lunedì 25 aprile 2022

Stefania Bortoli e la sua "Promessa di dire"

C’è un lieve senso di malinconia e di pacato torpore nei versi di Stefania Bortoli in questa silloge dal titolo veramente significativo, Con la promessa di dire, quasi a ricordare uno stato di rasserenamento dopo tempeste e turbinii di atmosferiche correnti. Silenzi colmi di attese e di nuove predisposizioni d’animo, silenzi che hanno l’importanza e il peso delle stesse parole di speranza che celano al loro interno. “Il desiderio del tempo in attesa del disgelo”, afferma l’autrice al termine di una sua lirica, ed è proprio in questa frase emblematica che, penso, sia racchiuso tutto il progetto poetico della raccolta, il suo senso e il suo proporre, o anche raccontarci, la vita. Ed è una vita al passato, fatta di istanti di ricordi e di memorie, di luoghi e non luoghi, di affetti e di riflessioni che hanno scosso e in un certo qual modo contribuito a costruire e ricostruire più volte uno schema di esistenza plausibile e accettabile: come un’alta marea che scopre e ricopre, va e viene, mostra impronte e poi le cancella: impronte di che cosa? Certo, della volatilità della vita, delle cose, dei ricordi, degli affetti, ma anche segni di determinazione del possesso e del godimento, sebbene oscillante e ondivago, di ogni attimo di felicità e di ogni positività che possa giustificare la vita stessa.
L’atmosfera non è incerta, non è insicura, ma consapevole dell’ambiguità e della fragilità della vita, nelle vedute distaccate ma non fredde, sofferte e ambite per un tempo che è stato felice e che si vorrebbe tornasse, ma non negate o ripudiate. Si tratta in effetti di un riassunto di vita amata, antecedente, ma abbastanza prossima e di cui l’autrice si aspetta il disgelo.
La raccolta di Stefania Bortoli rappresenta dunque, e penso di poterlo affermare con un certo grado di veridicità, un’esperienza vissuta intensamente dall’autrice, un’esperienza che va in qualche modo riconsiderata, ricomposta e riscoperta (nell’attimo fuggente in cui l’onda di marea si ritrae per lasciarne l’evidenza sulla rena), e che va interiorizzata prima che le intemperie della vita possano cancellarla di nuovo; un’esperienza di vita che possa offrire impronte fondamentali, valori positivi, gli unici con i quali poter ricostruire il domani: ecco dunque la promessa di dire. E se lo sguardo cerca l’azzurro nelle fenditure ghiacciate dei nevai, è segno che qualcosa da sperare c’è ancora, c’è ancora una promessa da mantenere, e sono le parole poetiche. Ovvero, la parola poetica è il tramite, è il segreto conduttore immateriale che porta alla verità di ogni cosa, partendo dal proprio mondo, dalla propria anima. La poesia, anche qui, si fa carne di vita, si fa preghiera e speranza, si fa promessa di luce!

 

Se viaggia tra memoria e desiderio

tempo vivo è la nostra vita.

La scrittura interiore

si distende come neve

coltiva la trasparenza del vetro

l’opacità dei riflessi

lo sguardo cerca l’azzurro

nelle fenditure ghiacciate dei nevai.

 

Il desiderio del tempo in attesa del disgelo.

 

 ***

 

Il sogno della montagna di neve

ha il sapore del sottile silenzio

che tiene sospese alcune cose.

 

Solo gli sguardi vedono

si voltano verso l’addio delle ombre.

 

Sulla terra immaginaria

la solitudine estrema viene raccontata

precede la verità

memoria del corpo che misura

questo silenzio fino alle lacrime.

 

Mancano quelle parole

che sono ciottoli levigati con le mani

acqua dolce di fiume raccolta

                 sotto le nostre lingue.

 

Con la promessa di dire

le cose che si scelgono

                      per amore della vita.

 

(dalla sezione “Ascolto e silenzio")

 

 ***

 

Sei l’alta marea che scopre e ricopre

le impronte in margine al presente

soltanto quel sogno viene a cercarmi

 

a ogni racconto del mio silenzio

un battito in più del cuore…

 

ritrovo il filo delle impronte

 

sono la marea che riscopre e scopre

sulla spiaggia deserta

                                     convergono i fiumi

il sogno va lontano viene a me.

 

(dalla sezione “Il femminile e la parola”)

 

 ***

 

L’arte della spoliazione sottrae peso

alla parola poetica.

Sentire le cose pensare sono le rive

dello stesso fiume,

La sintesi è l’istante del godimento,

quel lampo che illumina il cielo.

 

Riconoscere la propria saudade

come acqua fresca che ristora la sete.

Attivo e passivo.

Lasciare che la mancanza

inventi la poesia – la spina e la rosa

nascono vicine.

 

(dalla sezione “Lettera”)

 

***

 

L’inverno è la stagione dei poeti ombra

sempre più necessari quando

il tempo è mancanza per cui si muore.

 

Quando il tempo interiore si spezza

siamo naufraghi senza altrove…

 

A sera avverto l’assenza

come un residuo di tempo che tace.

 

(dalla sezione “Terra di vetro”)

 


***

 

Sul molo di Trieste

 

… Il vento fa volare

attimi di allegria, borse e cappelli

             tra i passanti di piazza Unità d’Italia.

 

Al mattino presto, con passi fermi

cercano di mantenere la direzione della loro giornata.

           Inutilmente.

Seguendo spettinati pensieri cammino.

           L’eco del vento stringe alla gola.

     Cosa hai detto?

Forse l’ultima parola… mi chiudo come un riccio nel buio.

 

Cammino con il mare alle spalle,

vedi, all’orizzonte terso

le montagne sono innevate limpide…

avvolto da raffiche di luce e vento c’è il mare

 

(dalla sezione “Tra memoria e desiderio”)


Brani tratti dal libro Con la promessa di dire, di Stefania Bortoli, Book Editore, 2016


Stefania Bortoli, nata a Thiene (Vicenza) nel 1960, si è laureata in Pedagogia all’Università di Padova con una tesi di Estetica e Psicoanalisi. Vive a Pove del Grappa (Vicenza) ed ha insegnato Lettere al Liceo Artistico di Nove. I suoi interessi si muovono tra letteratura, fotografia e viaggi. Ha avuto diversi riconoscimenti in concorsi letterari di rilievo, tra cui il Premio Lorenzo Montano. Ha pubblicato nel 2012 Voci d’assenza (Editrice Artistica Bassano) con prefazione di Stefano Guglielmin. Il libro è stato segnalato al Convegno internazionale di Poesia a cura di “Anterem” ed ha ricevuto la Menzione di merito al Premio Nazionale di poesia “Achille Marazza” del 2013. Ha poi pubblicato nel 2016 la raccolta Con la promessa di dire (Book Editore) con la quale ha ottenuto la Menzione d’onore al XXXII° Premio Lorenzo Montano (2018) con pubblicazione nel sito di “Anterem”.

Alcune poesie sono state presentate in occasione di reading e sono presenti su siti web: “Blanc de ta nuque”, “Perìgeion”, “Di Sesta e di Settima Grandezza” - Avvistamenti di poesia, a cura di Alfredo Rienzi.

Ha inoltre pubblicato i libri d’arte: Orizzonte terraqueo- laboratorio di Lettura e Scrittura Poetica di Artémis – Pittori in Acqua. (2008); Il colore del disgelo, con la pittrice Graziella Da Gioz (2017). 




mercoledì 13 aprile 2022

"L'ospite di sé stesso", di Achille Pignatelli

Abbiamo già avuto modo di parlare della poesia di Achille Pignatelli (Transiti Poetici 31/5/20), giovane e valente autore napoletano, particolarmente incline a nutrire i suoi versi con fondamenti filosofici interessanti che investono la sfera del sociale e relazionale tra le genti. Con la raccolta d’esordio I ritorni, Pignatelli già introduceva un discorso largamente sociale, riferito al tempo e ai ricorsi storici; ora, in questa sua recente opera, intitolata L’ospite di sé stesso, l’autore riprende il suo progetto filosofico allargandone i temi della coesistenza e della socialità, in ultima analisi del buon vivere su questa terra, partendo da considerazioni storiche e geopolitiche attuali, il che è ampiamente dettagliato anche nella pregevole postfazione di Antonio Pirolozzi.
Un periodo storico fortemente influenzato (è il caso di dire!) da situazioni sanitarie coercitive prima, e poi, come se non bastasse, da scombussolamenti geopolitici con minacciose nubi di guerra all’orizzonte incombenti, ha decisamente condizionato lo stato sociale, direi anche la mentalità oltre che le abitudini e le modalità di relazionarsi con gli altri, in ciascuno di noi.
La sensibilità di un poeta non poteva essere distratta da questa particolare situazione di degrado e di affievolimento di quelli che sono i valori chiari, etici e morali, di ogni grande civiltà, a partire come riferimento da quella classica greca e latina, fonte di tante idee e filosofie. Achille Pignatelli è poeta che ha questa grande sensibilità, e proprio attingendo alle fonti della sua formazione filosofica riesce a costruire un impianto poetico credibile e condivisibile, particolarmente orientato alla ricerca di una maggiore luce di equità, di giustizia e di libertà, persino d’amore, che dissolva le nebbie di incertezze e di precarietà nell’attuale società cosiddetta globale; la poesia è per questo il tramite più idoneo e culturalmente valido, perché recita valori al di là di ogni ristrettezza territoriale e geografica, storica ed etnografica: “Resta una parola a testa alta / a difesa della civiltà / contro la barbarie che avanza / contro tutte le ruspe e i daspo, / pilastro del tempio eretto / in onore degli oppressi…”
L’ospite di sé stesso è dunque un aprirsi, un “riaccomodarsi” sulla propria poltrona di casa, ospiti della realtà circostante ma vedendosi al centro e parte integrante di questa, per poter diramare quei valori e quei sentimenti, e proprio con la poesia, linguaggio che travalica le fredde cortine divisorie e mette in contatto diretto i cuori, al di là di ogni plausibile razionale costruzione. La parola poetica, come sempre, anche qui è nutrimento necessario per ogni tipo di umanità.
Ecco dunque qui di seguito alcuni brani esemplari tratti dal libro di Achille. Come sempre, i nostri amici lettori sapranno gustarli e aggiungere eventuali gradite riflessioni e commenti in merito.

Old tjikko

 

Ho seguito il cammino

dell’umanità da fermo

ben dritto e in silenzio

come mi ha fatto la terra.

Ma ho visto il muro di Berlino

il viaggio dell’uomo verso la Luna

il sangue di due guerre mondiali;

c’ero durante la Rivoluzione

Russa, Francese e Americana,

ho visto anche la prima fabbrica

l’energia elettrica e il treno,

e prima ancora il Rinascimento

la stampa dei primi libri, i quadri

le sculture, le chiese e i templi.

Ma ancora prima di tutto questo

ho visto le primissime sillabe

e chissà se ero tra i primi semi

che un giorno l’uomo sparse per terra.

Mi ricordo di ogni cosa

le conservo lungo il corpo,

e in una vita ho capito questo:

la radice è strumento d’armonia.

 

 ***

 

La fisica dell’acqua

 

Un corteo segue

la fisica dell’acqua;

nasce dalla miseria, dalle richieste

a cui non si risponde,

e tra le pieghe dell’indifferenza

si raccoglie e si gonfia.

Ogni goccia rimbomba

fino a farsi coro

di una sola voce

e inizia a scorrere

lungo gli argini della città.

E quando si prova a comprimere

quel torrente di domande

con un tappo o una diga

il contenitore si flette e si spacca

in un assordante tumulto

che travolge ogni cosa.

È la fisica del silenzio

a richiedere l’esplosione.

 

*** 

 

Resistenza

 

Resta una parola a testa alta

a difesa della civiltà

contro la barbarie che avanza

contro tutte le ruspe e i daspo,

pilastro del tempio eretto

in onore degli oppressi.

Quando ogni crimine è stato compiuto

quando il capitale

viene prima di tutto

non resta che la disobbedienza

non resta che la lotta

non resta che l’amore

e la fratellanza universale.

 

*** 

 

La dimensione dello spostamento

 

Spostarsi dal nulla al qualcosa

è autodeterminazione

raggiungere il possibile

e dialogare col reale.

Il movimento è un atto

fondante, infrange la stasi

e ricerca scambi e contatti.

Quanta saggezza sta nell’onda

in quella costanza del moto

che avvolge il mondo intero

e ne lima spiagge e confini,

e l’atto dello spostamento

non conosce periferia

barriere, ghetti e frontiere.

Ogni forma di movimento

è nell’ordine delle cose.

 

 ***

 

Cemetério

 

Il mare non è adatto

a un riposo eterno

c’è un costante via vai

la vita s’aggrappa alle

ossa con ostinazione

alghe e piante marine

s’impossessano dei corpi

ne fanno le fondamenta

di strane città sommerse

dove non c’è distinzione

tra la vita e la morte

e in quel groviglio di corpi

non arriva la pietà

né le lacrime dei vivi.

 

***

 

Tra i versi del mondo

 

Quante cose sono una questione

di luce:

il colore, il sonno,

la lettura e la percezione,

e c’è dialogo tra le cose

nei silenzi

nel brusio confuso.

Tutto è in moto di relazione

tutto palpita e si contrae

scandisce il tempo e l’accordo

il legame con la circostanza.


(Brani tratti da: Achille Pignatelli, L’ospite di sé stesso, Homo Scrivens, 2021; postfazione di Antonio Pirolozzi)

Achille Pignatelli nasce a Napoli nell'aprile del 1988. Poeta, filosofo e scrittore, è il direttore artistico della Rivista Letteraria Mosse di Seppia, è un'attivista dello Scugnizzo Liberato e del Collettivo Nadir. Nel giugno  2019 pubblica la sua raccolta di poesie, I ritorni - Orientarsi tra il suono dello spazio e la forma del tempo, edita dalla casa editrice Homo Scrivens e con prefazione di Silvio Perrella, e  lo stesso mese partecipa  a SE, la IV edizione della sezione letteraria del Napoli Teatro Festival. Nel giugno 2020 la raccolta riceve la menzione della critica del Premio L'Iguana e il II posto del concorso Talenti Vesuviani nella categoria Poesia edita.. Ha presentato la sua raccolta di poesie nel foyer del Teatro Diana, nel foyer del Teatro Bellini, al Palazzo delle Arti di Napoli e nella sala Mattia Preti dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e le sue poesie sono state pubblicate su La Repubblica Napoli, antologie di autori vari, riviste e blog letterari. Da gennaio 2021 cura la rubrica Anteprima Poetica per la casa editrice Homo Scrivens e , sempre con Homo Scrivens, ad Aprile 2021 pubblica il romanzo breve, sotto forma di ebook gratuito, Cronache dall'anno zero, lo stesso anno diventa direttore editoriale della collana di poesia (prima Arti-Poesia e poi, InPoesia) della casa editrice Homo Scrivens. Nell'ottobre del 2021 pubblica L'ospite di sé stesso, raccolta poetica che chiude il Ciclo della stella a otto punte. È il referente campano del movimento letterario Rinascimento Poetico.

 


domenica 10 aprile 2022

"L'oltranza" di Francesco Elios Coviello

È molto chiaro l’incipit poetico di Francesco Elios Coviello in questa sua opera prima: risulta evidente proprio nella prima parola del primo verso della raccolta, “Travidi”. E da qui penso di partire anch’io per un breve, ma spero esplicativo, excursus nel mondo poetico dell’autore, prospettato nel libro e molto accuratamente introdotto da Antonio Bux, competente e abile critico, nonché poeta, scopritore di nuovi talenti letterari, che poi convoglia nella RPlibri di Rita Pacilio, editrice che ha molto a cuore la qualità delle scritture poetiche contemporanee, e in particolare quelle di giovani autori che si trovano ad affrontare la prima opera da pubblicare, come appunto il nostro Coviello. “L’oltranza” è il titolo laconico e dunque molto esplicativo di questa originale raccolta del giovane autore barese, e “travidi” vuole già essere un termine per far intendere che gli orizzonti della realtà in cui è immerso l’autore, non sono affatto ben delineati e univoci, ma offrono lo spunto, o forse meglio le basi, il fondamento, per poter cercare e seguire altre tracce di esistenza, altre possibilità a partire dal punto di osservazione. “Travidi un giorno bianco, lo cambiai / lo resi spada e amazzone…” dice l’autore, rendendosi conto che il bianco, l’insignificanza, la superficialità, la monotonia e quant’altro di ripetitivo e usualmente banale, può essere rimpiazzato, ipotizzando e magari anche costruendo alternative ad "oltranza", per rendere la vita un po’ più sapida, consistente, interessante. L’oltranza è dunque progetto di ricostruzione di sé e del mondo circostante, della realtà inglobante e a volte insapore che ci costringe alla ripetitività e alla stereotipia di gesti, comportamenti, emozioni e visioni. 
Del resto già la poesia è scuotimento dal torpore, se vogliamo. È già cambiamento o tendenza a qualcosa d’altro, a quell’oltranza che tutti sogniamo, forse anche utopicamente, ma necessaria al rinnovo delle nostre cellule neuronali sempre alla ricerca del nuovo stato, della novità, del rinnovamento, della rinascenza.
Si tratta dunque di una protesta, scaturita da una presa di coscienza che le cose si possono anche cambiare, se vogliamo, trasformando il giorno in spada e amazzone, per affrontare una realtà che incombe e a volte soffoca, con regole e puntualità cadenzate: cercare e afferrare l’oltranza, intesa anche come tenacia, determinazione, estrema resistenza, imperterrito andare oltre il limite d’ora.
È una poesia corposa, quella del giovane Coviello, apparentemente dodecafonica ma in realtà ricca di sbalzi umorali schietti, tenuti a bada da un lessico che guizza tra le parole e i significati. Una poesia rilevante, certamente da apprezzare.
Proponiamo ora ai nostri lettori alcuni brani tratti da libro, affinché possano aggiungere, se lo vorranno, ulteriori interessanti commenti in proposito.

Travidi un giorno bianco, lo cambiai

lo resi spada e amazzone, ne affondai

le dita nella fiamma setosa e carni

di stanza lì, non ebbi paura, la ferii.

Poi mi ritrassi, guardai l’ora, aprii le scatole

attesi ancora un po’, che fosse pronto, fosse caldo

il caffè al civico nero alluminio vetro infrangibile

tracciai due linee granulari, compatte

svogliate doglie di una carta. Limite

d’ora, martedì d’incenso dove mi chiami

dove mi porti che hai da solo un sacco

di vernice, la vita stretta al muro

dei rancori e delle piogge, inverti

le linee, muovi il coraggio affollato, scrivi

le tue iniziali sul foglio di plastica.

Solo il cosmo ha speso abbastanza.

 

 ***

 

Se nel palmo ho tutto il piano

dipinto sul capo sono sereno. Mi tocco

piano la testa, raccolgo tutti gli steli

prendo misure ideali, raduno, cambio

accentro, meglio così. È come un porto

pontile nel biado postaccio del tre

volte tremore albatro perso e stanco e

incanutito, la cenere tegola, seme

cemento e frolla fanno a pezzi

il mio foglio. Ecco, sì, è tutto in ordine

prendo le assi per non fare a meno di

versare caffè negli specchi

fi umi di nevischio tigli astratte

suppellettili. E la porta è vuota.

 

***

 

A meno di versare corto frammento e imbracciare

le tempere tumide dei consoni pugili

farei e sono onesto perché non mi va, non è

il mio sarto utile e chiamale, rincorrile a prezzo.

Le strenne a quadretti sono il mio corollario. Ho

freddo e piango di tumide zanne. La smetti

di sorridere ai limiti fonici ludici, umani

che vende regala appalta la rete ora che il tubo

catodico è un fango di ruggine. Imberbi paesaggi.

Schiodami da stati di neroveggenza, supplicami

umano come raschi in sordina. Voltaggi infiniti

installati ora ho nel cervello, chianche fiorite

zotici e vestaglie di lana. Ancora è utile prendere

buste per pacchi anni per giorni e scoprirsi

nudi sotto la stella marziale del tuo solo padrone.

 

*** 

 

Ho pure il mio intrattieni. Più giù

sotterraneo balcone fai clangori

di cotone. Anziano signore vecchia

ferraglia fai a pezzi qualcosa

che soffia fischiando ciniglia

e vapore, mi cola un’occhiata

a stormire la nebbiolina fine

del bucato.

Privilegio intatto

ti stendo un formato che abbevera

tutti, uno stelo stracciato di soglie

ai meriggi inutili forbiti e

sbiancati. Basterebbe intonaco

no schegge no stridi solo

blu dissapore e quindici

giorni di pioggia dentro ai cortili.

 

*** 

 

Le parole fatte a trucioli, gli apostrofi

le notti disegnate e i colori spiegati

sparsi come calici di tulipani.

Prendere parola per poi tacere.

Attorno alla dura piazzola di sosta

c’è il velo, c’è la statua di schiena

e portare rose è un lucido affronto

all’eremo sciolto nel fondo chiarore.

Senti le vecchie lagne e le tele

dei sarti, sentimi coi digiuni stanchi

non divaricare sonni, non inciampare

nel bozzolo primo, nel sordina munito

tostapane, parla ad libitum sui

nidi del casale scolastico. Dubita

sola partenogenesi è arresa

al dubbio, desiderio dei miti.

 

 ***

 

In alto fluorescente fuoco, mobile

cencio sbranato dai cieli vivibili

già passi e vieni fuori del quadro

acciaio laccato, bianche pretese

di umanità, distese vitree di ore

deposte nel fresco dei nidi dei deboli

assurgi a stemma di barattoli

cercami a fondo di venti insensate

questioni e rinserra le dosi, chiama

i caroprezzi, rincara i dolori

suggella i piani misteri dell’Icaro

a pezzi che forse abitai nel solo

soggiorno che diedi alle quattro mie dita.


(Brani tratti da: Francesco Elios Coviello, L’oltranza, RPlibri, 2022, introduzione di Antonio Bux)

Francesco Elios Coviello è nato a Bari nel 1994. Suoi scritti, di argomento letterario e musicale, sono apparsi su alcune riviste di settore. L’oltranza è il suo libro d’esordio.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà