venerdì 23 agosto 2019

Nel verso nulla ritorna: Felice Casucci e le sue trentanove poesie meno una


Nulla ritorna nel verso giusto, ovvero: le cose ormai compiute, nel bene o nel male, non potranno più sistemarsi a dovere come prima. Ma c'è anche, al contrario, un aspetto romantico e dotato di una carica emotiva maggiore: nel verso nulla ritorna, cioè il sentimento, l'amore, la bellezza, in una parola tutto il mondo e la sua anima, non torna nel verso, nella poesia, ma da essa parte una sola volta, in un solo momento, in un solo attimo fuggente. Questo, in sintesi, mi sembra di aver colto nella recente e interessante raccolta poetica di Felice Casucci, dal titolo veramente singolare: "Nel verso nulla ritorna", edito da RPlibri, Marchio Editoriale diretto da Rita Pacilio e di cui già ci siamo interessati, e ci interessiamo, per la qualità e l'accuratezza delle sue pubblicazioni.
Ma torniamo al libro di Felice Casucci. Si tratta di 39 brevi poesie, meno una, come è indicato nel sottotitolo: a pagina 18, infatti, troviamo solo il numero progressivo delle composizioni, il nr. VI, ma non c'è nessuna poesia, neanche una parola, come se l'Autore avesse voluto inserire un momento di riflessione silenziosa, di attesa, di ricapitolazione interiore: nulla da dire, se non l'assenza da qui, se non l'inutilità di qualunque formulazione sonora per indicare la brevità del tempo, dell'attimo, del pensiero creativo e formativo. Ed è invero un'invenzione riuscitissima, questa poesia priva di suoni e di parole, ma che nello stesso tempo suggerisce quegli stessi suoni e quelle stesse parole che il lettore attento e sensibile deve e può interpretare attraverso il vuoto e il silenzio della pagina: a tutti gli effetti, la composizione "meno una" rientra nel novero delle trentanove poesie e rappresenta l'emblema della poesia riflessiva, aderente allo stato d'animo del lettore che in quel momento abbraccia in silenzio tutto l'universo, e non ci sono parole adeguate per tracciare una descrizione razionale. La poesia nr. VI è lì, nel contesto generale, fa parte a pieno titolo del progetto poetico complessivo dell'autore.
Progetto che prende forma in queste trentanove composizioni (mi piace dunque considerare anche la nr. VI per i motivi esposti prima) che Felice Casucci scrive seguendo il filo logico – anzi, poetico! – che più sopra avrei individuato, e cioè l'impellenza a vivere il momento e il luogo, l'hic et nunc, tanto nella società e nella storia, quanto nel rapporto tra l'uomo e la natura: "Su vieni / a tirare la soma dell'amore / nel verso in cui / nulla ritorna." (XXXIX, pag. 51). E' la composizione conclusiva, che Felice Casucci pone al termine del suo itinerario poetico ma anche filosofico, in questo suo pregevole libro: una conclusione che non solo è un "riassunto" del suo progetto, ma è anche un punto di partenza, un invito a proseguire questo itinerario sulle tracce di quanto già suggerito. Leggiamo infatti, a pag. 45: "Fa più male del dolore fisico / il cadere della voglia / e della fiducia. / La notizia è / 'un uomo colpito da un sasso'."
Bisogna dunque essere sempre vigili, considerare l'essenza delle cose e dell'uomo, saper coltivare i "fiori" nel giardino della propria anima per affrontare "il nulla" che sta fuori (pag. 36). E' una considerazione, un invito, un progetto che Felice Casucci ci indica, attraverso il suo stile stringato, essenziale, quasi epigrammatico, ma studiato e ispirato, perché in poesia a volte la sovrabbondanza e la ridondanza, le sovrastrutture e i monotoni giri di parole, danneggiano la composizione, la appesantiscono, con il rischio che il lettore possa perdere la centralità dell'idea dell'autore. Ciò non avviene in queste composizioni, anzi, la destrezza e la competenza poetica del nostro Autore si evidenziano proprio nella corposa laconicità (permettetemi questa mia definizione quasi ossimorica!) espressiva, nello spessore del dettato, tutto incentrato sull'idea originale del vivere pienamente e contestualmente ogni cosa, perché "nel verso nulla ritorna"!
Proponiamo dunque ai nostri lettori alcuni brani poetici tratti dal libro "Nel verso nulla ritorna", di Felice Casucci; saranno molto graditi altri eventuali commenti e riflessioni sul tema indicato dall'Autore.



I.

I sogni
sono stelle preziose
incastonate
nel calcio di un fucile.


XVII.

Basta la vita alla tua infelicità!
Non far nulla per essa
non imbracciare le sue armi
non addestrarti
non far giustizia
non saziarti
non lasciare impronte sulle sue vesti.


XXIV.

Ho paura di lasciare
il giardino fiorito
della mia anima
e di conoscere il nulla
senza aver colto
alcun fiore.


XXVIII.

Violino senza corde
suona per me
la voce di Gerardino
che si addormentò in poltrona
davanti al televisore
mentre smettevano le campane del cuore.


XXXIV.

Signore,
ho smarrito la strada.
Fingo di pregarti
con le emozioni del corpo
ma non sento più giochi dentro di me.
Le attese diventano sconvenienti
riempite solo da rare visite di cortesia.
Non trovo l'oro dei tuoi getti d'acqua
i freschi baci dell'ombra tua.
Vedo allontanarsi il punto dal quale
sono partito,
che faceva quadrato intorno a me.
E la neve da cui discesero
i torrenti della giovinezza
mi avvince a un gelo prematuro
specchio lucido
nel quale io non sono io.


XXXVI.

La dattilografa il medico
il motociclista e l'orologiaio
interruppero la loro attività
quando qualcuno gridò
di spegnere la musica.


XXXIX.

Su vieni
a tirare la soma dell'amore
nel verso in cui
nulla ritorna.


Felice Casucci, nato a Napoli nel 1957, è giurista accademico, poeta, scrittore. Fin dalla giovane età pratica il volontariato sociale e culturale. E' il Presidente della Fondazione Gerardino Romano di Telese Terme (Bn).

Felice Casucci, "Nel verso nulla ritorna", RPlibri, 2019



venerdì 9 agosto 2019

Monia Gaita, tre inediti


Monia Gaita, validissima poetessa irpina, nota anche in ambito nazionale, valente critico e giornalista, operatrice culturale, ci propone qui tre suoi testi inediti, che volentieri pubblichiamo in questo spazio di "Transiti Poetici".
Un rendersi disponibile in sordina, ma senza trascurare la propria forza, l'impellenza di essere e di trasparire attraverso la filigrana della quotidianità, la volontà di dichiarare e di "vidimare" la propria luce e il proprio amore in assoluto. Suddividersi consegnandosi agli altri, ma proteggendo l'io, la propria originalità e la propria voce. Tutto ciò, in estrema sintesi, aleggia in queste sue tre composizioni. La sua voce è alta, il suo dettato preciso e ricco di rimandi, con un lessico elaborato e colto ma diretto e fluido.
Ringraziamo Monia Gaita per averci offerto la possibilità di entrare, ancora una volta, nel suo gradevolissimo e pregevole mondo poetico. Gli affezionati lettori che ci seguono potranno aggiungere altri graditi commenti in merito o eventuali spunti di riflessione.




Ho consegnato

Ho consegnato copie diverse di me stessa
in base al ruolo, al contesto, all’occasione.

L’originale la custodisco per me sola,
per questo cielo dal cuore basso e costernato,
per questo sole che annoda trecce al corpo dei noccioli.

Ho consegnato copie diverse di me stessa
per decompormi senza nome
nelle raffiche del vuoto,
per sgominare la paura di esser viva,
la silenziosa scorta delle fragilità.

E ora che i miei doppi tamburano i secondi
vado bevendo il vuoto a sorsi lunghi
come un’acqua.

E inutilmente cerco quell’io usurpato
già troppe volte estinto
che ha seppellito il vero dal suo guscio
nella fossa.


***

Certo, fui brava

Oggi ti penso senza rancore,
il collo e le spalle nude.

Infilo la fionda dei rimpianti
dentro la cintura
e la malinconia stormisce al vento,
inquina l’aria, ne arriccia bocca e naso
in una smorfia.

Dalla tribuna delle colpe
si leva una bandiera,
reca l’odore dell’erba bagnata
e un equipaggio di ricordi
attraversato da troppe cicatrici.

E con la coda dell’occhio
scorgo e riscorgo quel che è stato,

il pugno del bene che rimane
estratto dalla tasca
come un monile raro.

Non ho mai smesso di amarti.

Certo, fui brava a descrivere
un arco di finzione
quando spavalda ti dissi: ti prego,
non chiamarmi più. Lasciami andare!


***

Vidimare

Portarti dentro:
una sottile corda di chitarra
quando vibra.

Toccarti i rebbi della voce
con le unghie,

il corpo opaco
di ciò che non si lascia
attraversare.

E possederti

dà raggi che convergono
in caduco,

un’imprudenza aperta
e con le dita tese.

Provo a cercare scampo
nei tuoi baci,

premo la lingua
contro il pieno,

lo deglutisco
senza masticare.

E inciderti
sulla corteccia d’olmo
dei minuti,

è penzolare
sull’orlo del pericolo,

è vidimare pure
l’altro vuoto,

un’altra nascita imperfetta
nel tuo nome.


Monia Gaita è nata a Imola nel 1971 ma vive da sempre a Montefredane, paese d’origine in provincia di Avellino. Giornalista, ha all’attivo le seguenti pubblicazioni: Rimandi (Montedit, 2000), Ferroluna (Montedit, 2002), Chiave di volta (Montedit, 2003), Puntasecca (Istituto Italiano Cultura, Napoli, 2006) , Falsomagro (Guida Editore, 2008), Moniaspina (L’Arca Felice, 2010), Madre terra (Passigli, 2015).
E’ direttore editoriale di Delta3 Edizioni. Promotrice culturale, scrive su importanti riviste web e cartacee.
E’ inserita in numerose antologie e testate nazionali online. Porta avanti nella sua Montefredane, con la Proloco che presiede, il Premio di Cultura “Oreste Giordano”, volto a valorizzare eminenti personalità del mondo giornalistico, della poesia, della scrittura, dell’arte e della scienza.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà