martedì 26 gennaio 2021

"Il mondo visto da vicino", di Irene Sabetta

Le poesie di Irene Sabetta sono una geografia, una scrittura della terra, una mappa delle avventure…” Così scrive Beppe Sebaste nell’ottima e dettagliata prefazione alla recente raccolta poetica di Irene Sabetta, intitolata “Il mondo visto da vicino”, edita da Il Convivio. Nulla di più aderente alla linea poetica della nostra poetessa, che in questa silloge esprime certamente la sua piena maturità letteraria, acquisita in lunghi anni di frequentazione e di esperienza nell’ambito poetico. Trovo dunque questa asserzione del prefatore una pregevole premessa ed anche una utile sintesi del quadro complessivo che la nostra autrice intende esprimere con i suoi versi.
Che il poeta sia un attento e sensibile “osservatore” non solo della natura e delle cose che lo circondano, ma anche di quell’”altro” mondo, quello che ognuno di noi si porta dentro, nell’intimo della propria coscienza e dell'anima, fatto di aneliti, di gioie, di speranze, di emozioni e di tanti altri “movimenti” e “grovigli” a volte inesprimibili con parole e discorsi usuali (perciò la poesia!), è cosa alquanto risaputa. È chiaro che l’artista, direi per antonomasia, ha il talento particolare di vedere e di accorgersi del mondo circostante e di saperlo interpretare e poi esprimere tramite i simboli a lui più congeniali, per essere innovativo e originale, per raccontare a sé stesso e a tutti com’è il mondo, come sono le cose, ma sempre con una novità e una luce nuova idonea a dare speranza e ad illuminare la strada del futuro. Irene Sabetta rientra senz’altro nel novero degli artisti, anzi dei poeti, che maggiormente sono in grado di “vedere” oltre le cose e oltre la realtà materiale di questo contesto sociale.
Direi di più. E il motivo ci viene proprio dal titolo della raccolta, e qui mi ricollego all’analisi indovinatissima del prefatore: il mondo visto da vicino. Non si tratta tanto di un “esame” al microscopio della realtà e delle situazioni, dei paesaggi e delle "geografie" che influiscono sugli umori e sul comportamento dell’uomo nella società, o perlomeno non è soltanto quello, che la nostra poetessa di Alatri intende esprimere nell’organicità del suo dettato poetico in questa silloge (e forse anche più in generale, nella sua costituzione poetico-letteraria); ma quanto un “sentire” partecipato e brulicante di fermenti sensoriali ed emotivi di uno scenario che sorge già dall’intimo, nel proprio “piccolo”, e si espande abbracciando tutta la natura, tutto l’universo. Il paesaggio, il viaggio, le città, le montagne, i lungomari e le sere d’estate, sono soltanto spunti, “pretesti”, per interrogarsi sulla verità e sulla genuinità delle cose e dei sentimenti che si ritrovano in tutto il mondo, dappertutto, tanto a Ventotene quanto a Palmarola e ad Hanoi, o sulla cima di qualche montagna, dove sovente la nostra poetessa ama passeggiare, meditando e respirando i pensieri suoi e del Creato!
È questo, dunque, il vero senso di vedere “il mondo da vicino”, secondo Irene Sabetta: un modo non “tecnico”, non freddo e distaccato, vivisezionato, bensì accorato, ardente, compartecipe, cullato e amato. E i suoi versi sono l’eco di questa sua grande filosofia di vita, della sua innata sensibilità indagatrice, unita ad una scrittura in versi attenta e ariosa.
Ne riportiamo qui di seguito qualche esempio. I brani sono tratti dal suo “Mondo visto da vicino”.

 

Verso sud

Aberrazione delle case
autopunizione di cemento e ferro
tutto appiccicato e così insolubilmente
diverso, l’uno dall’altro.
Guerra di muri
giallo ocra, rosso sangue, trionfo nelle crepe.
Pali sollevano fili interminabili
sorpresi dal progresso a incorniciare
scheletri d’acciaio e ferrovie dismesse
orti abbandonati tra ritagli di plastica
al vento.
E ancora castelli di case
esposte coi loro giardini
alla furia latente del monte a cono.
Quello dei quadri,
quello che sta sempre dietro.
Normalità incombente della natura.



***



Terre alte

Passaggi di nuvole
sullo schermo curvo
dei monti ad alta definizione.
Come vedere proiezioni all’aperto
con il fiato grosso
che spazza le idee dal cervello
e le innalza sulle cime,
più in alto delle terre alte
dove lo spazio dell’inutile
accoglie questi ospiti improvvisi
a turbare l’aria e la visione.
Come leggere un libro
di parole fatte di passi
morfologia del terreno
sintassi di fiato e gambe
lungo traiettorie longitudinali,
sentieri tracciati
e a volte tracce di sentiero…
Selvaggiamente accettare
il principio (e la fine) dell’andare.


***

Usignolo

La forma del mondo
non ti precede
e neanche ti accoglie
con collane di fiori
ai piedi della scaletta.
E tu non precedi la forma.
Nessun architetto ha firmato il progetto.
Nel gelo dell’inverno
il chiarore del pensiero
risplende sulle montagne
e annichilisce ciò che non si adatta.
Mortali i sensi e gli uccelli.
La forma baratta il metodo con la complicità.
E tu non essendo complice ti disfi di metodo e forma.
Come un usignolo,
voli di notte e non canti.



***

Terra di qualcuno

In trappola nello strappo
non resta che la quinta direzione.
A gambe divaricate
tra la spinta omicida
e l’approdo assente
sottrarsi è come respirare.
Moto rivoluzionario
sull’asse dell’abisso.
Evitare di cadere
preda facile di chi fu
e di chi non sarà.
Sottrarsi per tempo a chi fu assassino
sottrarsi per primo a chi si negherà.
Solo restare vivo.
Voglio attraversare a piedi
la distanza tra la siepe
e l’ultimo orizzonte.


***

Migrarsi

Lavarsi e bere
nella stessa acqua
appoggiandosi agli occhi degli altri.
Spingere il carro delle cose
con il neonato aggrappato
alle spalle del padre.
Orfani sparsi
a prendere il sole,
a cercare di prendere il sole
negato dai palazzi e dalle nuvole
che non si spostano, stanche.
Sotto l’albero di baobab,
si incontrano corpi
e luce a raccontarsi
traiettorie curvilinee.
A volte solcare
l’acqua a colpi di reni,
affidando la vita
di generazioni intere
alla calma del mare.


***

Ever Est

Come andare
a far visita
a un antenato
a un sovrano assoluto
e saggio.
A ogni passo
avvertire il sangue
aggiustare il tiro.
Dilatazione delle pupille
e dei globuli rossi
per essere all’altezza
di sua altezza.
È tutto vero
qua tra le montagne.
A est,
più a est di Kathmandu,
più a est di ogni previsione,
appena sopra i tropici,
lungo la linea di sutura del mondo,
quello che è
per sempre è. 

(Brani tratti da: Irene Sabetta, Il mondo visto da vicino, Il Convivio Editore, 2020; prefazione di Beppe Sebaste)

Irene Sabetta vive ad Alatri dove insegna inglese al liceo. Le sue poesie sono presenti in diverse antologie curate da vari editori (LietoColle, Poetikanten, Aletti, Il Foglio Clandestino, Bertoni, La Recherche). Nel 2018 ha pubblicato la plaquette Inconcludendo (Ediz. Escamontage) e ha ricevuto una menzione d’onore al premio Lorenzo Montano per la prosa Sogno horror. Nel 2019 la sua raccolta inedita Nomi cose città ha ricevuto una segnalazione, sempre al Premio Montano. Suoi testi sparsi si trovano sulla rete (Poetarum Silva, Patrialetteratura, Neobar, I poeti del parco, Il giardino dei poeti, Peripli, Formafluens). Collabora con il sito Atlante delle residenze creative di Tiziana Colusso ed è presente nel volume Residenze e Resistenze creative (Ediz. Luoghi Interiori) con un saggio sullo studio di F. Bacon. Partecipa a reading e a maratone poetiche.




martedì 19 gennaio 2021

Corrado Calabrò e il suo "Altro"

Nella sua vastissima e pregevole produzione letteraria, Corrado Calabrò, poeta di spicco nell’attuale panorama letterario nazionale, ha voluto inserire una silloge particolarmente sentita e accorata, elaborata recentemente, nel contesto sociale ed emozionale che tutti stiamo - ahimè - attraversando, a causa del contagio del coronavirus. Il volumetto si intitola “L’altro” ed è edito dalla Fondazione Thule Cultura di Palermo, settembre 2020, Collana “Collezione Aurea" diretta da Tommaso Romano, nella quale figurano Nomi illustri della letteratura contemporanea, quali Giuseppe Bonaviri, Lucio Zinna e Giorgio Barberi Squarotti.
È indubbio che la società, l’atmosfera che vi si respira, il pensiero come anche i timori, i palpiti, le speranze, ma anche le chiusure, le repressioni e le privazioni, possano in qualche modo ispirare o anche influire profondamente sulla linea di sviluppo creativo che l’artista o il letterato tende ad esprimere, immerso in queste atmosfere: proprio per la sua innata sensibilità e capacità di avvertire tutto ciò che profondamente si agita in una società, l’artista, il poeta, si fa sentinella dei tempi! Come pure, sempre grazie alla sua grande ed esemplare potenzialità comunicativa, il poeta può suggerire, indicare, illuminare, vie maestre, viali di speranza, per proseguire il percorso dell’esistenza attraverso le foreste e i garbugli fumosi di una società depressa e senza più valori.
Detto questo, il recente volumetto “L’altro” di Corrado Calabrò, di cui proponiamo qui di seguito alcuni brani, mi sembra assolutamente in linea con quanto prima asserito. In un contesto apparentemente autoreferenziale, l’Autore si immedesima in una dilaniante scissura psichica e affettiva, un’atmosfera straniante vissuta non solo dall’io narrante, ma che avvolge tutta l’attuale società, dimidiata tra l’affanno a concludere la giornata, nell’eterno timore della precarietà e dei malanni, e l’impellenza di un porto sicuro, di una luce, di una risposta, da dare e da darsi, all’eterna domanda sul senso dell’esistenza. “Entrare in mare prima che sia giorno / per ritrovare le albe che ho perduto”: è qui, a mio avviso, il nucleo essenziale della poetica di Calabrò, in questo libro, dove l’altro rappresenta in un certo senso la parte sana e genuina dell’uomo, dell’umanità, quella parte che può assumere in sé la serenità e, perché no?, la certezza di una vita al di là di ogni mero pragmatismo e di ogni falsa aspettativa.


L’altro

M’incontro appena sveglio nello specchio
ed allibisco
dinanzi ad un altro volto che mi guarda.

Alieno, intruso, eppure lui mi guarda
in faccia con un’aria di sospetto.

Oh Dio!
e se foss’io un altro da me stesso?!

agosto 2019 


***

Antigravità

Entrare in mare prima che sia giorno
per ritrovare le albe che ho perduto
e per sottrarmi a questo peso amorfo
che fa sbarrare nell’insonnia gli occhi.

Voglio salpare, solo, in piena notte
sentendo lo sciacquio della risacca
e galleggiare in mare con la luna.

Non voglio stare con me stesso a terra.
No, non ancora… altrimenti mi sveglio…

settembre 2019


***

Forse voleva solo farmi male

Tanto ha ronzato intorno che mi ha punto
ed ecco la puntura s’è gonfiata
qui nel costato.
Forse cercava con dispetto un fiore
ma mi ha lasciato dentro il pungiglione
che s’è incistato nel petto e mi duole.

Forse cercava un fiore da succhiare
forse voleva solo farmi male.

agosto 2019


***

La scala di Jacob

Siamo portati su una scala mobile,
ne scorriamo i gradini stando fermi
fino a che rientra l’ultimo scalino.

Ti lascio, figlio, una scala di legno;
è una scala a pioli fatta a mano
eretta in verticale verso il cielo:
devi scalarla come un sesto grado.

Ogni gradiente ne genera un altro
perché è una scala che non può finire

finché senti il bisogno di salire.

settembre 2016


***

Dietro la memoria

Affiorano talvolta inaspettati
e lasciano attoniti al risveglio
affiorano, tanto più veri
quanto più obliterati,
ricordi
acquattati dietro la memoria.

Cosa resterebbe della vita
senza ricordi?
Ricordi a lungo devitalizzati
che fanno sobbalzare la memoria.

Oh se rigenerassero la vita
oh se rigenerassero l’amore
oh se per il tocco di una dea
divenissero ricordi staminali!

agosto 2020

(Brani tratti da "L'altro", Edizioni Fondazione Thule Cultura, Palermo, 2020)

Corrado Calabrò è nato a Reggio Calabria. 
Sono 23 i libri di poesie pubblicati in Italia da Corrado Calabrò e 34 quelli pubblicati all’estero, in 20 lingue. In Italia l’ultimo è Quinta Dimensione, Oscar Mondadori, 2018; all’estero, Astroterra, Kiev, 2020.
Per la sua opera letteraria gli è stata conferita la laurea honoris causa dall’Università Mechnikov di Odessa nel 1997, dall’Università Vest Din di Timişoara nel 2000 e dall’Università statale di Mariupol nel 2015. Nel 2016 l’Università Lusófona di Lisbona gli ha attribuito il Riconoscimento Damião de Góis. Nel 2019 gli è stato assegnato il Premio Bertrand Russel per “i saperi contaminati”.
L’Unione Astronomica Internazionale, su proposta dell’Accademia delle Scienze di Kiev, ha dato all’ultimo asteroide scoperto il nome del poeta Corrado Calabrò “per aver rigenerato la poesia aprendola come in sogno alla scienza”.


martedì 12 gennaio 2021

La "Sfinge di pietra" di Claudia Piccinno

 

Quando si ha una grande esperienza e conoscenza di diverse lingue, sorge quasi spontaneo il progetto di realizzare un’opera letteraria di ampio respiro, che possa essere letta e apprezzata direttamente non solo a casa propria, ma anche a livello internazionale: perché in fondo, l’arte e la poesia hanno respiri che travalicano ogni confine, e se c’è una possibilità che un cittadino di Dublino, ad esempio, possa, contemporaneamente ad un cittadino di Bologna, gustare i medesimi versi scritti da un poeta, allora questa è davvero un’opportunità bellissima, da non perdere, che avvalora l’universalità di una realizzazione artistica. 
È il caso di Claudia Piccinno, poetessa esperta e sensibile, che con il suo recente volume bilingue, italiano e inglese, dal titolo “Sfinge di pietra”, offre ai lettori internazionali (l’inglese, si sa, è ormai una lingua diffusa e praticata in tutto il mondo) il suo pensiero poetico, il suo mondo poetico. 
Si tratta di una raccolta molto ricca, corposa, non tanto perché i testi singoli sono ripetuti nelle due lingue, quanto per la varietà delle riflessioni e dei tracciati, dei percorsi suggeriti dai versi. Il tutto parte proprio dalla “sfinge”, entità emblematica che racchiude, nel suo richiamo mitico, l’enigma della vita e delle relazioni tra gli esseri umani. La sfinge di Claudia Piccinno sta lì, ad indicare nello stesso tempo una pietra inamovibile e compatta, in cui sono concentrate le domande e i perché che ognuno si pone, che la stessa poetessa si pone, e d’altro canto è pure un luogo di partenza, un solido centro (l’anima?, il cuore?...) da cui partire per intraprendere quel viaggio infinito, oltre le Colonne d’Ercole, alla ricerca di risposte a quelle domande. Risposte che non saranno mai esaustive. Per questo, il dettato poetico della Piccinno è un lungo interrogare, è un dialogo con l’alter ego al quale si chiede continuamente una risposta, ben sapendo però che la sfinge di pietra è e rimarrà il simbolo di una indicibile e misteriosa esperienza verso la verità finale. Esperienza che, forse, solo con la parola poetica può essere vissuta, così, a contatto diretto con il mondo e la sua realtà che ci nega il senso ultimo dell’esistenza, ma che nello stesso tempo ci mostra la via, o le vie, da seguire accompagnati dalla speranza. 
Le poesie di Claudia Piccinno in “Sfinge di pietra”, delle quali proponiamo qui alcuni brani, sono dunque l’eco di questi interrogativi peculiari che agitano in profondità la nostra poetessa, sollecitandone se non proprio risposte certe, almeno delle riflessioni, delle considerazioni, che la sua stessa poesia riesce a veicolare e a esternare con grande efficacia formale e stilistica.



Sfinge di pietra

E se anche in questo momento di connessione
Tu decidessi di defilarti
io capirei.
E se io continuassi a scrivere
con penna molesta,
se a te nuocesse, mi fermerei.
Se un microbo ti trascinasse via
su altri lidi
dove non sono ammessi interlocutori,
sfinge di pietra mi murerei.
Piovono parole nuove
senza alcun senso,
a dare misura di questo vuoto
che parla sospeso
in attesa di un verso.


***

Amica mia

E se fosse paura
l'assurda pretesa di dare
un nome alle cose?
Non suggerirmi
la tonalità delle grinze
del vestito che dovrei indossare.
Ingessarmi in un tailleur plissé?
No grazie non fa per me
Continuerò a luccicare di impavida follia
e mi potrai chiamare amica mia.
Oserei senza fretta
un accostamento insolito
un kimono, un sari, un kilt
è pur sempre un abito tradizionale
finché scalza e gitana,
senza veli né vincoli
senza catene o guinzagli
Io me ne andrei.


***

Sono vetro

I

Sono oltre la prudenza
del silenzio,
oltre ogni automatismo,
oltre queste acrobazie
del quotidiano.
Sono altro
da chi si vanta
di espletare un dovere
come fosse una
missione esistenziale.
Sono nei libri che ho letto
e nei versi che ho scritto,
nell'incauto ardire dei miei alunni
e nel loro argomentare ad alta voce.
Sono nel tempo che dedico a mio figlio.
Sarò altrove ad osservare schegge
di libertà negata
scansandone gli spigoli taglienti.
Sono vetro, in me ti specchi
e sai che io rifletto.
Sono altro, sono oltre, sono altrove.


V

Cerco il senso

Cerco il senso
di questo vuoto di parole
in una dimensione
che non mi appartiene.
Accumulo i silenzi
come fossero perline
da ricamare su una
toppa sgualcita.
Attendo abbracci
che non arriveranno
neanche per Natale.
Annaspo tra i perché
dei miei bambini.
Fisso lo sguardo
oltre la pianura
e mi ritorna indietro
carico di nebbia.
Torneranno le lucciole
festosi fermagli
a ravvivare i cespugli.


XXV

Elegia o parodia?
Consenso o dissenso?
Cos’è la poesia?
Canto o lamento?
Arte o linguaggio?
Credo sia un varco
per anime sole,
una brezza
che aleggia sui cuori,
l’intimo codice
di pensieri nascosti,
forse vanga
che smuove le ceneri,
tizzone ardente
di nuove scintille.


XXXIX

Le parole che non dico

Sono colme d’amore
le parole che non dico,
sul precipizio della fiducia
io le trattengo,
perché tu non ne abbia noia.
Sono colme d’amore
le parole che vorrei sussurrarti
nel talamo segreto
di questa nostra corrispondenza.
Come insetto
intrappolato nell’ambra
la mia voce…
quando io colgo
un barlume di tenerezza
nel tuo dire distratto
e vorrei tu vedessi
il sorriso che mi accende il volto
prima che volutamente
io finga di parlare d’altro.


Poesie tratte da "Sfinge di pietra", di Claudia Piccinno, Edizioni Il Cuscino di stelle, 2020; prefazione di Dante Maffia, nota critica di Brunello Gentile, postfazione di Francesca Ribacchi.

Claudia Piccinno è docente, traduttrice e autrice di numerosi libri di poesia. È direttrice per l’Europa del World Festival Poetry, ambasciatrice per l’Italia del World Institute for Peace e di Istanbul Sanat Art, e benemerita del Comune di Castel Maggiore per meriti culturali. È responsabile della rubrica poesia per la Gazzetta di Istanbul, editor per l’Europa della rivista turca Papirus, edita da Artshop; collabora con vari blog e riviste cartacee, tra cui Menabò e Il Porticciolo.

Ha pubblicato diversi libri di poesia, tra i quali: La sfinge e il pierrot (Aletti Editore, 2011); Potando l’euforbia in Transiti Diversi (Rupe Mutevole Edizioni, 2012); Tabahnha  (Il soffitto, Edizioni Majdah, 2014, edizione in serbo); Ragnatele cremisi (La Lettera Scarlatta Edizioni, 2015); Grimizna Paucina (Alma publisher in Belgrado, 2017); Ipotetico Approdo (Mediagraf edizioni, Padova 2017); Karaya Cikma Hayali (Artshop, Istanbul 2018); Pourpre toile d’araignée (Edilivre, Paris 2018). Ha inoltre pubblicato il saggio Asimov, Un volto inedito (Il cuscino di stelle edizioni, 2020) e, in lingua francese, L'abord hypothetique (Edilivre, Parigi, 2018). Ha pubblicato in turco e inglese Karaya Cikma Hayali (Artshop, Istanbul 2018); in serbo e macedone МОГУЋА ЛУКА (Alma editore, Belgrado, settembre 2018); in tedesco Magie in Staunen (Verlag Expeditionm, Hamburg 2018); in lingua araba Your voice in countersong (Goodreads 2019 U.E.A).

È co-curatrice dei volumi antologici: Volti invisibili (Africa solidarietà, 2018), Atunis Galaxi Anthology 2018 e 2019 (Albania).

Ha tradotto in lingua italiana i libri di numerosi poeti stranieri.

sabato 2 gennaio 2021

I "Pensieri di rinascita" di Felice Casucci inaugurano i Quaderni di Poesia della RPlibri

 

Per i “Quaderni di Poesia”, la nuova linea editoriale della RPlibri, proponiamo per la lettura proprio il primo numero, dedicato a Felice Casucci. Il Quaderno, formato da 16 pagine in elegante veste tipografica, si intitola “Pensieri di rinascita” ed è stato pubblicato nel giugno del 2020.

Si tratta di una raccolta di 44 “pensieri” più una breve riflessione iniziale che l’Autore definisce “schizzo”. In effetti i pensieri del Casucci sono delle profonde e illuminate riflessioni epigrammatiche, da considerarsi a tutti gli effetti dei veri e propri aforismi, tutti incentrati sul superamento di una condizione sociale e umana in precario equilibrio, attraverso aneliti e respiri di libertà e di amore. La ricerca del vero in noi stessi, quella primavera che trascuriamo, il passaggio continuo dalla vita alla morte e dalla morte alla vita, sono emblematicamente riportati in luce dalle parole di Felice Casucci, con un dettato filosofico ed etico di grande pregio, e che ci induce a guardare con maggiore attenzione alle cose della natura, del mondo, e al cuore dell’uomo.

Qui di seguito alcuni brani tratti dal libro


Bisogna mettere addosso l’armatura dell’amore e
combattere fino all’ultimo momento, pensando che
ci siamo preparati tutta la vita per affrontare questo
momento.

***

La primavera ha le mosse lente di una bocca che prega
all’orecchio di Dio.

***

C’è una storia minima per credenti ed è un albero che
fiorisce.

***

La grandezza dell’ostacolo dipende dalla forza di cui si
dispone per superarlo.

***

C’è una luce nel sole, ma non è il sole, è la sua luce.

***

Il giorno e la notte sono due punti nello spazio uniti da
un verso.


Felice Casucci, Pensieri di rinascita, i Quaderni di RPlibri, 2020.

Felice Casucci, giurista accademico, scrittore e poeta. È Professore Ordinario di Diritto Privato Comparato ed insegna Diritto e Letteratura presso l’Università degli Studi del Sannio (Bn). È Direttore delle riviste Annuario di diritto comparato e di studi legislativi e Il Diritto dell’Agricoltura (Edizioni Scientifiche Italiane). È componente del Direttivo SIRD (Società Italiana per la Ricerca nel Diritto Comparato) e Presidente della Sezione campana della medesima Associazione scientifica. Si occupa di volontariato culturale e sociale.

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà