Ma in un mondo così votato al degrado – come purtroppo sembra, e i segnali sono piuttosto evidenti! – ci sarà ancora qualcuno disposto ad intraprendere un viaggio (più di concetto, magari culturale, umano e sociale, anziché materiale) per riconquistare quel poco di valido e di genuino che ne è rimasto? Ecco dunque che il poeta si assume questa “responsabilità” e, da “ultimo argonauta”, affronta il “periglioso viaggio” verso una novella Colchide, alla ricerca simbolica di quel valore, di quella luce che possa sovvertire, in qualche modo, le sorti dell’umanità. Si tratta, in fin dei conti, di un viaggio di redenzione, di denuncia dei gravi peccati che da sempre, e ancora oggi, affliggono la società, un itinerario quasi cristiano, che fa pensare ai pellegrinaggi nei luoghi sacri di ogni dove, punti di accumulazione di quelle pietre miliari perdute, o nascoste sotto la superficie dell’egoismo e di ogni altra negatività, di ogni altra nequizia che caratterizza questa nostra società frammentata, disarticolata, disarmonica e irrispettosa verso sé stessa e nei confronti della natura.
Ed è allora con questo spirito che Carlo di Francescantonio, in questo suo arguto e indovinato progetto poetico, affronta il tema della ricerca del “vello d’oro”. Ma si tratta di un viaggio piuttosto introspettivo, forse addirittura amaro, in quanto questo suo poemetto “Anche l’ultimo argonauta se n’è andato” appare quasi come una denuncia dello status quo, una sorta di reportage psicologico ma anche dei luoghi, delle storie e delle abitudini, visto e vissuto dall’autore attraverso la sua sensibilità interpretativa. È una dichiarazione di sconfitta? È l’amara rassegnazione che l’autore prova dinanzi a tentativi falliti di riportare indietro il “vello d’oro” metafora o simbolo di entusiasmo, forze e potenzialità tali da ristabilire nel (suo) mondo un equilibrio di schiettezza, di genuinità, di amore, di bene, come più volte narrato nei suoi versi sovente riferiti a figure e luoghi di gioventù semplice e autentica? Direi invece che il prospetto complessivo della silloge sia piuttosto quello di indicare e suggerire a noi tutti che c’è sempre la possibilità di ritrovare noi stessi, la nostra umanità, la nostra verità intrinseca, cercandola magari nelle terre perdute della nostra anima e del nostro cuore, oggi offuscati dalle nebbie del pressapochismo e della superficialità omologante. Possiamo essere tutti l’ultimo argonauta, c’è ancora tempo di rinascita e di redenzione. E qual è l’arma per andare alla conquista del vello d’oro? Ma certamente la parola, la parola poetica, la poesia! Carlo di Francescantonio ne è pienamente consapevole, e perciò utilizza un suo stile assolutamente aderente, cadenzato, con un verseggiare che fluisce rapido e inarrestabile, dove le immagini e le storie di sé e dei luoghi evocati appaiono come pietre ben salde e levigate lungo il fiume in piena.
Un’opera letteraria, questa raccolta, da apprezzare per il simbolismo insito nel progetto e per lo stile originale del dettato.
noi si andava
passando da un giorno all’altro
come il più volgare dei salti all’ostacolo
ammazzavamo gli anni
negando calendari e orologi
un vivere alla giornata
- come se fossimo ancora nel dopoguerra
invece che negli anni Ottanta -
era antidoto inconsapevole
al più grande impoverimento culturale
in quella decade
gli embrioni di un virus che avrebbe portato
la demenza per le classi politiche di domani
tutto un futuro di incapaci autorevoli
un fallimento epico stava accadendo
le persone fallivano
sedute davanti ai primi Grundig a colori
con la certezza di stare
attraversando il divertimento
- divertirsi da morire -
infatti si moriva e qui siamo arrivati morti
***
Il giorno del mio 43esimo compleanno
i vecchi cimiteri
le tombe che si infossano nel terreno e io
guardo tutti quelli che hanno cercato riparo qui
tra i monti dell’entroterra ligure
luoghi dove il cancello d’ingresso resta sempre aperto
ci sono andato già due volte
a rivedere il viso dei miei parenti diventato marmo
e gli altri con l’aria seria
tutto stipato di fotografie scurite dal tempo
a me pare che ognuno abbia ancora una cosa da dire
ma la morte non lascia mai il giusto spazio
in gita per i viali
le lapidi
inizio una preghiera e mi distraggo
non è mica facile concentrarsi in mezzo a tanti nomi
volti e lumini
c’è quasi rumore qui
ci si perde
***
anche oggi sono passato in libreria
anche oggi sono passato in libreria
lo faccio quasi una volta al giorno
oltre ai libri
passaggi partenze arrivi resi
consegne clienti corrieri
movimenti di fretta come nelle stazioni
ogni tanto entra qualcuno che
non c’entra nulla con l’ambiente
elefante dentro la cristalleria
mi piace guardare gli stessi titoli
quelli che non compra nessuno e che
in tempi brevi tornano al magazzino poi al macero
quelli nuovi no perché negli scrittori di oggi
ho il terrore di incontrare gli attuali lettori
troppi i finti autori che arrivano da altri territori
la narrativa come hobby o vanità
di solito ex qualcosa
manager medici avvocati
quella piccola itaglietta cameriera del denaro
pochissimo valore ma il pubblico di lettori distratti
misteriosamente risponde
bisogna saltare mine in questa epoca depressa
mi incazzo ma anche questa è la mia ricerca di pace
***
Il fastidio accanto
l’arrogante grassona nel tavolino accanto al mio
parla di disgrazie
mentre si ingozza di cappuccino e cornetto
l’amica di fronte in partecipato ascolto
e preoccupazione per il male che colpisce a caso
ha postura e presenza da attivista
quel tipo di femmina che cerca argomenti sociali
per non pensare ai tanti bisogni della carne
ma entrambe attraversate da un piacere
nel sottolineare la sofferenza degli altri
poi il discorso si sposta sul film Master and Commander
***
Lì è trascorsa l’adolescenza
nomi d’angoli di santi e mestieri
nomi antichi di famiglie
che sono ancora oggi il comando
ne hanno fatto il loro territorio
questi avventurieri
con la scusa di cercare lavoro
hanno finito con il comprare tutto
l’ospite diventa presto padrone non lo sapevi?
eppure nel mezzo di una ricchezza cafona
si muoveva un sottobosco di povertà
patita con orgoglio
di affetti difesi con i denti
e noi a stare tutti nel mezzo
a seconda delle amicizie che a tredici anni
soffrono ancora di purezza io e tutti gli altri
come me del vecchio ceto medio stavamo in bilico
c’erano i binari della ferrovia
la centrale elettrica il meccanico poco più avanti
e una grande voglia di non lasciare questa vita
senza aver fatto qualcosa che sopravvivesse al tempo
avevamo questa fissa
Stefano ti ricordi?
e nel frattempo abbiamo fatto di tutto
ci siamo accaniti come pazzi
e lì è trascorsa l’adolescenza
è finito tutto quel pomeriggio
sono andato da mia nonna per chiederle dei soldi
volevo comprarmi un disco
era come se sapessi che mi avrebbe cambiato la vita
quel disco e invece niente
c’erano le fotografie incastrate ai vetri della credenza
i guanti di Tiziana sono stati per diverso tempo
il mio peccato
Carlo
Di Francescantonio è nato a Santa Margherita Ligure nel 1976. Collabora con il
Festival della Parola di Chiavari e si occupa di poesia sul blog
“Letteratitudine”. Ha pubblicato tre romanzi e nove raccolte di poesia. Tra
queste, Memorabilia. Poesie 2000-2015, con la prefazione di Alessandro
Fo, Uomini in fiamme, scritto con Mirko Servetti, prefazione di Antonio
Bux e Anche l’ultimo argonauta se n’è andato con postfazione di Marco
Berisso. È presente nelle antologie Umana, troppo umana. Poesie per Marilyn
Monroe e Voci dall’esilio, nelle riviste “Atelier Poesia”,
“Banchina”, “Mirino”, “Satisfiction”, “Fluire”,
“l’immaginazione” e all’interno della collana Poeti e Poesia a cura di Elio
Pecora. Ha partecipato al disco di poesia e musica elettronica Poème
électronique. 2016/2020, nato dall’omonima rassegna
letteraria a cura di Ksenja Laginja e Stefano Bertoli. Nel 2021 ha fondato,
insieme a Stefano Bertoli, Roberto Keller Veirana e Gianni Rossello, “Magazzino
CdF” gruppo di ricerca musicale ambient, noise, industrial.
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