Si tratta di un excursus artistico-letterario in cui è predominante non solo la parola poetica, il verso libero dotato però di un grande afflato lirico interno, ma anche i momenti di prosa e le immagini, anche queste create dall’autrice e veramente corrispondenti al percorso complessivo che lei compie in questa raccolta.
Ma perché il mondo è fatto a spigoli, secondo Angela Rosauro? Se notiamo pure il sottotitolo, Il rinoceronte e la libellula, pensiamo subito a due estremi. Da una parte, il rinoceronte, simbolo di potenza e di forza bruta, dall’altra la libellula, simbolo di leggerezza e di grazia. Sono due poli che non si toccano, non entrano neanche in conflitto, ma stanno ognuno per sé: perché, il mondo, la realtà vista e narrata dalla Rosauro in questa raccolta, è proprio il caleidoscopio della vita quotidiana, nella famiglia, nella società, nel lavoro, che va da estremi di nefandezze e di disagi, di problemi difficili da affrontare, fino alla leggerezza e alla soavità, e direi della semplicità, dei sentimenti puri, dell’amore, dell’amicizia. C’è in tutto questo una sfumatura costante dall’uno all’altro capo: e il mondo è fatto a spigoli duri, zone del vissuto ognuna con le sue problematiche e i suoi sogni, i suoi dolori e le sue aspettative.
Il lavoro artistico e letterario di questa originale raccolta è stato magistralmente ideato e costruito unendo dunque vari aspetti della creatività dell’autrice. Non si tratta solo di poesie, come è evidente, ma di corpi artistici-letterari complessi, costituiti ciascuno da un’immagine, un brano in prosa e una o più composizioni in versi. La sequenza è: testo in prosa di apertura, immagine, poesie. Le tre modalità in ciascuno di questi paragrafi, sono intimamente connesse e aderenti al tema, e cioè a dire: l’argomento viene espresso attraverso le tre modalità artistiche/letterarie: prosa, immagine, poesia. Ma proprio per la bontà e per l’originalità delle immagini e dei testi in prosa, possiamo dire che tutta la raccolta è in effetti una espressione poetica ad ampio raggio, come asserivamo più su. In particolare, i testi in prosa si avvalgono di una immediatezza straordinaria, il racconto è essenziale, senza particolari prolungamenti descrittivi, fatto di rapidi stacchi, di flash, di immagini, situazioni e stati d’animo netti e improvvisi: “È in partenza dal binario ventidue… Passi veloci. Rimbalzi. Pesanti. Valigia nuova. Valigia zeppa.”
Analogamente, i brani poetici sono caratterizzati da un discorso fluido, che può fare a meno della punteggiatura in quanto le pause sono ben calibrate nei versi. Qui maggiormente si rivela il mondo emotivo di Angela Rosauro, osservatrice attenta degli stati d’animo e delle realtà psicologiche e materiali che condizionano gli animi umani, specialmente quelli femminili e la loro innata forza d’animo, la loro capacità, nonostante le sofferenze, di risalire la china e di lottare per i propri diritti.
Le immagini, originali nel contesto, integrano e completano quest’opera di grande valore letterario ed artistico, veramente meritevole di attenzione e di riconoscimenti.
voce di stazione
stasera il cielo di Napoli
come quello di Alessandria
trasuda gli odori
di un giorno caldo e faticoso
mi volto
e ti ritrovo accanto
il tuo volto triste
e abbronzato
come il vecchio marinaio Giovanni
andava e tornava da una vita
per mare
e l’amava e l’odiava quel suo mare
e Palinuro
era un posto sconosciuto
dove nessuno l’aspettava
questa è una sera di chi parte
te ne vai
e hai già negli occhi
la voglia e l’ansia dell’ignoto
cammini leggera
non senti le voci intorno
non vedi i colori morti
di una stazione misera e violenta
stringi fra le mani le tue cose
e guardi lontano
dove non c’è posto
per me per noi per tutto
queste voci queste grida
mi schiantano
sono voci malate e stanche
le loro le nostre la mia
ingoio un altro pezzo di vita
il passo deciso traversa rabbioso
la giungla di ubriachi
puzza di morte
e poi noi
È in partenza dal binario ventidue… Passi veloci. Rimbalzi.
Pesanti. Valigia nuova. Valigia zeppa.
Anni stipati. Ciao quindi. Sì, ciao ci si sente. La tua
piccola sagoma s’inoltra. Finestrini opachi.
Sporchi. Riflessi. Appari, scompari. Ti fermi. Ecco.
Fischia. Ecco. Non c’è più tempo. Tatam-tatam…
Ora che fai? Mah… Faccio un passo indietro. Ruote metalliche prendono vita. Lente. Si muove. Sergio ti segue. Vi guardo. Tatam-tatam, tatamtatam… Sembrate un film. Muto. Tatam-tatam. Bello. Sempre più veloce, ancora un altro po’. Triste. Voglio andarmene. Odio le scene di addio. Retorica stopposa.
Vento. Ritmo. Ciao con la mano. Più veloce. Te ne vai. Ciao. Serrato. Tatam-tatam-tatam-tatam… Velocissimo. Finestrini sovrapposti, uno dietro l’altro, rapidi, uno sull’altro, sempre di più. Immagini sfocate lungo un’unica retta. Tanti volti. Tanti te. Nessuno. Tatamtatam… Velocissimissimo. Folata improvvisa. Ultimo vagone. Solo due luci, due fanali rossi. Grossi. Due occhi diabolici, famelici. Se ne vanno dietro al vento di un treno. Il tuo “tatam-tatam” s’inoltra nel buio, nel fuori, si ovatta. Ormai a stento vi vedo, l’occhio confonde i contorni, sovrappone. Piccola luce rossastra, pallida idea di vita, fuggita, svanita. Non riesco più a distinguerti, sei passata.
***
vespro
il cielo scolorisce in volto grande
anima dentro me
mi opprime
mi travolge
e il suo languore
m’agita dentro demoni stanchi
venere sorride
ammicca
invita
mi bacia di luce non vera
sola
muta
ripiego il capo
e il cuore
sulla mia vita
attesa elicoidale
non t’inganni il mio sorriso sospeso
inebetito di luce di attesa del suo moto elicoidale
insulso orpello di un possibile incontro
viene da mondi remoti improbabili rotte pozze di guazzo
pensiero
porta indosso il puzzo dolciastro della sconfitta
e racchiuso tra i denti il sapore crudele di sale di sangue
di soli di vita
non è ancora finita
non ancora è giunto il Tempo
a posare il suo occhio ferrigno che tutto avvolge nel
silenzio
pur anche gli strazi di anni di vite di sogni di belve di
morte
s’inebriano al suo nettare e infine si placano
non è ancora finita
risale indomita la smania di vita
in mille rivoli invade gorgoglia
risale fin dentro la gola assecchita
feroce rimesta le carni di sterpi di rupi di sassi
non è ancora finita
dammi un nome
mi dici mi canti mi culli
cose leggere leggeri
giorni baci leggeri
il tuo profumo spande
spumoso contagia
carezzano gli occhi
ridenti
i tuoi occhi ignari
dammi le mani
imparerò le carezze più dolci
dammi la voce
ti canterò di sera di notte
amore dolce candore
nascerò
mi nasconderò nei giardini
dei tuoi giovani anni
berrò il tuo vino
ti ridarò la vita la morte
danzerò per te nelle stanze segrete
i tuoi sogni nascosti
dammi un nome
un sospiro un dolore
sarò amore del tuo amore
non sempre è poesia
il tuo dire è potente
di sapienza lontana racconta la fiaba
sembra ferire
eppure scivola
inutile
lambisce di Bruges la trina
preziosa veste avvolge
un bianco inerte
ti accolgo mi smollo il respiro modello
al tuo passo di allegro
ma stolta il tempo perdo
in andante mi attardo poi incespico in largo
scandendo parole
maliarde fredde pupille
non riesco a squarciare
infine grave
torna d’affanno rimbalzo sul piano di marmo
senza toccare fondo
il mio è lontano da qui
ancora volta pagina
e poi ancora come incagli
di nastri di vite
pezzi di fogli stranieri
gli uni sugli altri
in ordine stanno
e più non dicono
in bilico
in bilico
sull’argine più alto
di quest’irta e scoscesa vita
sto
soffoca il cuore
nel tumulto del suo grido
né odo altro
mentre attendo
che s’alzi il vento
ma tu
fragile
imperiosa misteriosa
appari
ti appropri
mi tieni
Angela Rosauro è nata a Napoli il 12 febbraio 1961, dove vive. Sin dalla giovane età ha mostrato vari interessi in campo artistico, dalla pittura alla musica, dalla poesia alla letteratura. Docente di lettere e successivamente dirigente scolastico ha dedicato la sua vita alla formazione delle nuove generazioni, dedicandosi con impegno e passione. I suoi molteplici interessi si manifestano chiaramente negli scritti, che vanno dalla saggistica storica, come La storia tra le storie, alla metodologia e didattica, come Cittadini si diventa e I fili invisibili, alla drammaturgia come Biancaneve e oltre e Il cunto de lu brigante Barone, al romanzo Catàmmari catàmmari.
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