È davvero arduo parlare della poesia di Rita Pacilio, dovendo concentrare tutto il suo mondo in poche righe. È tale la vastità non solo della sua produzione poetica, ma anche dei temi da lei trattati, e delle diversificazioni e articolazioni delle sue ricerche, progetti e scritture, dalla poesia al romanzo, dalla saggistica alla letteratura per l’infanzia, al teatro e persino al canto, che occorrerebbe una trattazione ben voluminosa per ciascuna delle sue modalità artistiche e letterarie.
Ma veniamo a Quasi madre, raccolta poetica recentissima, edita da PeQuod e arricchita da una dotta postfazione di Piero Marelli, poeta illustre, vincitore tra l’altro del Premio alla carriera nella 18a edizione del Premio Nazionale di Poesia Città di Sant’Anatasia. È un libro intenso, compatto nella sua tematica e nello stesso tempo ricco di spunti di riflessione su alcune problematiche sociali e familiari che in questi tempi così frenetici e frammentati, spesso vengono sottovalutate o ignorate. Allora, come afferma anche Piero Marelli, l’arte, e in questo caso la Poesia, può essere valido strumento, o se vogliamo linea comunicativa, almeno per evidenziare e descrivere con tutte le nervature del caso, la complessità di certe situazioni e di certi rapporti. Tutto questo, afferma ancora giustamente Marelli, senza peraltro cadere (e facilmente ciò accade nel fare poesia) in prospettive eccessivamente melodrammatiche o scontate o banalmente pietose. E qui entra in gioco la forza, la potenza della parola e del verso, che “dice” ad alta voce la verità fino in fondo, fino al più doloroso recesso del cuore e dell’anima, senza peraltro scendere nel privato e nel personale. Ed è proprio questa luminosa veemenza della parola (e in questo libro è del tutto evidente!), che in qualche modo l’autrice riesce a confutare il dramma e il dolore, fino a far intravedere un equilibrio di accettabilità, non di rassegnazione, ma di acquisizione, di appropriamento, di integrazione. Non a caso, infatti, alla fine del libro, nel penultimo testo, Rita Pacilio afferma: “Non giudicarmi colpevole / se provo a rianimarla. Pensi mai al parto delle api, / alle mani giunte dei gelsomini in fiore? / Se sento l’allegrezza delle cose che crescono / forse è tutto: / sono troppo vecchia per odiare il mondo”.
La poesia, si sa, può anche scaturire da moti dell’anima, prendere spunto, diciamo così, da certe situazioni difficili e precarie, nell’ambito sociale e familiare, ma questa è solo una giusta partenza per generalizzare, rendere condivisibile per tutti il tema, l’argomento, rielaborandolo tecnicamente e rendendolo esteticamente fruibile. In Quasi madre ritroviamo questo principio di base, che con grande competenza letteraria e poetica, la nostra autrice applica nel porgere il suo dettato lirico inerente al rapporto con la madre. Ed è un lungo dialogo, un continuo e articolatissimo colloquio con lei, ma in definitiva anche con sé stessa, laddove riflette, ama, soffre, si dispera, odia, e mille altri sentimenti contrastanti si agitano nel cuore dell’autrice.
La grandezza, la bontà di questo lungo spinoso viaggio nel mondo materno, disallineato e distorto dalla malattia, sta a mio avviso nell’aver saputo tradurre in forma altamente poetica l’arduo e complesso sistema di relazioni tra madre e figlia. Sembra a volte che le due figure siano intimamente e osmoticamente connesse, compenetrate l’una nell’altra, senza un margine netto che le possa distinguere, pervase da un affetto umanissimo quanto ancestrale, e quel quasi madre è un tentativo, almeno per un attimo, di riconoscere nella genitrice quel legame forte e indissolubile che normalmente si stabilisce. Ma è solo un attimo, poi tutto si distanzia, si incattivisce, si ammalora, e la sofferenza riprende il sopravvento.
Una scrittura compatta, a volte trafelata, a volte serena (ma non gioiosa), che rispecchia in pieno la complessità di sentimenti, di pensieri, di intendimenti e di stati d’animo che caratterizzano nella realtà sociale, familiare e umana, questa dolorosa situazione, fin nei minimi particolari.
La poesia di Rita Pacilio è talmente alta e forte, che riesce a trattare questi argomenti (vedi anche la tematica di Gli imperfetti sono gente bizzarra, o di Quel grido raggrumato), che ruotano attorno all’universo dei deboli, della violenza sulle donne e di genere, dei pregiudizi e delle ingiustizie, con un tocco lirico vibrante e veemente, di grande resa, ma anche con una delicatezza eccezionale e con un dettato poetico aderentissimo ai contenuti, che sa essere nello stesso tempo amaro e dolce, crudo e soave, intimo e graffiante, a seconda delle situazioni, ma sempre colto, intelligente, originale: peculiarità, queste, che ritroviamo necessariamente in ogni strutturazione del buon dire e fare poetico.
Hai messo gli occhiali scuri per non guardarmi.
Là dove sei si sciolgono parole
non ti scomodare, non
devi volermi bene.
È così semplice trovare una scusa
bastano tre secondi per chiudere la bocca
centenaria. Per incapacità di amare
inciampi ancora nella calunnia
ti guardo con commozione, allungo la mano
mentre dentro di te tutte le lupe
gridano a raffica impaurite di saperti
senza pietà.
Lasciata nel riflesso come un filo
legato a una vertigine
sfrangiata da piccole pieghe
lei
si adorna di sogni avvampati.
Mia madre riflette cicli di giorni
e notti rimestando dialoghi
platonici, i silenzi del destino.
Se la verità non avesse segreti
avrebbe la tua limpida voce,
giardini fioriti, la porta aperta.
La senti? Ha detto
qualcosa?
La divinazione è nel lampo,
nel morso di un ultimo bacio.
Esco dalla porta di dietro
sembro un ragno impigliato nella tasca
di un uccello.
In mano la paura della morte
tre parole balbuzienti e tutti i rumori
che fa con i denti.
L’ho lasciata nella bestemmia
lottare con il verme solitario della veglia:
Qui non dormo, non
dormo.
Tremano vetri e palpebre tatuate
lei si gira piegata sul bastone
aeroplani da guerra i capelli
sulla nuca qualcuno è rimasto ucciso
picchiato a sangue.
Luisa le dà il braccio: lunedì
ti porto
le caramelle.
Di colpo tutto si fa pianura e nebbia.
Ha nascosto i panni in una busta
l’infermiera si ferma più avanti
e lascia fare: Portali
a casa,
qui non devono stare!
Si sente l’eco cristallina verso l’alto
qualcuno chiede la bambola per dormire
piega il colletto della camicia
come una vena rotta e mi guarda
quasi madre
disabitata con la testa curva, aspra
disperata.
Dunque tocca a me tornare all’origine
affrontare la barriera dell’orgoglio
scongiurare che lo squalo mesto e sordo
possa ingoiarmi intera.
Dalla finestra ti vedo curva, bianca
e alta
scesa dal cielo come chiara rugiada
tra me e te c’è il passato difficile
un timone spezzato senza meta.
Oggi ti stringerei
forte!
Vivessi a lungo amerei la promessa
la malizia velata e incerta
perché in amore accade così.
Nemmeno per un attimo
insieme
tu mi dici.
Mamma ti ho portato le
caramelle
per rinsecchire il nodo che ho in gola,
lo faccio per me come le bianche preghiere
in cui deposito sconfitte e le cose vane
ti racconto che sto male, l’aorta, la tosse
gongoli nel tuo inferno maledetto
e non mi vedi, non mi vedi.
Sento ribollire la vendetta, aspetto
unoduetre minuti le parole che stai
pensando accuratamente. Sai spezzare
ogni ferro con la lingua, ti sale la vampata
della rabbia e dici: Maledetto
il giorno
che ti ho messo al
mondo.
La montagna in fiamme il giorno prima
dispera
l’ultimo lungo sospiro di sconforto
ma un merlo fischia sulle arance
perdonando il fumo delle piume nere;
non dirmi che la terra è vedova
e finita
non giudicarmi colpevole
se provo a rianimarla. Pensi mai al parto delle api,
alle mani giunte dei gelsomini in fiore?
Se sento l’allegrezza delle cose che crescono
forse è tutto:
sono troppo vecchia per odiare il mondo.
(Da: Quasi madre, di Rita Pacilio, PeQuod Edizioni, 2022; postfazione di Piero Marelli).
Rita Pacilio è nata a Benevento, vive ed opera a San Giorgio
del Sannio (Bn). È sociologa di formazione e mediatrice familiare di
professione; da oltre un ventennio si occupa di poesia, narrativa, letteratura
per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. È presidente dell’Associazione
“Arte e Saperi”, con la quale promuove la cultura letteraria ed artistica ed
organizza eventi, rassegne ed incontri letterari. È direttrice del marchio
editoriale RPlibri. È l’ideatrice del Festival
della Poesia lungo la via… un altro
modo per dire la poesia, che cura con la collaborazione di Giuseppe
Vetromile. È stata tradotta in nove lingue. Sue recenti pubblicazioni in poesia
sono: Gli imperfetti sono gente bizzarra,
Quel grido raggrumato, Il suono per obbedienza, Prima di andare, L’amore
casomai, la venatura della viola.
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