Malerba
Raccoglierò i miei fiorilì soltanto dove spuntano
tenaci tra malerbe di sospiri,
liberati dall'alone che rimane
sui miei giorni di cristallo.
Li trapianterò tra i gelsi
che pazienti ancora aspettano
sul bordo di ogni notte che finisca
la gelata, per stanare
col profumo più selvatico
del tempo che ci resta
l'assolata eternità
dei tuoi giardini senza vento.
***
D'ogni brivido terrestre
Ci resta dentro gli occhi adesso l'eco
di lontani pomeriggi
di scintille e nubifragi,
come polvere, fuliggine
posata sulle mani mentre afferrano
i respiri e d'ogni brivido terrestre
il debolissimo richiamo.
E hanno anche i pensieri più segreti
dita lunghe, affusolate e unghie dure,
quando graffiano le notti
coi sopiti desideri
che racconta sottovoce
la tua ombra al mio fantasma.
Rimane e si dilata in universi
immaginari quel riverbero
di vita che tormenta ora le carni,
sferza e illude la memoria,
quasi fosse linfa pura
che ci bagna le radici.
***
Solo l'aria che ci sfiori
Vogliamo solo l'aria che ci sfiori
quando stritola la notte
ogni pensiero e dia alla brace
che rimane nella mente il fiato
nuovo ora perduto nella gola.
Ci accarezzi un lampo inutile
di fiamme ancora vive per un attimo,
rimaste come un vizio, un bel ritardo
che non sai giustificare
in fondo al giorno che è trascorso
mentre il vento sparigliava
i tuoi diari e le bugie
dei miei bambini. Annuseremo
forse ancora il sale e il mare aperto
dalle vele che mi indicherai
lontane tra gli oceani di derrate
alimentari e di bollette
da pagare, oppure andremo
sottocosta in tutti i sogni
che faremo e non racconti più
da tempo per timore di affogare.
***
Al passo
Ripetimi la strofa di quel canto
che ero stufo di sentire,
congiungi le parole come vergini
agli sposi, di fronte a questo
altrove dove tutte le mattine
celebriamo i primi raggi
nel ricordo delle oscure
primavere che hai scontato.
È sparso in cento sillabe il tuo mondo
e io raccolgo insieme ai fiori
pure i passi che ho tracciato
nei sentieri che si perdono
al di là dello steccato
che la notte ha costruito.
***
A tempo perso
Si perde il tempo e pure la parola
negli scivoli al contrario
che ho tentato da bambino
per mostrarmi coraggioso, in note
di canzoni che hanno quasi
cinquant’anni. Si spezzano i respiri
quando ingannano i tramonti, spariscono
gli oggetti e qualche volta ritrovarli
pare molto; va perso tutto quello
che non cresce se lo ascolti. Rimangono
tre lampi sempre pronti, un po' di pioggia
per i nostri temporali
da bicchiere; poltiglie di discorsi
fatti in sogno ai tuoi parenti
e poi le code di giornate
che ci addestrano a sentirci
come gli astri che si spengono.
***
Finestate (L'ho riaffidata al mare)
L'ho riaffidata al mare la bottiglia
in cui hai racchiuso il mio destino
come fosse un vino dolce
per brindare in pochi amici.
La spingerà il grecale più lontano
dalla sponda in cui bruciamo vite
e amori in un anelito di voci
che ci chiamano a tentare
di non dare ascolto ai tuoni.
Le parleranno le onde adesso
e l'urlo del gabbiano che volava
tra i tuoi occhi e sparge ancora
qualche piuma tra i miei sogni
mattutini. Ritornerà d'inverno,
forse, e avremo pronti i canti
di cristallo per versarvi ancora
intatte le parole che non dici.
Alessandro Barbato (Roma, 1975) dopo la laurea in lettere, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini.
Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia. Ha pubblicato anche poesie su riviste, blog letterari e, nel 2019, la silloge Il fiore dell’attesa, confluita nel 2020 nella raccolta Solamente quando è inverno, pubblicata in formato ebook da Ali Ribelli Edizioni.
Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.
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