continuano ed è appunto questa recente pubblicazione del bravo Simone, inserita nella collana curata da un’altra giovane poetessa di Venafro, Chiara Franchitti, l’oggetto della nostra proposta.

Riportiamo dunque alcune poesie tratte dal libro Aria pulita al risveglio, in cui risalta subito evidente la vena sentimentale del giovane poeta, dichiarata con enunciati poetici sinceri e addolorati. Nei suoi versi riecheggia l’amarezza del distacco, dell’amore ancora rovente, del pudore misurato eppure coraggioso nel tentare di riprendere un nuovo contatto, una nuova relazione: "Io sarò sempre lo scoglio, pronto ad accoglierti in qualsiasi momento nel tuo mare della vita", afferma il nostro autore, con una nota di leggera amarezza, ma con il cuore sempre aperto alla speranza. Una speranza che la sua poesia rende luminosa e colma di attese: il risveglio avrà aria pulita e tersa da offrire al mondo, al poeta.


Radice inestricabile

Chissà quanto dolce sapore
d’aria pulita al risveglio,
quante carezze di sole
dallo spiraglio di una finestra,
che quell’etere puro di te
non lascia passare,
vorrei incantarmi tutta la notte
aspettando la stella
incandescente,
fumo vedo
e penso in un istante a te,
tra le dita lei droga affascinante
quanto mortale,
seduto su di una sedia
vicino alla finestra
ti cullavi portandola alla bocca,
bruciava quanto ora brucia
il mio ricordo di te,
fumo è, ma cenere come concime
il sentimento,
ogni piede messo in quella casa
è un passo di tempo fulmineo
nei ricordi,
udire per poi sfociare
nel buio della mia anima,
bagnato da lacrime
di pura amarezza,
nel comprendere di quanta strada
della mia vita senza te,
per poi trovarmi in quel tempo
voluto da Dio,
stare lì e udirti senza battere ciglio,
neanche una folata di vento,
il cielo tremare
e la pioggia a bagnarmi,
io sarò lì, guardarti in viso,
gli occhi di un sincero bene,
di sofferenze e libertà,
il ramo secco del mio albero
si è fatto polvere,
come fenice che risorge
si è fatta radice inestricabile,
nel mare le onde in tempesta
si infrangono contro uno scoglio,
così il mio ricordo
contro il cuore
che un’emozione ha da provare.


***

Vago

Vago in me,
a cercar modo di cacciarti
e nel pensiero ti infiammi.
Da cocci taglienti,
cola sangue freddo
che dal tuo respiro veniva scaldato,
ed ora si impregna
di lacrime di un blu corallo,
ove sta riposando
sul fondale della nostra età,
un pezzo di noi.


***

Il tramonto nei miei occhi

Il tramonto nei miei occhi
è l’alba nei tuoi.
I tuoi occhi sono primavera,
le tue labbra petali di rosa,
il tuo amore è come il mare,
ove il mio è lo scoglio
su cui ti puoi aggrappare. 

(brani poetici tratti da "Aria pulita al risveglio", Edizioni EVA, Venafro, 2020; prefazione di Antonio Vanni)

Simone Principe è nato ad Isernia nel 1998. Ha frequentato il Liceo Artistico “Giuseppe Manuppella” di Isernia. Sue poesie sono apparse sul mensile letterario “Il Foglio Volante – La Flugfolio”, Ediz. EVA, nella rubrica “L’aquilone” a cura di Antonio Vanni. Aria pulita al risveglio è il suo esordio poetico.


lunedì 16 novembre 2020

DANIELA MATRONOLA, MELAMANGIAI, RPlibri

 



Una forma – la sua simmetria / – appare solo una volta compiuta. / Il coraggio sta nell’incamminarsi / lungo le sue linee”. È il testo poetico che appare in quarta di copertina del libro “Melamangiai”, di Daniela Matronola, pubblicato da RPlibri nel 2018. Un brano poetico breve, quasi un aforisma, ma intenso e, come ogni buona e vera poesia, indicatore/rivelatore di un concetto originale e propositivo.

Mi piace iniziare questa nuova rubrica di segnalazione di testi poetici e di altra natura letteraria, per il sito “Transiti Poetici”, con questa raccolta della poetessa e scrittrice Daniela Matronola, riportando qui di seguito tre brani poetici tratti dal libro, e dai quali già è possibile confermare la grande cura che l’Autrice pone nel fare poesia e l’importanza che la parola poetica deve assumere nel progetto poetico complessivo.


Questo fruscio nei rami
questa mano lieve sui fiori
questo soffio leggero
questa carezza dolce
questo sguardo delicato
questa tenera accuratezza
questa cura di noi

è la parola dei poeti

la parola dei poeti

è piana e lineare
è come un respiro
è una boccata d’aria
è fiato fresco
è vento pulito
è ruscello e corrente
è capovolgimento


***

Detesto chi declama i poeti a memoria,
chi si fa scudo delle parole dei poeti

per dare a intendere che per osmosi può
calarseli addosso come mantelli di gloria.

Mi urta la prosopopea dei soloni vanesii
che sproloquiano come testi ambulanti.

Versi a memoria ne ricordo pochi, e sono
a corto anche di parole di canzoni.

Mi muovo per approssimazioni, però poi so
dove andare a ripescare. Preferisco rileggere.

E lo dico proprio a te, poeta invernale eppure
non gelido: ingenuamente, col candore di

un bambino, ti riempi la bocca del blank verse
dell’anglo-bardo, dicono siciliano, eppure

non hai visto la mia poesia


***

Dalla lingua della Legge
ho imparato un trucco:

tutte le parole dette, le cose nominate,
sono tutte indicate perché mancano.

Il Preambolo toccante della Dichiarazione
di Indipendenza tocca tre punti: vita, libertà,

e la ricerca della felicità. La vita non era
assicurata, la libertà non era scontata,

la felicità è la chimera d’ogni essere vivo.
Dirlo è porlo come questione, vitale bisogno.

Opere omissioni parole e pensieri.
Auguri sinceri uguale falsi auguri

Daniela Matronola, nata a Cassino, lavora alla propria letteratura da molti anni, su quasi tutti i fronti: racconto, romanzo, traduzione, critica su rivista, poesia. Ha anche tenuto corsi sulla poesia italiana a studenti americani alla LUISS e di scrittura in versi per la Scuola di Scrittura Creativa OMERO, prima in Italia (a parte le lezioni milanesi di Giuseppe Pontiggia). Ha vinto qualche premio, per il racconto, per la poesia e per il romanzo.

Daniela Matronola, Melamangiai, RPlibri, 2018

 https://rplibri.com/




sabato 14 novembre 2020

Le poesie "controcorrente" di Fabio Dainotti

Poesie controcorrente è la recente raccolta poetica di Fabio Dainotti, pubblicata dalla Biblioteca dei Leoni lo scorso mese di luglio, con prefazione di Paolo Ruffilli. Partendo dall’assunto che il titolo di una raccolta è, in qualche modo, già molto indicativo riguardo al tema dell’intera opera, mi sono chiesto cosa l’Autore volesse significare con il termine “controcorrente”. Si tratta di una presa di posizione poetica, filosofica, comportamentale? Si tratta di una poetica che, in un certo modo, esula dai canoni convenzionali in base ai quali una poesia può definirsi tale, per forma, stile, struttura e persino per contenuti?
Ma leggendo, anzi “osservando” più attentamente la copertina del libro, ho notato subito che, sotto al titolo, il termine “controcorrente” è riscritto come se la parola fosse stata riflessa da uno specchio. Concentrerei quindi su questo particolare del libro la mia breve attenzione, in quanto mi piace ritrovare “tra i versi” di un autore, lacerti di idee e di figurazioni che a volte esulano dal discorso principale proposto: la poesia, specie quando è intensa e propositiva, offre sempre diversi spunti di riflessione, diversi percorsi da seguire partendo dalla cima, cioè dalla apparenza più significativa e ovvia che si può evincere dal testo, fino a specificare linee parallele di intendimenti: un po’ come scendere dalla cima di una montagna percorrendo i vari sentieri lungo le pendici fino a valle.
In questo senso, vedo in questa recente raccolta di Fabio Dainotti un tentativo ben riuscito di fondare il suo discorso poetico su un accentuato andamento dal grande al piccolo evento. Controcorrente, appunto, perché di solito la poesia parte dall’elemento minimo per poi giungere ad una generalizzazione del concetto o dell’argomento trattato. Qui invece Dainotti si “addentra” nella poesia, come aprendo di volta in volta le fatidiche scatole cinesi, verso dopo verso, fino a raggiungere un minimo elemento, il granello di verità o di novità finale. Ad esempio, nella poesia “La passeggiata”, a pag. 29, il poeta parte da un panorama ampio come può essere un viale alberato di Milano, inondato dalla luminosità di una giornata di giugno, per terminare con il particolare dell’immagine delle signore che sfilavano eleganti / con ombrellini al braccio: il tutto si concentra in questi due versi finali, tutto il mondo sembra puntualizzarsi nella stereotipia e nell’ovvietà di gesti e abitudini formali, che davvero sembrano prendere il sopravvento sugli aspetti più sostanziali e urgenti, meritevoli di maggiore attenzione al fine di dare un senso alla nostra esistenza. Ma tant’è! Il discorso esistenziale, in Fabio Dainotti, è appunto evidenziato ottimamente, quasi per “contrappasso”, “controcorrente”, se vogliamo, quando il poeta ci mostra, tramite i suoi versi, un mondo minimale, ridotto a pochi tratti essenziali, quotidianamente ripetitivi e ovvii, specie nell’ambito affettivo: “… Il giorno dopo udii cigolare / il divano di là: qualcuno forse / tentava di abbracciarti. / Ti sentivo ansimare, / ma poi: C’è lo studente! mormorasti. / Certo non ero l’unico / uomo della tua vita” (pag 54). Ma la potenza della poesia di Fabio Dainotti sta proprio in questo segreto nascosto generalmente negli ultimi versi: uno stato piatto, usuale, consono alle prospettive di una società omologata e omologante; ed è da questo stato minimo, visto “controcorrente”, che è possibile, una volta provato e vissuto, il riscatto e la riconquista di cieli più elevati, la riconsiderazione di una mentalità e di una esperienza più ampie, partendo dalle piccolezze e dagli errori che la società consumistica a volte induce a commettere. Fabio Dainotti è dunque testimone di questo stato minimo, come afferma anche Paolo Ruffilli nella sua dotta prefazione, e la sua poesia ne è cartina al tornasole, indicandone e quasi denunciandone le particolarità, ma nello stesso tempo, come ho già ribadito più sopra, ne indica l’uscita verso orizzonti più vasti. E dunque il dettato poetico di Fabio Dainotti, in questa raccolta, è aderente a tutto ciò, mostrandosi essenziale e diretto, non privo di una certa ironia.
Ma lasciamo ora ai nostri lettori il compito di aggiungere, se lo vorranno, altre gradite riflessioni o commenti in proposito, dopo aver letto il libro o anche i brani che qui di seguito proponiamo.


In visita

Quasi ogni giorno venivo a trovarti
nella casina bassa,
affondata tra il verde dei cespugli;
legavo il mio cavallo
alla grata di ferro del giardino.

Tua madre ti adorava,
impressionata da tutti i tuoi libri
colorati sopra gli scaffali;
tu, però, la trattavi sempre male.

Rimaneva stupita del mio arrivo.
“Quest’umile casina, disse un giorno,
non è adatta nemmeno come stalla
per il cavallo del tuo amico Fabio.”

(dalla sezione “Strani amori”)


***

La passeggiata

La littorina fermava
in un viale alberato di Milano;
era giugno, la luce dilagava.

Vimercate: fermata in pieno centro,
tra un’edicola in fiore di giornali
e il chiosco per la musica d’estate.

Le signore sfilavano eleganti
con ombrellini al braccio.

(dalla sezione “Figurine”)


***

Vittoria o della gelosia

Si chiamava Vittoria: lui non so
più. Venivano i due da Milano;
lui smilzo e alto, lei con un bel seno
sotto il succinto costume da bagno.

Così la trassi dietro una cabina
e l’abbracciai. La spiaggia era dorata.

Ma non gradì per niente la mia fidanzata,
che, furibonda, parlava di un torso.
Il forestiero non la comprendeva,
la guardava, la bocca semi aperta;
allora lei, nervosa: “Il torso, quello
che… si mangia la mela e poi si butta”:

(dalla sezione “Un amore”)


***

Una chiesa laggiù

C’è una chiesa laggiù, ci si arriva
da un vicolo in discesa, che costeggia
un giardino alberato con le aiuole.

C’è uno zampillo chiaro nel giardino,
che canta una sua canzoncina,
di sole quattro note,
ma vorresti ascoltarla sempre, sempre.

È l’acqua primordiale della nascita,
che ti culla e ti invita ad annullarti,
come una macchia, nella nuda terra.

(dalla sezione “Amor sacro”)


***


Dopo l’amore

“M’hai svegliata”, dicesti, dilatando
gli occhi, dopo l’amore.
“Ti amo”, dissi io, studentello inesperto;
ma tu, diretta, senza orpelli: “Io no!”

Il giorno dopo udii cigolare
il divano di là: qualcuno forse
tentava di abbracciarti.
Ti sentivo ansimare,
ma poi: “C’è lo studente!” mormorasti.
Certo non ero l’unico
uomo della tua vita.

(dalla sezione “Racconti in versi”, dittico per Agostina locandiera)

Brani poetici tratti da Poesie controcorrente, di Fabio Dainotti, Ediz. Biblioteca dei Leoni, 2020, prefazione di Paolo Ruffilli.

Fabio Dainotti (Pavia 1948), presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana, di cui è stato per anni presidente e direttore, condirige l’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Ha pubblicato di poesia: L’araldo nello specchio, prefazione di Francesco D’Episcopo, Avagliano editore, 1996; La Ringhiera, prefazione di Vincenzo Guarracino, Book, 1998; Ragazza Carla Cassiera a Milano, Signum, 2001; Un mondo gnomo, Stampa alternativa, 2002; Ora comprendo, prefazione di Luigi Reina, Edizioni Scettro del Re, 2004; Selected poems, Gradiva, 2015; Lamento per Gina, prefazione di Sandro Gros-Pietro, Genesi, 2015 (Primo premio “I Murazzi” con pubblicazione premiale gratuita); in edizione bilingue Requiem for Gina and other poems, prefazione di Enzo Rega, Gradiva, 2019.  Ha collaborato a numerose riviste di settore (tra cui “Capoverso”, “Misure critiche”, “Gradiva”) ed è presente in molte antologie. Ha tenuto reading di poesia in Italia e all’estero. Come conferenziere, ha parlato su argomenti di letteratura e di interesse dantesco e commentato canti della Divina Commedia. Il mensile “Poesia” si è occupato criticamente della sua opera e su RAI TRE sono apparsi servizi su eventi da lui promossi. Ha curato la pubblicazione presso Bulzoni de Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco (2010). 




domenica 8 novembre 2020

Le "Radici" di Antonietta Cianci



Il richiamo dei luoghi di origine, dove si è venuti al mondo, specialmente quando si cambia ambiente e città, è sempre molto forte, e facilmente fa insorgere nella persona che si è dovuta allontanare, per motivi di lavoro, familiari o altro, sentimenti di nostalgia e ricordi commoventi, che riempiono lo spazio del cuore e dell’anima nei momenti di rilassamento e di riposo. Mi vengono in mente a tal proposito i versi intensi e addolorati che Quasimodo rivolgeva alla madre, la sua dolcissima mater, dopo il suo trasferimento per lavoro nelle terre di Lombardia. 
Radici che legano affettivamente e culturalmente ognuno di noi quando si trova lontano, radici che nutrono il cuore con immagini e ricordi indelebili, perché è nei luoghi natii che l’esperienza di vita comincia a consolidarsi e ad attorniarsi di valori genuini e fondamentali, imprimendoli nella mente e nell’anima per sempre.
Ma per parlarne in modalità artistica e letteraria, non basta il semplice ricordo. Ognuno di noi può raccontare, attraverso l’arte, per esempio con disegni, aneddoti, storie, racconti, dipinti, il proprio vissuto, le proprie origini, il paesello o la città dove è nato, le proprie vicissitudini familiari, e quant’altro legato alla propria infanzia o gioventù. L’arte, e nel nostro caso la poesia, è una ottima opportunità per esprimere la lontananza, le radici, i ricordi, ma naturalmente bisogna che ci siano gli elementi fondamentali perché il ricordo, il racconto, l’immagine, possa definirsi davvero opera d’arte. Non basta raccontare, scrivere versi di ricordi (o ricordi in versi), per poter dire che ciò che si è scritto è davvero una poesia, una poesia che contenga ed esprima il dolore, il patimento, l’immediatezza della visione, e lo stile, la forma armonica e melodica con la quale si dicono le cose; Quasimodo può esserne un esempio altissimo, da tenere a riferimento.
Tutto questo preambolo, per dire che Radici di Antonietta Cianci, aderisce senz’altro ai canoni di una poesia del ricordo, di una poesia che rievochi e riproponga i luoghi e i tempi di un vissuto fortemente intriso di quei valori indissolubili che formano la personalità, culturalmente e affettivamente, come più sopra affermato. La piena aderenza a queste modalità, nell’opera poetica di Antonietta Cianci, si evidenzia in tutti i brani della silloge nella quale, come afferma anche l’ottimo prefatore prof. Carmine Cimmino, suo conterraneo, Antonietta Cianci sa “costringere” le parole a rappresentare con immediatezza tutta la sua potenza visionaria.
Ed è proprio grazie allo spessore delle sue parole poetiche, che la nostra autrice riesce a rendere le figure, i ricordi, gli stati d’animo e i momenti più significativi legati alla sua terra d’origine, Napoli, aderenti ad una modalità lirica di grande efficacia e coinvolgimento emotivo, assolvendo in tal modo al compito che ogni poeta, e ogni poesia, deve svolgere: coinvolgere/sconvolgere direttamente la sfera emozionale del lettore, inducendolo a riflettere sul tema ma anche interessandolo e gratificandolo sul piano estetico, interiorizzando con la lettura o con l’ascolto diretto dei versi, il loro ritmo, la loro armonia, le loro immagini e allusioni sottintese.
Radici di Antonietta Cianci è dunque, giustamente, un bellissimo canzoniere, come ribadisce il Cimmino, dedicato alla sua città natale, Napoli, ma grazie all’intensa poesia che ne veicola i quadri emotivi e le memorie, è anche una raccolta omogenea di versi che intelligentemente e liricamente attualizzano e incarnano riflessioni e progetti futuri di vita, di amore e di speranza: con nel cuore e nell’anima le radici fondamentali, questo è un viaggio sicuramente proficuo e felice, e la poesia di Antonietta Cianci ne è il tramite più indovinato.
Riportiamo qui di seguito alcuni brani del libro della Cianci, augurandoci che i nostri lettori vogliano aggiungere altre interessanti e gradite riflessioni in merito.




Vorrei insegnarti
ciò che il limite del tuo sguardo
impedisce:
i toni del mio umore
quando l’azzurro
pian piano si addensa
nel blu notte
e incupisce
o quando il rosso digrada
in arancio e intiepidisce in giallo.

E quando i miei colori
ti diventano chiari
prendimi per mano
e portami al riparo.
Portami a Napoli
in mezzo alla gente
tra l’umanità più calda e più vera
portami a Miseno
di notte
a guardare il golfo
e parlami di Ischia.
E appena le luci dell’alba
mi rischiarano il volto stanco,
andiamo via
portami a sentire l’odore del tufo
e della terra dura sul Vesuvio.
E salvami.
Salva i miei colori più belli
tienili con te
tienili per me.

Non è tanto diversa un’alba
da un tramonto
Il principio e la fine
confinanti e legati
le luci e i colori
che riscaldano
e portano pace.

E oggi che cammino
tra le pieghe dell’età adulta
in questa crisi della quarantina
passando per luoghi che non mi fermano
e tempi
che sfuggono e non combaciano
non so se sia alba
o tramonto
il vivere dolorante

Ma nelle mattine di agosto
silenziose e sonnolenti
seduta sui balconi della mia infanzia
io mi ricordo
chi sono.
Alba e tramonto insieme.


***


Napoli è silenziosa
così a novembre
di domenica mattina
quando il cielo è grigio e gonfio di pioggia
E lo scirocco sfiora le mani e il volto stanco

Qui nella stazione piena di valigie addormentate
colma degli sguardi malinconici di chi parte
e forse non vorrebbe
Qui e oggi Napoli è silenziosa
come una madre solitamente chiassosa
che tace accanto alla figlia spaventata
sentendone l’angoscia
proteggendone il dolore. 


***


Lungo la riva buia
della marina deserta
in quel lembo di golfo
dove la brezza di terra
accompagna l’alba

lungo il tragitto dei ricordi
affiora
un filo di luce lunare.

E tu mezzo morto
sotto il peso della notte insonne
a passi faticosi e inquieti
cerchi l’errore
l’abbaglio
il come e il quando
hai perduto
i tuoi giorni migliori
il come e il quando
hai perduto
me e la mia parte migliore.


***


Vorrei, amore mio,
che tu venissi a prendermi
e mi portassi a Napoli
stringendomi la mano
attraverso i quartieri
che sanno di calore e di passato
lungo i muri
che odorano di tufo e di ricordi.

Vorrei che tu fermassi
questo lungo camminare
il mio andare senza sosta
senza meta.

Vorrei trovare pace
quella che sale dalle viscere della nostra Napoli
che parla di silenzi
con la lingua del rumore. 


***

Rimane
nel caos informe
un ordine invisibile
la linea retta
la curva
che diventa cerchio
e trasmuta in sacro.

E a quel disordine
somiglia il mio viaggio
alla ricerca della forma
della retta che tranquillizzi
del cerchio che mi contenga.
Cercare nelle profondità del mio disordine
un ordine per fermarmi.
E stare.


***


È la pioggia
che scende insistente
per giorni e giorni
senza spiragli
È l’aria grigia
negli occhi e fin dentro dell’anima
È il silenzio immobile
che pietrifica il pensiero
l’umanità dissolta
lo stagno dove mai un sasso viene scagliato.

La pioggia, l’aria, il silenzio, lo stagno, l’umanità
sommersa… tutto mi parla di fuga.

(Brani tratti da Radici, di Antonietta Cianci, Transeuropa Edizioni, 2019. Nota introduttiva del prof. Carmine Cimmino)

Antonietta Cianci è nata nel 1980 a Napoli. Dopo essersi laureata in Lettere Classiche ed aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento, si è trasferita a Bergamo, dove attualmente vive e lavora come docente. Questa è la sua prima raccolta poetica.


venerdì 30 ottobre 2020

Sara Comuzzo: dove i clown vanno quado sono tristi

Sara Comuzzo
Foto di Natalia Bondarenko


Abbiamo già avuto modo di parlare dell’ottima poesia di Sara Comuzzo (Transiti Poetici, 19 aprile 2019), poetessa prolifica con esperienze letterarie profonde, anche in ambito internazionale. Ora la ritroviamo con la sua recentissima pubblicazione, “Dove i clown vanno quando sono tristi”, edita da Brè nel luglio scorso, e della quale riportiamo qui di seguito alcuni brani.
Si tratta di una raccolta omogenea che, come viene ribadito anche nel prologo, vuole essere un compendio poetico di temi particolarmente sensibili e, se vogliamo, universali: dai rapporti interpersonali al trambusto della vita quotidiana, alla ricerca di un vero senso da dare all’esistenza. Tutto questo viene indagato, ricercato ed esposto in un mosaico di brani poetici di particolare effetto scenico, suddivisi in tre sezioni: “Camere separate”, “Le colombe sanno tutto”, e “Fermarsi”.
Come sempre accade, anche in questo caso il titolo della raccolta, originale ed emblematico, vuole essere una estrema sintesi dell’intero progetto poetico. Siamo abituati a sorridere davanti alle comiche espressioni dei clown al circo, e difficilmente siamo portati ad immaginare cosa facciano al di fuori della loro attività, se davvero continuino ad essere allegri e sorridenti o se in realtà anche loro, come tutti i “normali” esseri umani, possano patire sofferenze, dolori e tristezze. Il nocciolo della filosofia poetica della Comuzzo, in questo libro, ritengo sia incentrata proprio sulla metafora del clown come figura universalmente accettata di buonumore e di spensieratezza: l’effimero, in sostanza. Ogni cosa, ogni storia, ogni accadimento, persino ogni persona, può mostrarsi nella propria caratteristica usuale, quella che per tutti è accettata come “normale” e “normalità”, e la società in genere, abituata ormai alle omologazioni, ai superficialismi, alle apparenze, non va ad indagare oltre, non va a ricercare i nonluoghi e nontempi dove i clown sono tristi, dove cioè apparirebbero nella loro autenticità.
Sara Comuzzo, in questa pregevole silloge, mette a nudo tutto un mondo di ipocrisie e di comportamenti stereotipati, al limite della falsità; un mondo che è quello che conosciamo e viviamo quotidianamente, che risponde prevalentemente alle leggi dell’utilitarismo e dell’egoismo. La poesia, e nella fattispecie la poesia di Sara Comuzzo, è velata denuncia di questi aspetti della società moderna; una poesia che non può non essere autentica e propositiva, modulata su piani di dialogo e di azioni che si snodano fluidi e diretti, con versi e termini ricchi di rimandi e di allegorie.

 

Posti migliori

Contami i denti
era solo per dire

che mi fai sorridere.

Una confessione di burro:
la luna si scioglie anche nelle pozzanghere peggiori.

Non vedi una via d’uscita,
ma c’è.

Poco importa agli stagni delle anatre,
vogliono solo cigni;
e io compro tutti gli anatroccoli che trovo
e li porto in posti migliori.


***

Offerta

Cosa rimane nella stanza
una volta tolti mobili e specchi?

I lacci delle scarpe non si slacciano mai
se non quando cammini nel fango.

Gli spuntini hanno freddo nel distributore.

L’ora del perdono inizia la domenica
o forse il trivedì,
un ottavo giorno
non ancora scoperto.

Essere poco lontano dall’uscita autostradale
ma mettersi d’impegno per sbagliare corsia.

Non arrivare mai al bivio.

Questa non è una perdita
ma un’offerta.


***

La fame dei gabbiani

Ci sono migliaia di fogli fronte e retro
ma tu non volti mai pagina.

Da lontano,
un punto e virgola può passare per due punti
eppure questo è un elenco
che non fa parte dello stesso argomento.

Si nasce e si muore
come candele
accese per una preghiera
che ci si è dimenticati.

La tua schiena
pronta a istruirmi
su come si fanno gli addii

e lì si lasciano,
sui marciapiedi,
a invecchiare
accanto alla fame dei gabbiani.


***

Camere separate

La notte non è ricompensa per il cieco.

L’alba scende dai rami
chiede di dare un nome a questa stagione.

È un inverno freddissimo
non ha definizioni.

Abbiamo fatto pace
ma in camere separate.

Qualcuno compra una casa sulla spiaggia
solo per guardare il mare.

Quella vita è finita,
sembri più felice ora
mentre i fiori del cimitero muoiono
e io dico che sono tuoi,
tu dici - miei.


***

Speranza

Mangi troppo e troppo di corsa:
la vita non dà sempre pause pranzo.

Ogni volta che vorresti scrivere una lettera,
la penna è senza inchiostro;
gli occhi senza lacrime
durante il funerale di qualcuno che hai amato.

L’appuntamento con l’inverno era il 22 agosto.
Abbiamo preso un treno per la spiaggia,
mangiato pasticcini,
ci siamo sporcati i contorni della bocca
ma abbiamo lasciato tutto lì
e, come nomi sconosciuti,
i residui di zucchero sono rimasti su di noi
per tutte le fermate.

Possiamo perdere
e chiamarlo vivere.


È qui che i nostri pezzi cadono allineati,
accuratamente disposti
come un castello di carte,
speriamo solo che il vento non…


***

Mollica

Mi hai messo una sigaretta vicino al volto
perché indietreggiassi.

Puoi cambiare i sottotitoli nella tua lingua madre
ma non capirai comunque il film.
I cordoni ombelicali lasciano bambini appesi,
orfani e soli.

La paura dell’approdo
è più forte della speranza di naufragare.

È paradiso o rumore bianco?

L’infinito è sollevare il mare,
dargli spazio dentro al diluvio.


Ho perso la mollica del pane ma rimangono le croste.


***

Fermarsi

Clessidre capovolte
invece di rubare il tempo lo regalano.

Scrivere poesie dolcissime
e poi trovarsi senza zucchero in casa
quando gli ospiti vengono a bere il caffè.

Rincorrere il sole prima che faccia buio.

Adesso, le rughe sul volto crescono più profonde,
solcano un terreno chiamato età,
preannunciano, sussurrando, che è tempo di andare.

Anche fermarsi dopotutto è un viaggio.


Brani tratti da "Dove i clown vanno quando sono tristi", di Sara Comuzzo, Edizioni Brè, 2020.


Sara Comuzzo (Udine, 1988) ha pubblicato cinque raccolte di poesie e una di racconti. Sue poesie appaiono su siti, riviste e blog letterari in Italia e all’estero e sono state tradotte in portoghese, spagnolo, russo e inglese. Ha studiato letteratura moderna e studi di genere alla Sussex University con una tesi sul teatro di Sarah Kane.
Collabora con YAWP nel reparto “Poesia”, come critica e traduttrice. Vive e lavora in Inghilterra.


domenica 18 ottobre 2020

L'essenzialità dei sentimenti nei versi di Claudia Olivero


Un desiderio di libertà e di autenticità traspare nei componimenti poetici di Claudia Olivero, poetessa torinese, autrice della raccolta “Per baciarti a occhi chiusi non servono gli occhiali”, di cui riportiamo qui di seguito alcuni brani. La schiettezza del dire poetico della Olivero è una caratteristica che accomuna molti autori, ed è cosa buona e pregevole quando la poesia riesce a mostrare aspetti e situazioni anche particolarmente privati, intimi, personali e delicati, senza peraltro sconfinare nella banalità o, nel caso opposto, in un esagerato e inopportuno esibizionismo. La poesia, quella autentica, è giusta misura di tutte le cose, è verità artistica, e proprio per questo, tramite essa ogni scenario e ogni dettato, in qualsiasi ambito umano, sociale e sentimentale, può essere accettato. Se è buona poesia. E quella di Claudia Olivero è senz’altro buona poesia, in questo senso. In ogni modo, la nostra autrice riesce con pochi versi ad accumulare una tensione lirica davvero sorprendente, dove l’”io” narrante si scompone e si ricompone negli atti più semplici, o forse più complessi, sotto certi aspetti, del rapporto uomo-donna, partendo da questo tipo di relazione ma con la grazia di generalizzarlo e a sublimarlo nella relazione più ampia che lega e collega ogni uomo all’altro uomo: il sentimento di fratellanza, di amicizia, di amore. E questo rapporto è analizzato dalla Olivero fin nella sua più segreta essenzialità, nei gesti di tutti i giorni, anche nelle cose circoscritte che fanno da scenario abitudinario, nelle minuzie che però diventano oggetti determinanti, quasi cartine al tornasole per individuare e accertare l’esistenza di quell’umore sentimentale che lega due persone. Ecco dunque gli occhiali, divenuti superflui se l’amore è sincero e fidato. Ecco dunque l’inutilità del fragore e dell’impetuosità nel rapporto, mentre si cerca la semplicità, la serenità solare e la autenticità. 

Claudia Olivero è dunque poetessa che sa affrontare con determinazione e spontaneità il dialogo profondo ed essenziale tra lei e l’altro, tra lei e le cose di tutto il giorno, tra lei e il suo stesso riflesso, il suo “me”, che è punto d’osservazione critico d’un mondo che sfugge sovente ad ogni sorta di legame sincero e di rispetto reciproco. E lo fa con un versificare nervoso e rapido, ma denso di significati e di rimandi che inducono alla riflessione. 

Ed è proprio ai nostri lettori che rivolgiamo l’invito ad aggiungere ulteriori riflessioni e graditi commenti, dopo aver letto i brani che seguono, tratti dall’e-Book Per baciarti a occhi chiusi non servono gli occhiali, Brè Editore.




Ombelico, capezzoli, occhi

Mi sbottono la pelle
per poggiarla
su certi pensieri
resto di scheletro
e carne
in vortici il ronzio d’api
ascolto immobile:
è abisso intorno
il raccontarsi


***

Occhiali

Così mi vedo
spogliata
davanti a una finestra
e i suoi vetri spessi:
occhiali speciali
per richiamare in silenzio
quel mondo
da un mero punto di vista.
Che sia il tuo,
poco cambia.
Alle mie spalle un cortile
giallo e ancora,
nel sole estivo -
prospettive ineguali:
non c’è ombra
nonostante sconnessi riverberi -
apparentemente distratti.
Nonostante
le nubi.


***

Non lo sai

Non lo sai
che puoi essere vento e tempesta
(e io i panni stesi)
e poi d’improvviso la calma assoluta
(e io m’ingarbuglio
prendo il volo, pesante,
mi faccio portare
fin dove si può).

Ma tu non lo sai
d’esser stato vento e tempesta
mentre cercavo la calma assoluta.


***

L’abitudine di noi

L’abitudine di questa casa,
quella di noi
forse un giorno cadrà male
sui miei fianchi
come un abito troppo stretto.
Il gesto comune di aprire la porta
e richiuderla
appesantirà la mia mano
divenuta sabbia,
divenuta marmo.

È per questo che dobbiamo partire
e farlo spesso
e guardare altri occhi,
esplorare altri cuori:
per ritornare ogni volta
nell’unica casa, attraversando
quell’unica porta.


***

Cantami

Cantami!
Per ogni singola ora
trascorsa lontana da me
per ogni minuto, secondo
per ogni singolo gesto
rivolto fuori da te

Cantami
come dovessi ora
lasciare qui la mia pelle
fuggire nuda
attraverso ogni muro
mai eretto, mai abbattuto.

Cantami fino a non avere più
voce, cantami
per non lasciarti ferire.
Cantami,
avverami
fammi esistere
ora
in ogni pensiero
di ogni piccolo uomo
in ogni parte del vasto mondo.
Cantami:

ancora insegnami la tua voce -
che già conosco
in quegli attimi
che paiono ore
in cui troppo forti
sento
le onde del corpo,
la loro risacca.
Me

domenica 11 ottobre 2020

Le "Inesperte esperienze" di Gastone Cappelloni, poeta marchigiano

Gastone Cappelloni è un poeta marchigiano che si è fatto apprezzare recentemente in Italia e all’estero, specie in Argentina, dove ha presentato con successo le sue ultime pubblicazioni. È un poeta impegnato e prolifico, avendo prodotto finora più di venti libri, alcuni dei quali, per l’appunto, tradotti in spagnolo.
La sua dedizione al mondo della poesia è rilevante e continua; lo dimostra anche il fatto di aver realizzato una interessante antologia di suoi testi, intitolata “Inesperte esperienze”, la quale costituisce in effetti, come lo stesso sottotitolo riporta, una vera e propria “Opera omnia”, suddivisa in quattro sezioni: Primavera, Estate, Autunno, Inverno. Un titolo fortemente ossimorico, stante ad indicare una sorta di impreparazione, di struggimento quasi, nell’affrontare la realtà, che comunque il nostro poeta “affida” alle parole poetiche, ai suoi versi, per addolcirne il senso e per disciplinarne meglio il percorso esperienziale. Metaforicamente, la suddivisione nelle quattro “stagioni” dell’anno, ci suggerisce che Cappelloni vuole accompagnare il suo percorso poetico, le sue “inesperte esperienze” alla propria personale evoluzione temporale, offrendoci, relativamente ad ognuna delle quattro stagioni, testi poetici adeguati e fondamentalmente ispirati a queste: dai ricordi familiari, alle più mature esperienze affettive e fino a giungere alla consapevolezza e (quasi) alla rassegnazione dell’attuale esistenza. Sono testi che ricalcano riflessioni, domande, dubbi; l’assenza del titolo in tutte le sue composizioni è una scelta quasi obbligata: dare continuità e impellenza al suo dire, lasciarlo fluire senza interruzioni e distrazioni. L’amore è un tema ricorrente, un amore carnale ma anche idealizzato e nostalgico, che riappare e scompare dietro le quinte della città e della quotidianità. Ne è il filo conduttore in “6.0”, una raccolta del 2017 scritta per i suoi sessanta anni. 

Proponiamo ai nostri lettori, dunque, alcuni brani poetici di Gastone Cappelloni. I primi tre sono tratti da “6.0”, mentre i rimanenti quattro testi figurano in “Inesperte esperienze”, uno per ogni sezione. Ci auguriamo che i nostri amici, dopo aver letto i testi, vogliano aggiungere altre gradite riflessioni in merito, o commenti.




Ora che la tua mente
vivrà
l’eleganza del rispetto
ti percepirò abbracciata
al volto azzurro dell’universo.

Delicato incontro, cortese purezza
incisa
con l’anima delle immagini.

Donna
silente e virtuosa,

temprata e plasmata
dall’eco delle primavere.

Giorno di cordiale piacere
l’anima,
si disseterà all’ombra
di alate tue radici.


***

Osservo i lineamenti tuoi
disegnati e perfezionati
dalle lettere dell’amore
interiorizzando passato a venire.

Sguardo e pensiero d’argilla,
nel donarmi spezie di rosea attesa.

Natura che personificherà,
l’irrinunciabile femminilità.

Immagine sagace,
che sosterrà
nei marciapiedi delle stagioni
colei che alimenterà in me,
l’equilibrio
di mai piatto temperamento.



***

Pacificamente
ti raccontarono
tumulti di memoria
che inselvatichirono
l’avvenire dell’amore.

Girovagando attorno
alle timidezze della verità
si ricordarono
che vent’anni dopo
bianche chiacchiere
si misero ad ammaestrare
commosso tepore
lasciando come eredità,
agli indifferenti
della speranza
le argentate tue parole.


(testi tratti da “6.0”, 2017)


***


Padre raccontami
con gli occhi miei
il secolare
stormir del ruscello
ove nel gentil febbraio,
cuor mio si abbeverava
di tiepidi gorgheggi di gioventù,
e il falco volteggiava
per me
sopra i boschi di boriose querce,
sfidandomi
nei mulinelli del vento
a rimirar l’essenza
del cielo, plumbeo.

Padre, ammaliami,
solo così, sarò vissuto,
nella realtà dell’immaginario.


***

Nei tuguri
di ramate catene
la sete della terra…
celebrava
progressi di morte
patendo
agonizzanti avidità.

Terra insanguinata.

Nero sudario,
marchio
per immonde barbarie.
Forni di fame
profetizzavano
radioattivo sangue
nei crocevia
di ricchezze senza antidoti.

Possa Divina giustizia
maledire amorali iniquità.


***

Ricordati di me
quando la pioggia
ti bagnerà il viso
lacrime, saranno.
Ricordati di me
quando il sole ti scalderà
freddo avrai nel cuore.
Ricordati di me
quando tra la gente
sola ti sentirai.
Ricordati di me
quando un sorriso
ti strapperanno
amaro sarà nelle labbra.

Ricordati di me
nella ricerca di Poesia
accanto, mi avrai.


***

Neonata vita, profanata
dalla cupidigia
ripudiante dell’indigenza,
ancor ricordi
di preghiere senza rosari?
io,
seme impreparato
planavo
dove le memorie degli autunni
non avevano parole,
e le lacrime del corpo
risvegliavano
struggenti sguardi,
invecchiati dal buio
di nebulose riletture.

(testi tratti da “Inesperte esperienze”, Opera Omnia, Edizioni Il Cuscino di Stelle, Pereto (Aq), 2020, prefazione di Maria Concetta Giorgi)


Gastone Cappelloni, poeta contemporaneo, è nato a Sant’Angelo in Vado, provincia di Pesaro, nel 1957. Ha pubblicato a tutt’oggi 23 raccolte di poesie. Un Seme oltre oceano, 6.0, e Inesperte esperienze (Opera omnia), sono state tradotte anche in lingua spagnola, e presentate sia in Argentina, sia in Spagna, riscontrando successo tra il pubblico e la critica letteraria. Sue poesie sono presenti su antologie nazionali e internazionali, portali e riviste cartacee. Alcuni suoi libri sono stati inseriti sul sistema bibliotecario statunitense. Ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui il Premio Internazionale “Meet the Artist” Ostia Antica; il Premio Internazionale “Arte, Cultura, Solidarietà” a Pescasseroli (Aq); il Premio Accademia Internazionale la Sponda. Ospite in radio 
nazionali ed estere. È Poeta e Testimonial Regione Marche in terra Argentina, nei tour poetici dei volumi Un Seme oltre oceano nel 2014, e 6.0 nel 2017 e 2018.
Nel 2018 a Mar del Plata, Argentina, è stato insignito, da parte del “Concejo Deliberante del Partido de General Pueyrredón” con il titolo “Visitante Notable”.
Ha un sito personale: www.gastonecappelloni.com





Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà