martedì 25 febbraio 2020

Maria Benedetta Cerro e le sue "Parole solidali"


"Nel giorno della racimolatura / parlami / con la sapienza di tutte le morti." Sono riassunti in questi tre versi di Maria Benedetta Cerro, i motivi profondi au cui si fonda, a mio avviso, il progetto poetico della nostra autrice del frusinate, almeno in questi sette brani che qui di seguito proponiamo. Il legame fondamentale tra la terra, generatrice di frutti da raccogliere, da "racimolare", con fatica ma anche con la consapevolezza della genuinità, e il sogno da lavorare, da progettare, da realizzare nell'immediato, risulta qui indissolubilmente valido e costruttivo. Si tratta di un recupero di valori fondamentali che la società moderna ha relegato in ambiti di trascurata e indolente quotidianità, sopraffatta com'è da altre incombenze più immediate e superficiali… Ma qui il discorso si potrebbe fare più lungo e articolato: la poesia non sempre è compagna del profitto e della materialità, anzi spesso ne è canto di denuncia. Quello che traspare dai versi della nostra autrice, dicevo, è questo sentimento della natura, in quanto origine della vita, intesa nel suo ciclo completo dalla nascita alla morte… È dunque una poesia che si contraddistingue per il suo anelito di autenticità, in una visione di mondo in cui sia importante, se non proprio fondamentale, l'estensione e l'integrazione della propria umanità allo spirito che sempre l'alimenta. Ed è proprio tramite i suoi versi, le sue "parole solidali", che la nostra autrice tenta, evidentemente con successo, di operare questa mediazione tra uomo cosiddetto tecnologico e uomo della terra, della natura.
I versi di Maria Benedetta Cerro sono esemplificativi in questo senso, scorrono fluidi e incisivi, diretti al cuore d'ognuno.
Invitiamo gli amici che ci seguono ad esprimere altre gradite considerazioni, dopo aver letto questi sette brani poetici della Cerro, che ringraziamo per averceli affidati.


Prologo

Le labbra che parlarono in segreto dissero le parole solidali.
Dissero il colpo d'ariete che spalancò la porpora.
Baciarono i suoni narrativi e piani del libro anteriore
cantabile e solo.


***

I

Avessimo fiori e neve fresca
alla nostra ultima morte
mancherebbe l'odore della vita
       nonostante le parole
che si ascoltano
                  che si leggono
che si offrono nude di suono.
Pagine feriali per giorni festivi
che non esistono.
Parole mentali che risuonano
                   o non risuonano.

                                                                               
***

II                                                           

Nel giorno della racimolatura
               parlami
con la sapienza di tutte le morti.
Con una sola mano
             sostienimi.
Basterà un palmo a farsi calamo
un occhio a badare al passo incerto.
Volgi il discorso pretenzioso:
con la parola semplice
      accarezzami i capelli
che parlano la lingua della cenere.    


***

III

Nel giorno della desolazione
                hai puntato l'indice.
Nel dizionario dei tempi
nell'alfabeto degli ossi senza nome
con lo spillo del grido
                      hai fissato le mie ore.
Nel buio delle radici
le guarnigioni balenanti degli affetti
le talpe nascondine
                     dei perfetti amici
mi hanno fatto polvere.
Ed ora non ho più tempo
di inseguire parole ancora generanti
          – ora sono altro -  
Nel tardi spalancato
ho un alloggio stretto.                                                   


*** 

IV

Ci sono elementi/ ci sono luoghi
nei quali è impossibile sostare
               ma tu rallenta
        anche per te sia tregua                                                  
Tu che sei morte onnipotente                                                                                
                      all'altro capo di Dio.                                                    
Un'ora per vagliare/ una per riprenderti
ciò che hai dato in prestito alla vita.
               Non fingerti folle
nessun calcolo è più infallibile
del tuo giungere ad arte
e far credere che sia del caso l'assalto.
                

***

V

Qualcosa all'improvviso
ci si accampa dentro
        che non è visione
che non ci fa provare meraviglia
qualcosa di violento
che scardina la nebbia dell'abitudine
e leva in alto il suo urlo d'inchiostro
il pugno che si vergogna
                                  dell'impotenza.
Il luogo dove il progetto ardeva
                 nella sua audacia
è uno specchio appannato
che vede finalmente dietro di sé
         l'inconsistente ordito.
Contro l'imperturbato nulla
             a vuoto
un dolore di guscio capovolto.


***

VI

Il mattino/ col suo incolpevole inizio
con i suoi versi ancora sigillati
prima che il cuore stremato dalla notte
eserciti il compito del fare
contempla l'aggettivo che martella
che gli si dia un nome
– una stampella di nome -                                               
che faccia il suo dovere
                        di trovarsi un verbo
e canti l'impossibile ritorno
alla vocale albeggiante
scaraventato nella vastità della nota
                       che aspetta la sua musica.



***

VII

In sogno – cara –
vedo le tue braccia polifoniche
levate alla descrizione
                     estrema del canto.
La fissità del mondo 
e la normalità rovescia delle cose
        la tradizione universa
ricacciata nel suo oscuro inferno.
Tutto il canto ibrido mi porta
con la fraternità
                 del giorno della grazia
col ripensato assedio della pena.
Dove andiamo – mi chiedo –
Già confondo il sogno col vissuto
e non so quale fuoco preferisco.
     Ché sono carta bruciata
dove ancora qualche rigo si legge
      prima della cenere
prima del poema che di me si disfa
e una sua vita acquista nell’opaco.




Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo e risiede a Castrocielo, in provincia di Frosinone.
Ha pubblicato: Licenza di viaggio (Premio pubblicazione, Edizioni dei Dioscuri 1984); Ipotesi di vita (Premio pubblicazione “Carducci – Pietrasanta”, Lacaita 1987); Nel sigillo della parola (Piovan 1991); Lettera a una pietra (Premio pubblicazione “Libero de Libero”, Confronto 1992); Il segno del gelo (Perosini 1997); Allegorie d’inverno (Manni 2003); Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012); Lo sguardo inverso (Lietocolle 2018); La soglia e l'incontro (Edizioni Eva 2018).
È presente in diverse antologie, tra cui: Poeti del Lazio, a cura di R. Pellecchia, Forum Quinta Generazione 1988; Melodie della terra, a cura di P. Perilli, Crocetti 1997; Farmaco d’Amore e Seno Amaro,Volturnia Edizioni, 2018-2019.
Interventi sulla sua poesia sono apparsi su testate giornalistiche, riviste e testi critici, quali: Frammenti di un discorso amoroso nella scrittura epistolare moderna, a cura di A. Dolfi, Bulzoni 1992; La parola ritrovata. Ultime tendenze della poesia italiana, a cura di M. I. Gaeta e G. Sica,  Marsilio 1995; G. Linguaglossa, Appunti critici, Edizioni Fabio Croce-Edizioni Scettro del Re 2002; La Ciociaria tra scrittori e cineasti, a cura di F. Zangrilli, Metauro 2004; Amerigo Iannacone, Nuove testimonianze. Interventi critici, Edizioni Eva, 2005; R. Pellecchia, Con le parole/Oltre le parole. Saggi di letteratura contemporanea, Metauro 2007; R. Scrivano, Letture e Lettori. Appunti di critica letteraria, Metauro 2010; R. Pellecchia, D'Annunzio musicus (ed altri saggi con appendice leopardiana), Sciascia 2018; Lettera in versi, Bomba Carta n. 69, numero dedicato, marzo 2019.

Nessun commento:

Posta un commento

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà