mercoledì 21 giugno 2023

Giuditta Giuliano e il suo "Sangue illuminato", RPlibri

È una poesia dirompente, quella della giovane ma già brava Giuditta Giuliano, da Cerignola, che con questa sua opera d’esordio, Il sangue illuminato, edita da RPlibri con una approfondita prefazione di Antonio Bux, propone con determinazione e piena consapevolezza del suo graffiante dire poetico, una lunga silloge, divisa in due parti: “Del Sangue” e “Della Luce”.
Dico graffiante scrittura, perché, come sovente accade negli Autori che da poco iniziano il loro impegnativo percorso letterario, Giuditta Giuliano non si sottrae a un’esposizione netta e diretta, spigolosa a volte ma giustamente e necessariamente, efficacemente, coinvolgente e propositiva, senza molti preamboli e inutili svolazzi, ma andando direttamente al centro del suo “dolore”, se così vogliamo dire, per riedificarlo liricamente, una volta interpretato e tradotto il grande marasma interiore che cerca di far emergere con parole poetiche di grande impatto.
C’è dunque un grande lavorìo interiore, schietto e a volte amaro, ma tant’è! La poesia è fatta per espressioni forti e persino drammatiche e non per le melensaggini e le edulcorazioni facili, oppure ci deve essere comunque una vibrazione che scuota l’anima, anche nelle cose belle che si vanno a cantare. Giuditta Giuliano scopre un mondo in cui non si ritrova, ci sta a disagio, notandovi e annotandovi falsità, spigoli aguzzi, pregiudizi e ipocrisie: in tutto questo bailamme, lei giura di restare fedele al tumulto che la scuote, ma è un giuramento ironico, perché sa che la verità del sangue illuminato verrà fuori prima o poi, e magari giusto alle tre di notte… Si tratta quindi di un compromesso tra la propria verità e quella formale esteriore, della realtà circostante spesso egoista e ipocrita? La nostra Giuditta cerca di equilibrarsi tra questi due aspetti rischiosi dell’esistenza? Direi fino a un certo punto: fino a quando la consapevolezza dell’esistenza di questi due mondi (da una parte la verità del sangue illuminato che si porta dentro, da cui non si può derogare perché è la vita stessa che, in barba alle regole e agli schemi, fluisce incontrovertibilmente: “Perché le regole furono caos di incontrovertibile logica”, e dall’altra l’universo omologato) si concilia con una stipula, un patto, un accordo semi-infernale, nel rispetto del quale la mantide assassina e l’allodola ingenua e innocente potranno sedersi allo stesso tavolo.
Seguiamo dunque questa nuova Autrice, con i suoi versi ribollenti e fluidi, a dire una poetica accattivante e singolare, fatta di proposizioni decise, a volte epigrammatiche, a volte anche dolci e sempre, comunque, sorprendenti.


***


Mi affilerò su di te come la lama di un coltello.

 

Giuro di restare fedele,

intimamente fedele al tumulto che

mi scuote,

che mi attorce in un cappio

le vene e le viscere.

Giuro che non sarò mai

divisa

disfatta

smembrata negli anni.

La mantide e l’allodola siederanno

allo stesso tavolo

per mettere a punto questioni,

spartirsi zone d’influenza.

 

La stipula sarà firmata col sangue di

una dozzina di uomini,

quando nell’aria viola

uno sparo affonderà

il suo artiglio,

quando il nastro d’arrivo sarà

spezzato come

pane offerto in pasto agli

affamati.

Quando la sentenza verrà pronunciata,

e parole di grazia, ingiurie, dolcezze

picchieranno nella terra fino

all’ultima voragine,

dove un feroce silenzio ci sarà

ad attendere

gli ultimi sopravvissuti

stretti in un avvinghio di

braccia pallide,

 

alle tre della notte.

 

 

***

 

Non esistono limiti.

Nessuno ha detto che sono leciti,

qui, dove l’ora si piega sotto il peso delle

argomentazioni,

e il corpo è un rigurgito d’odio

sfrenato sulle note del tuo valzer.

Qui dove la terra finisce,

e la valle si spezza in due appena scocca la mezzanotte,

e svela l’interno di ogni bugia,

strato dopo strato,

muscoli tendini e cartilagine ritorti sul nocciolo:

l’origine del male.

 

E nulla è valso a nulla,

e non varrà a nulla.

Perché le regole furono caos di incontrovertibile logica,

nebbia e marasma,

atti senza pudore,

singulti puniti per la loro imprevedibilità.

Perché lo spazio è sempre uno, uno il tempo,

e chi lì si incontra è uno con loro,

e solo per una volta.

 

Ma i nervi miagolano come corde d’arpa,

e le carezze, i graffi ,

avanzano lì dove la memoria cede il

passo ai giorni futuri,

e le accorte pianificazioni si stringono tra

gli svolazzi dei loro mantelli,

perché solo il calcolo salva,

con la sua presa, lascia eretti nel

mezzo della tormenta.

 

E forse è l’unico modo,

affrontare questo gioco al massacro tenendosi

un passo oltre la linea.

Manovrare con violento distacco la

successione delle sue mosse, per

distogliere lo sguardo dall’affronto di

sapersi insidiati.

Abbagliati come insetti.

 

*

 

Lei si spazzolava i capelli sul bordo del letto.

Ai suoi piedi cadevano,

una ad una,

le gocce violacee del suo veleno.

Lui la vedeva:

era lì, lontanissima.

Pallida e assorta.

E nella camera oscura degli anni era

lacerazione su un corpo disteso.

Sibilla che appare in sogno e

annuncia la sua profezia.

Si perdeva in lontananze.

Non c’era.

 

La città si accartoccia.

È un pezzo di latta

che calpesto mentre

cerco di tornare a

casa sotto

questo diluvio

di cocci

di giorni

d’aprile,

passati

mano nella mano

con la mia

Nemesi,

al chiuso di una

stanza viziata

di odori,

aperta a

galassie

di cosmi

esistiti per

pochi istanti poi

murati

in eterno

nell’ippocampo che

ho in dote

fin dalla nascita.

Così, per

qualche strano

errore di calcolo,

resto immune

alla norma che

mi vorrebbe

protetta dal

rischio della

ferita che lacera,

dalla furia

della coazione,

dalla spirale

purpurea di

due corpi che

si fanno

a pezzetti,

si mischiano

il sangue,

le malattie.

 

C’era voluto meno di un attimo perché capissi.

Il resto fu nostalgia di un inferno che si

arrotondò per difetto.

Mi ripudiò.

 

Desideravo vederti

e farti cadere in trappola,

chiuderti in una gabbia

dove non ti sarebbe

mancato nulla.

Ti avrei portato cibo e

acqua e il mio corpo

a tutte le ore del giorno,

ma al primo cenno

di resa ti avrei

mangiato il

cuore, strappandolo

dal tuo petto come

una cosa che mi fosse

stata rubata.

 

Questa la mia

vendetta per avermi

scoperta senza

difese, per

essere rimasta

inascoltata

mentre tu ti donavi

alla sola fanfara della

tua grandezza,

piccolo uomo di carne

 

e di cenere,

io t’insegnerò l’amore

annientandoti.

 

 

***

 

Si può essere divisi a metà.

Immersi nel grigio gorgogliante

strappati

fatti a pezzi

ricuciti con

fili di luce.

 

Si può restare chiusi

in una stanza a guardare

un volto,

un antico volto di dolore

dissolversi.

 

Si può essere

l’ombra di chi se ne va,

un attimo prima

di sparire,

quando tutto si

fissa nel punto dove

la memoria

è tentata di

prendere il bottino e

darsela a gambe.

 

Ma ora so che

ti sei allontanato come

un sogno che

muore al

primo schiudersi

di palpebre.

Il mio dolore si è

sciolto,

l’ho mandato giù

con un sorso di luce,

era inverno.

 

E non ho più nulla da dirti, adesso.

Penso a te come a un uccello che

vola alto in un cielo

di pece.

 

Conosco parte del tuo segreto.

Sei notturno,

sei libero,

sei un vetro infranto

in cerca di carne da lacerare.

 

E non ho più nulla per cui incolparti, adesso.

Di nuovo respiro.

 

 

***

 

Ogni cosa splende di

luce propria.

Allora il buio

ha la sua luce nera,

canto notturno sul

deflagrare del mondo,

fiore desertico:

accoglie, non-visto.

 

Come gli uomini e le

donne di tutti i secoli che

scorsero smisurate iridescenze

oltre il mistero esatto

della materia,

e morirono,

soli.

 


***

 

Vorrei un silenzio da

aprire come una tenda

rannicchiarmi lì dentro

ascoltare il suono della

pioggia contro la sua

stoffa l’odore di terra e

di resina

soffiare appena tra

le mani,

sonnecchiare.

 

Sparire è un privilegio.

 

 

***

 

Qui

 

dilaga

il secondo

 

non c’è assenza

né limite,

il bianco è eroso

fino al suo

 

Nulla.

 

L’infinito lavora

per sottrazione.


 (Brani tratti da: Giuditta Giuliano, Il sangue illuminato, RPlibri, introduzione di Antonio Bux)

Giuditta Giuliano (Cerignola, 1995), dopo aver conseguito la laurea cum laude in Filologia Moderna, vince un dottorato di ricerca in Pedagogia e attualmente vive a Bari. Alcune sue poesie tratte da questa sua raccolta d’esordio sono risultate finaliste in vari concorsi come il Bukowski, il Martelive e il Premio Inedito – Colline di Torino.




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