Dice bene quindi Alessandro Barbato in La mimica dei mondi, quando afferma, nell’ultimo verso della sua poesia introduttiva: “Cerca bene, cerca meglio”. Direi che proprio queste due laconiche indicazioni, possano costituire il nocciolo essenziale della poetica dell’autore, in questa interessante raccolta edita da Controluna nel corrente anno. Una raccolta compatta, suddivisa in sole due sezioni (Ricami e Appuntamenti), dove Barbato delinea una realtà ambigua, impegnata in una sorta di schermaglia emotiva, e aggiungerei anche concettuale, tra l’assodato e il vago, tra la sconfitta (il pozzo, le profondità da cui non si può riemergere, alla luce del sole: “Io di nascosto, e a volte, ancora cado / in fondo al pozzo che dà specchi / al tuo nitore”…). Sono queste osservazioni minuziose, attente, della realtà circostante, che sollecitano il nostro autore a organizzare una scrittura poetica intensa e allusiva, che invita a meditare sulle apparenti necessità della vita e, a volte, dell’opportunità di porsi fuori dimensione al fine di una più schietta valutazione delle cose e del mondo, che non siano influenzate e contaminate dalla loro banalità, dalla “mimica” pedissequa e vuota di significati di cui sovente sono infarcite: “…Ci ascoltiamo nelle cuffie / che ho inventato per proteggere / i miei gusci mentre avvolgono / i tuoi suoni, quando fuori eterno / il vento e lampi e tuoni danno morsi / incandescenti alla modernità / d’argilla che ci ha addormentato i sensi.”
Un tentativo quindi di fare chiarezza dentro di sé, ma anche un invito a soffermarsi con saggezza sull’importanza dei sentimenti, che in questi versi vengono evocati solo in filigrana, ma evidenti ad una lettura più approfondita: per non vivere solo negli “intanti e nei frattempo”, ma per confermare quel grido d’amore chiuso in bottiglia e affidato alle correnti di un mare infinito, un messaggio forte e sincero che deve essere raccolto e partecipato da tutti.
Ricami
Cerca prima i suoni lievi, quelli
innocui da vedere, da nascondere
alla folta mascherata
d’occasione che ci dice
delle valli. Sali invece quasi
fossi monachina che si azzurra
nella gola, se c’è
ancora un po’
di vento in queste notti di granito.
Cerca bene, cerca meglio.
La luna dei pozzi
Io di nascosto, e a volte, ancora cado
in fondo al pozzo che dà specchi
al tuo nitore. E nuoto le correnti
sulla crosta della sera, tra crateri
di riflessi, divorato dai riverberi
di buio prima che li anneghi il Sole.
Ma annera la memoria ogni mattina,
asciutte le tue labbra e le mie scarpe
si dimenticano, sprofonda
nella luce l’ombra accesa
dei tuoi resti che non brillano
di Luna in questa sete.
Intanto
Viviamo negli intanto, nel frattempo,
nelle dolci e improvvisate
intercapedini di giorni sempre
uguali e senza mani che si scaldino
a nutrire le tue palpebre
di spruzzi colorati. Cerchiamo
come alianti le più sapide
correnti che sollevino
anche il corpo: per scalare
in un momento ogni mio inganno,
ogni dolore; abbandonando
finalmente in fondo al petto
le memorie che hai donato
a un regno ormai disabitato.
Quanto basta
Scompariremo piano
come il filo d’una barca
penzolante sfugge puro
all’orizzonte. Saprà scavare
nella nostra sete questo eterno
chiacchiericcio delle onde
che ci inchioderà alla riva
tra la schiuma delle storie
di cui sono zuppi i mari.
Noi no, parole non avremo,
diremo quanto basta, qualche volta,
in un respiro pieno.
Sulla soglia di un giorno
Ci ascoltiamo nelle cuffie
che ho inventato per proteggere
i miei gusci mentre avvolgono
i tuoi suoni, quando fuori eterno
il vento e lampi e tuoni danno morsi
incandescenti alla modernità
d’argilla che ci ha addormentato i sensi.
Diciamo corpi e storie che non può
vedere il mondo e che rimangono
sospesi tra gli auricolari o a volte
in fondo agli occhi arresi al rapido
sparire di ogni giorno. Muoviamo
passi certi, misurati, incontro
al nascere perpetuo di un’aurora
senza seguito né notte, racchiusi
in una luce inconsumabile
ma imprigionata pura sulla soglia.
Obblighi e devozioni
Traduco stanche foglie, se si staccano
dai tuoi capelli, e l’acqua quando
cade e inumidisce le mie mani
di cartone che disegnano
ferite. Ma è chiuso nella posa
in fondo al petto, nello scarto
tra le voci e le parole, il miele
soffice promesso a chi ubbidiva.
E noi viviamo ancora come monaci
fedeli a questa regola, cantando
lodi e requiem, come tiepide
vestali consacrate a un tempio vuoto
e ad aspettare ogni domani.
Finestate
L’ho riaffidata al mare
L’ho riaffidata al mare la bottiglia
in cui hai racchiuso il mio destino
come fosse un vino dolce
per brindare in pochi amici.
La spingerà il grecale più lontano
dalla sponda in cui bruciamo vite
e amori in un anelito di voci
che ci chiamano a tentare
di non dare ascolto ai tuoni.
Le parleranno le onde adesso
e l’urlo del gabbiano che volava
tra i tuoi occhi e sparge ancora
qualche piuma tra i miei sogni
mattutini. Ritornerà d’inverno,
forse, e avremo pronti i canti
di cristallo per versarvi ancora
intatte le parole che non dici.
Alessandro Barbato, La mimica dei mondi, Controluna Edizioni, 2022; prefazione di Roberto Calabria
Alessandro Barbato è nato a Roma nel 1975. Dopo la laurea in Lettere, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi, dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini. Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia; è inoltre collaboratore del blog dedicato al Poeta friulano “Le pagine corsare”. È stato membro del comitato di redazione della rivista di settore “Civiltà e religioni”, oltre che di diversi gruppi di ricerca legati alle cattedre di Storia delle Religioni e di Antropologia delle religioni della Facoltà di Lettere dellUniversità UNIROMA2. Grande appassionato di poesia contemporanea, ha pubblicato liriche su rivista, blog letterari e nel 2019 la silloge Il fiore dell’attesa, confluita nel 2020 nella raccolta Solamente quando è inverno. Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.
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