Così scrive Mario Guerrera nell’introduzione del suo libro “Diaspora”, Homo Scrivens edizioni, volendo offrire al lettore una traccia per il suo lungo percorso poetico, dalle prime composizioni risalenti agli anni Ottanta fino a quelle più recenti di questo ultimo periodo. E già l’introduzione è in effetti un racconto piuttosto dettagliato della sua storia, sia dal punto di vista biografico che da quello familiare, lavorativo e poi anche creativo e letterario, se vogliamo, in quanto riesce con discrezione e anche con eleganza di stile, a narrare episodi della sua vita e altre riflessioni che, pur essendo strettamente personali, risultano condivisibili e apprezzabili in generale da tutti.
L’autore si rifà al termine “diaspora” per indicare un ritorno, e nella fattispecie un ritorno espresso poeticamente, alle cose veramente amate e intensamente vissute, dopo che le esperienze della vita, la professione, il lavoro e altre esigenze, lo hanno in qualche modo “esiliato”, relegandolo in una sfera esistenziale lontana da quei valori, da quelle emozioni e da quei ricordi che hanno contribuito alla sua maturazione, fin dalla gioventù.
Questa raccolta di poesie è dunque un ricapitolare, in forma prettamente poetica, la vita e la memoria, i ricordi essenziali o per lo meno i più significativi e quelli che maggiormente lo hanno interessato e emozionato, con un racconto in versi che tratta i temi più vari, ma in particolare quelli inerenti ai ricordi affettivi, ai momenti più intensi della sua gioventù, agli amori giovanili, al periodo scolastico. Traspare, in questi versi, un desiderio di rinascita, quasi, di rivalutazione di tutta la sfera valoriale, affettiva ed emotiva, di una esistenza trascorsa forse troppo lontana da quella: un riaffermare le basi importanti dell’esistenza propria, e quindi un suggerimento anche per tutti, un ritrovare l’essenzialità della propria vita e delle proprie radici.
Ed è proprio per questi motivi che l’autore ci propone questi versi, introducendoli con brevi commenti esplicativi che stabilizzano il quadro poetico nel luogo e nel tempo, rinnovandone però i motivi ispiratori e riattualizzandone contemporaneamente il contenuto: è un portarci per mano lungo il suo percorso memoriale ricco di valori e di emozioni, ancora vivido e ancora pienamente condivisibile.
L’odore del pane
L’odore del pane
ti sorprese a un angolo di strada
ed era sussurro di voce perduta.
Rincorrere ancora bisbigli trattenuti
dalle maglie del tempo
o arrovellarsi col vacuo resoconto d’una vita.
Addentrarsi inermi nel supplizio dei giorni
che saccheggiano e devastano
per carpire un richiamo.
Scorreva la strada al mattino
nella mano della nonna:
chiasso di vicoli
scoperte d’un cammino nel sole
un pezzo di pane caldo.
L’odore del pane
nelle voci della mia terra
in quella storia stretta nella mano
nel volgermi al giorno
guardare alla vita
con gli occhi nuovi che colsero
un primo raggio di sole.
(1982)
La ricostruzione
C’era una guerra
segnata nelle rughe di volti ancora giovani
eterna disputa tra bene e male
ragguaglio perenne di testimoni veraci
guerra compenetrata infine
in un barlume di quiete domestica
tepore appagante di voci familiari.
Guerra della gente
che aveva sconquassato i pilastri dei secoli
e deportato l’intelletto
a confini di filo spinato
profanato ogni soglia
radendo al suolo efferati altari
intitolati alla follia
- era rimasta infine soltanto la vita
uguale a sé stessa
la vita che non sa morire-
Su un muro dal sonno d’una notte
galleggiava un’eco di libertà
ed era la ricostruzione.
A ritroso
Ci s’innamora sempre da bambini
per sua natura l’amore
va a ritroso
un silenzio o un bacio estorto
resteranno un sole scolpito
contro il muro del tempo mancato.
Si accumula gioco forza del tempo mancato
e le foglie degli anni
ingiallite aggrinzite che il vento
agita in mulinelli
al ceppo di alberi accasciati
fanno da sfondo
al crepitio dei tuoi passi
che non tornano a casa.
Tutto si azzera
anche l’attimo fuggente
frodato a chi ci credeva
tutto finisce coi dubbi
che galleggiano sulla sponda
delle nostre vite spese male.
(1996)
Nicodemo
Ne ho conosciuta di gente che sapeva morire
anche solo per questo l’ho cercata
che andava leggera per sentieri tortuosi
abbacinata su alture da orizzonti a perdita d’occhio
gente che parlava con le nuvole.
Brancolante origliava sussurri incomprensibili
e con lo sguardo ti caricava di risposte
premonendo d’ogni evento il giorno e l’ora.
Ne ho conosciuta di gente
che aveva varcato la sua soglia
e si vestiva di luce a ogni mattina
angeli a piedi nudi che non lasciano impronte
lungo le sconfinate spiagge della vita.
Certo, si può anche essere un animo gentile
e dividere il pane con gli amici
rapire il cuore a una donna
e lasciarla di notte a piangere da sola
e tu che fingi ancora di dormire
perché non sai che dire.
Su mille strade nessuna da seguire
e rimandare ancora una volta l’incontro
aggrappato alla spalla d’un amico senza più parole
con gli occhi sgranati sul tuo dolore
e patteggiare il futuro col tuo dio
senza sapere mai se ti è accordato.
Nessuno può tornare nel grembo di sua madre
e il sole non te lo costruisci con le mani
in un gioco al massacro di abbagli e inganni
ma verrà sempre il giorno che dovrai dare conto
non dei tuoi peccati o delle colpe
ma del senso e delle carenze di tutta una vita.
(2024)
Brani tratti da:
Mario Guerrera, Diaspora, Edizioni Homo Scrivens, 2024

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