Non sono mai stata per
davvero in un deserto, scrive Lina Salvi nella nota al termine della sua
raccolta "Del deserto", salvo alcune puntate a Petra, in Giordania, e
in altri luoghi dove è possibile incontrare la civiltà beduina. Ma qui il
"deserto" è prevalentemente una metafora esistenziale, una lunga e
sofferta osservazione o per meglio dire riflessione, sul proprio intimo stato
esistenziale. Un attraversamento del "deserto" in quanto zona di
nessuno, parte neutra del mondo e della vita, dove è possibile l'espiazione ma
anche la crescita di una speranza verso un confine nuovo, più realizzante e
completo. Nel deserto si incontrano i morti ma anche le oasi alle quali è
possibile ristorarsi e ripartire con maggiore lena ed entusiasmo. Viene subito
alla mente il peregrinare per quaranta giorni e quaranta notti del Cristo nel
deserto, ambiente ideale per meditazioni profonde, lontano dalla confusione e
dalle distrazioni di un mondo sovente falso, superficiale, scolorito, e dove i
valori hanno perso gran parte della loro consistenza e importanza.
Il "deserto" considerato in questo modo, area indifferente e impermeabile, quasi un limbo, non poteva non essere al centro di un discorso
poetico che, in un certo senso, riesce anche ad armonizzare e a raccordare, pur
nella sua gravità, lo stato di profondo sconforto di fronte alle cose degradate
e degradanti del mondo, specie della società cosiddetta civile; e il poeta lo
sa, ne è consapevole, perché vede tutto con gli occhi del cuore e trasforma
l'abbandono in opera d'arte, le devastazioni in immagini salvifiche, le
diavolerie e le nefandezze in versi di assoluta solarità e melodia. È
compito del poeta assumersi la responsabilità di indicare e denunciare lo stato
delle cose, l'uomo in tutta la sua bestialità ma anche nella sua grande
umanità, adattando la sua voce, il suo canto lirico, a quello stato,
innalzandolo a Poesia, miracolo della parola!
Lina Salvi è così. Lei, la poetessa, non ha bisogno di
sperimentare la realtà materiale e fisica del deserto, non ha necessità di
toccarlo con mano o di percorrerlo a piedi: il suo è un deserto figurato ma
altrettanto plausibile ed effettivo, perché la poesia, la sua poesia, ha
appunto la capacità di evocarlo, di mostrarlo nella sua piena autenticità, come
fase di passaggio e di purificazione verso confini e obiettivi che rafforzino
il senso da dare a questa nostra esistenza in transito.
Il deserto dunque come espiazione e recupero di verità
profonde, necessarie all'io e all'umanità: "Del deserto non ho che strani fiori / esseri dai nomi impronunciabili,
bacche / rare, magre, secche d'acqua, / ogni sguardo non svela presenze /
tracce di incenso, accumulo, scoria / ogni indagine provvisoria." Un
discorso poetico essenziale, quello di Lina Salvi, basato su testi brevi, fluidi,
ricchi di allegorie.
Ne riportiamo qui di seguito alcuni, tratti appunto dal
libro "Del deserto", affinché gli amici lettori che da tanto ci
seguono, possano aggiungere altre gradite e interessanti riflessioni in merito.
Del deserto non ho voglia
della sua violenza calma
cavalcate ai margini del cielo,
nel deserto già ci sono:
ahlan wa salan*,
nel deserto popolato di uomini
buie città, annuvolate,
assediate di ogni specie animale,
alberi con rami tondi, bocche infuocate.
Della tundra, nel polare,
che dico? Se non quel volteggiare
in aria, terra, affondare
il piede in una zolla
del viaggiatore la sua ombra
così lunga, così distante.
* (saluto di benvenuto)
***
Del deserto l'ombra a un passo,
meglio vivere in uno stagno
montagna a scavalco per un gallo
che canta la sua immortalità, un corvo
nero svolazza sulle creste,
la sabbia muterà in tempesta,
muterà la pianura, respiro fluido
del corpo che non mente ripari:
un pioppo sul sentiero si espande,
trafitto all'ultimo sangue,
istante.
Dialoghetto
pomeridiano
Prendo volentieri un caffè, se lo paghi tu
lasciate un messaggio, sarete richiamati,
richiamando per una lettura, una qualsiasi scusa,
una poesia per cercatori di funghi: noi dieci
per metà porcini! E
tu, sei riuscita a non prendere l'acqua?
Guarderei in faccia la vita, a saperla guardare,
ogni cosa che dicevi tanto bella: quel bosco
inghiotte il respiro, mi squama la pelle,
rifiorisce in un assurdo.
E lì, nel freddo che credevo di temere, aspetto.
Guardo per chi non può guardare
un sentiero luminoso, offuscato,
la favola delle stelle, dei morti,
ad uno ad uno infilati tre metri
sotto terra, tre metri. Guardo
nel campo delle meraviglie un fiore
che esplode, uno stupido croco.
Sulla strada battuta dalle case,
un passo incalza in zona franca,
azzoppato.
Guardo per chi non può guardare
la distanza immutata, dalla gola profonda
del lago, l'inverno che non vuol morire
l'inverno, isterico tartarughino,
sul ponte inseguo una scena
della geografia cartina muta,
deserto, doppia assenza.
L'ultima volta che era inverno
sono andata nella strada dell'ospedale,
un grande cubo bianco, dove prima c'era un prato,
altre volte con più coraggio sono salita,
ai vari piani, a quell'ultima stanza in fondo,
per gli ammalati gravi. Sono stata in quella luce
opaca, senza mai il coraggio di entrare,
prima o poi ti avrei salutato,
con il bacio che non c'era più da darsi.
Non mi staccherò dalle cime granitiche,
regine, non mi staccherò dalla
finestra del Rifugio Re Alberto,
nella valle il deserto si ostina.
Non mi staccherò da ogni turbamento,
discesa sul fiume ad aspettare
che l'acqua si placasse e il vento,
il vento tutto, onda, onda
d'urto.
(Testi tratti da "Del deserto", di Lina Salvi, puntoacapo Editrice,
2017; postfazione di Elio Grasso).
Lina Salvi è nata
a Torre Annunziata (Napoli), attualmente vive e lavora in provincia di Lecco.
In poesia ha pubblicato, oltre che su varie riviste letterarie (La Mosca di Milano, Il Segnale, Gradiva,
ecc.), le seguenti raccolte: Negarsi ad
una stella (DialogoLibri, Olgiate Comasco 2003, prefazione di Giampiero
Neri); Abitare l'imperfetto (La Vita
Felice, Milano 2007, prefazione di Gabriela Fantato, Premio Donna e Poesia
2007, finalista al Premio Baghetta 2008); Socialità
(Edizioni d'If, Napoli 2007, Premio Miosotis); Dialogando con C.S. (Premio Sandro Penna 2010 per inediti,
pubblicata a cura del Premio, Edizioni della Meridiana, Firenze 2011,
prefazione di Elio Pecora); Lettere dal
deserto, con un'incisione di F. Giudici (Fiori di Torchio, a cura del
Circolo Seregn de la Memoria, Seregno 2014).
È presente in diverse rassegne antologiche, tra cui
la più recente, Il Rumore delle Parole,
a cura di G. Linguaglossa, Edilet, Roma 2015. Sue poesie sono state tradotte in
lingua rumena e pubblicate sulla rivista Poezia di Bucarest. È
vincitrice del Premio Astrolabio 2016 per la sezione inediti.
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