La candela del minatore è
dunque un vero poema dedicato al mondo dei minatori, e in particolare al padre
dell’autore, come afferma egli stesso nella sua introduzione, e per estensione
a tutte quelle realtà del mondo del lavoro di quel periodo (anni cinquanta e
sessanta del secolo scorso) che hanno interessato la regione sarda del Sulcis,
innescando problematiche sociali e sindacali molto importanti. Ennio Meloni ne parla con cognizione di causa e con versi
che entrano, come un minatore, nella profondità dell’animo del lavoratore,
traendone riflessioni dure, i segreti patemi, le sofferenze e i disagi, ma
anche mirando ad una natura selvaggia e aspra ma nello stesso tempo accogliente
e benevola, materna.
A questo punto l’accostamento a un Rocco
Scotellaro, il poeta contadino delle nostre terre lucane, troppe volte
dimenticato, o ad un Vittorio Bodini, potrebbe essere opportuno, in questo
caso. La poesia di Ennio Meloni, qui è infatti da considerarsi un pregevole
recupero di quelle antiche identità lavorative e sociali che nobilitano da
sempre, con la forza, la volontà, la passione e l’abnegazione, secoli di storia
non solo sarda, ma meridionale e persino italiana. E la poesia, anche qui, è
utile strumento di comunicazione e di educazione ai buoni e fondanti valori
della vita.
Avviandomi
per la tortuosa strada
sterrata
che in salita si srotola,
tra
rade macchie di cisto e fitti lentischi
punteggiati
di euforbia e fragrante elicriso
accompagnato
dal coro di mille cicale
sono
infine arrivato sulle pietre ammucchiate
tra
cespugli e macerie dove un tempo sorgeva
la
casa che fu della mia adolescenza.
Davanti
all’albero ombroso,
ove
m’arrampicavo a sognare
di
essere un grande pilota,
ho
rivisto quegli anni ch’ero ancora bambino.
Come
nuvolaglia che fugge in un cielo ventoso
son
trascorse le ore di quel pomeriggio
nel
villaggio che fu già degli Asproni.
In
cima il padrone con la direzione
intorno
vicino i fidati aiutanti
poi
gli operai dispersi nell’agro
come
fosse un castello di antica memoria.
Poi,
m’è apparso al tramonto
oltre
i colli che scendono al mare
sopra
giubbe ormai lise e capelli arruffati
garrire
rosse bandiere innalzate
nei
lontani cortei di lotta e riscatto.
Ho
pensato, un po’ triste,
ai
mille poveri morti del lavoro in miniera.
A
volte caduti per il cottimo assurdo
o
uccisi più spesso dall’immondo profitto.
Il
pensiero alle vedove, agli orfani implumi
alla
fame immanente, al futuro negato.
E
intanto, nel cielo si è alzato
il
viso rotondo di una pallida luna,
e
passa, tra le querce ed i lecci
la
sparuta processione operaia
del
turno di notte in miniera
punteggiata
dalle guizzanti
fiammelle
di candele a carburo.
Parlottano
fitto dei bassi salari
imprecano
allo spaccio che è esoso
ai
partiti che, dicono, si sono venduti
ai
sindacati che sono ogni volta divisi,
e
progettano scioperi e lotte
rimandando
a domani l’agognato riscatto.
Ora
passano in fila altri operai
sono
curvi e stremati
riemersi
alla luce, dopo il turno notturno.
Indovino
unghie orlate di terra
e
mani callose appese alle braccia
curvate
le schiene dal pesante lavoro.
Anche
oggi è salva la vita
la
mina non ha anticipato
e
la roccia è franata in fornelli deserti
possono,
esausti, tornare alle case
dormir
poche ore ed attendere
un
altro turno nel buio a raccogliere il pane
appesi
alla tremolante fiammella
della
fida candela a carburo.
Mi
pare ancor di vedere
la
dignitosa miseria delle case operaie,
sparuti
grappoli di bimbi vocianti
che
al rientro dei padri interrompono i giochi,
per
sedere affamati intorno a minestre
condite
con dignità premurosa
dalle
eroiche mamme operaie
che
tra un boccone ed un altro
parlano
ai figli che ascoltano attenti
di
un futuro migliore che ancor non arriva.
Poi
nella notte ancor giovane,
mentre
la luna di latte, che pareva
anche
lei, pensare nostalgica
a
quel mondo di un tempo,
mi
mostrava ogni fosso, ogni sasso, ogni spina,
mi
sono avviato pensoso sulla strada di casa
mentre
qui e là qualche grillo nascosto
tra
gli asfodeli ormai secchi
innalzava
il suo canto a corteggiare la luna.
Sono
quasi sull’uscio di casa:
un
cane randagio abbaia alla notte
ed
un altro rovista tra rifiuti di cibo
nell’affannosa
ricerca d’un prezioso boccone.
Un
uomo minuto che mi par di conoscere
s’avvicina
un po’ incerto, poi con un bastone
scaccia
il cane lontano, e prende,
guardingo,
il suo posto a cercare.
La
luna, mi accorgo, si è nascosta
indignata
dietro una nuvola spessa
mentre
dalla casa vicina un giornale notturno
annuncia
con tono neutrale
che
vorrebbe sembrar persuasivo
“Duecento
migranti sono oggi annegati,
a
due passi da terra, nel Mar di Sicilia.
I
morti dell’anno son già più di mille
annegati,
per le incoscienti avventure
che
prendono avvio dalle sponde Africane”.
Vedo
intanto in uno spicchio di cielo
sgretolarsi
le dodici stelle e l’Europa
precipitare
nel Mar di Sicilia
annegata
dal suo stesso egoismo.
Intravvedo
nella sera un’alta figura,
mio
padre che s’alza dai neri cipressi
e
come un tempo mi spinge
a
cercare e trovar le parole
per
difender chi è debole e vinto
chi
è senza diritti e sfruttato.
E
penso all’amaro destino
dei
tanti fratelli e sorelle
che
oggi annegano in mare
cercando
una vita più giusta, più umana,
sono
compagni di viaggio e di lotte
d’ogni
uomo che arranca per la sua libertà,
(il
migrante che annega in un pozzo di sale
è
un minatore che cade per tempesta da frana)
e
vedo ad oriente bagliori di bombe,
mamme
che piangono i figli
bambini
che piangon le mamme
morti
privati di nome, di foto, di tomba
morti
senza storia che macchiano la Storia
e
feriti storpiati dall’odio
che
pregano un dio che pare
parlare
una lingua straniera
e
macerie su macerie ove ancora iersera
c’erano
scuole, ospedali, chiese, moschee.
È
buia la notte e pare molto lontana
persino
irraggiungibile
la
pallida luce dell’alba.
Questo
tempo malato
Ci
sono
ormai
sempre più spesso
giorni
in cui vorresti
arrampicarti
su, nel cielo
tra
le alte nuvole leggere
per
guardare da lontano
le
misere lotte tra gli uomini
per
qualche metro quadro
da
occupare o liberare
di
quella che con enfasi
definiscono
“mia patria”
pensando,
pare incredibile,
che
qualche dio di comodo
gliela
abbia destinata.
Nostalgia
Il
sole sta calando
sulla
strada ora asfaltata
che
sale fino alle miniere
tra
vecchi impianti diroccati
e
nuovi arbusti rigogliosi.
Solo
le corolle
del
tarassaco e del cisto
mostrano
al passo stanco
i
colori sfavillanti
del
tempo dell’infanzia.
Brani tratti da:
Ennio Meloni, La candela del minatore, RPlibri, 2025.
Postfazione di Ottavo Olita
Ennio Meloni nasce a San Vito
a metà del secolo scorso. Figlio di un minatore, vive da tempo a Gonnesa, al
centro del bacino minerario del Sulcis Iglesiente dove ha fondato e presiede la
Associazione culturale “Radici e ali” e un premio annuale di poesia “Le strade
della poesia”. Socio volontario della Cooperativa sociale “Casa Emmaus”, ha
fatto parte per parecchi anni, a titolo gratuito, del suo CDA. Appassionato
lettore di Neruda, Hikmet e Brecht è arrivato alla scrittura solo con la piena
maturità. Ha pubblicato due raccolte di poesia: Centellino amore, LietoColle
Editore 2009 e Davanti al mare, RPlibri 2023. Sue poesie sono state pubblicate
su raccolte e riviste. Ha pubblicato qualche racconto breve.
Le poesie di questa raccolta
sono del periodo 2015-2024 salvo due che sono del periodo precedente e sono
tratte dalla raccolta Centellino amore pubblicato nel 2009.
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