giovedì 23 gennaio 2025

Carlo di Francescantonio e la sua raccolta di "Oro argento e ferro"

Ritorna Carlo di Francescantonio a donarci e a coinvolgerci piacevolmente con la sua poesia arguta e schietta, dopo varie importanti tappe del suo notevole percorso poetico. Già in Anche l’ultimo argonauta se n’è andato, RPlibri 2021 (https://transitipoetici.blogspot.com/2021/10/carlo-di-francescantonio-lultimo.html) era evidente la sua grande cifra poetica nell’esprimere una sorta di disagio esistenziale in una società, come quella attuale, che va avanti su moduli omologati, stereotipi e conformismi. La sensibilità e l’attenzione di Carlo di Francescantonio nei confronti dei temi esistenziali, si ritrovano dunque in questa recente opera poetica, Oro argento e ferro, edita da Marco Saya e con postfazione dell’illustre Elio Pecora. Titolo emblematico, come è opportuno che sia per ogni raccolta poetica con la quale l’autore voglia subito richiamare l’attenzione del lettore sull’essenzialità del suo dire. Oro argento e ferro corrispondono alle tre sezioni del libro, le quali non hanno un titolo esplicativo, ma intuitivamente parzializzano tre fasi esistenziali diverse per contenuti, prospettive, strutture propositive: l’oro, per i ricordi prevalentemente legati all’infanzia e alla gioventù; l’argento, una seconda sezione centrale del libro costituita da un unico lungo corpo poetico, dove sembra apparire una sorta di maturata (argento) consapevolezza delle difficoltà del vivere; e il ferro, la durezza del ferro per l’ultima parte, quasi a concludere, con la constatazione di essere in un mondo freddo e inflessibile, precario dal punto di vista delle emozioni e delle speranze.
Oggi stiamo tutti bene? / Ma no, siamo tutti cadaveri che corrono. /Alla fine di noi il tempo ha perso solo quattro chili. / Io lo sapevo, ma non lo volevo sapere…” Così conclude Carlo di Francescantonio nella sua penultima poesia della raccolta, Stiamo tutti bene?, mettendo il classico dito nella classica piaga, e cioè stimolando ironicamente in noi lettori un certo senso di autocritica, dal momento che, presi come siamo quotidianamente dagli affanni e dagli impegni della vita, non ci accorgiamo del profondo senso dell’essere, della parte emotiva e sentimentale e della nostra scaturigine spirituale, mentre il tempo trascorre ineluttabile, e tutto lo sappiamo ma in realtà non vogliamo prenderne atto: per migliore se stessi, per ribadire un futuro, un orizzonte di speranza. E la poesia, come sicuramente questa di Carlo di Francescantonio, è ancora una volta denuncia e indicazione di una possibile rivalutazione e redenzione dell’uomo.


Polaroid I

 

tutti distanti in questi scatti. Padre, madre, una nonna

e altri bambini dei quali ricordo solo pezzi di nome.

Ognuno presente, come gli anni fissi nello sguardo.

E ci sono anche io. Sembro contento ma distaccato,

quasi un errore della Polaroid.

 

Compleanni in campagna, la frase per l’etichetta

 

 ***

 

La campagna

 

il pediatra consiglia il cambiamento d’aria.

È la prima volta che sono lontano da casa

in una campagna mai vista. Ho sei anni

è il 1982 e davanti ai miei occhi

c’è la casa del nonno.

Questo pomeriggio lui compie diciotto anni

di morte. Nella nuova esistenza da trapassato

è maggiorenne, eppure il regalo lo fa lui a me.

La casa è grande. Tre piani, stanze chiuse

con all’interno i troppi rumori del tempo.

Qui la vita comincia a parlare

 

 ***

 

I fantasmi

 

escono dal camino

i fantasmi. Li osservo

da una distanza di sicurezza

che per questo mondo

è solida radice.

Ma è storto il presente.

Essere qui

non permette pace o consolazione.

Attendo il privilegio

di svegliarmi fantasma.

E se Dio non esiste

sarà una fregatura

 

*** 

 

La mia generazione

 

ho visto il fallimento della mia generazione negli occhi

dei coetanei che ce l’hanno fatta. Gioie di famiglia

destinate alla gabbia l’uno per l’altra.

Generazione in anestesia con anima e corpo

in apnea nel web. Tecnologia veloce impone code

e attese per vedere risolte le patologie che crea.

Stress e strategie della tensione. Si deraglia dallo

psicologo. Ho visto figure professionali

generate negli ultimi anni dal complesso

dei nostri tempi e persone che appassiscono tra lavoro

e palestra. Sempre più spesso mi chiedo se questi mostri

amino davvero il lavoro i vestiti l’auto che guidano

le case che abitano chi si fottono chi hanno sposato

i figli il mutuo rinegoziato i troppi cani comprati.

Tutto obbligatorio o siamo in mezzo a questo per caso

e restiamo fermi, persone immobili a subire

l’angolo di vita che interpretiamo? E divento triste

perduto in mezzo a tanto disastro, anch’io bestia

nel circo a fare cose per le quali non mi sento nato

 

 ***

 

Andare per stanze

 

io non sono qui. Non un altro, come ha scritto

in una lettera Arturo. È solo un momento il fatto

che io sia corpo, che abbia queste sembianze. L’anima

non ha tracce di naftalina. Nemmeno voglia

di stare chiusa troppo a lungo. Ho sempre in sospeso

gli armadi marini e non è ancora arrivata l’estate.

Ma sai che il metro del tempo è il nostro vestito

più stretto. L’andare per stanze che

non ci rappresentano. L’eterna condizione dell’ospite

che va a marcire come i pesci sul banco. Sembra

che niente abbia un cielo ed è così che perdiamo

l’occasione del volo. Innalzarsi dovrebbe tuonare

come un comandamento. Invece scegliamo l’àncora,

le zavorre, il porto sicuro. E gli anni passano spietati.

Ci esauriscono, gli anni. È una tragedia che porta

alla pensione, dove più niente è reale. Ma a qualcuno

sembra che proprio da lì comincino i sogni

 

 

 ***

 

VI

 

la casa è del 1907. E sembra dirmi di andare

oltre qualcosa di definito dalle regole. Arrivano

nei campi ben al di là del confine del cimitero

i fuochi fatui. Così inizia il tentativo di dialogo

tra il vivo e i morti. Si attende un contatto e la sera

scende. Non sono qui per edificare qualcosa,

ogni impero tornerà a essere nano di polvere.

Sono qui per vedere un fantasma.

E che mi porti via, perché mi sento inadatto.

È così che vivo. Troppo asfalto e aiuole ben curate.

L’ipocrisia ha la forma dell’ordine.

La cultura è prodotta in modalità industriale.

A nessuno interessa più il tema

del vivo che parla col morto

 

Carlo di Francescantonio, Oro, argento e ferro. Marco Saya Edizioni, 2024. Postfazione di Elio Pecora

Carlo di Francescantonio (Santa Margherita Ligure, 1976) è autore, musicista e redattore. Ha collaborato con festival letterari e pubblicato romanzi e raccolte di poesia. Le sue ultime opere sono Memorabilia. Poesie 2000-2015 (ZONA contemporanea, 2016), Uomini in fiamme (Ensemble, 2018), scritto con Mirko Servetti, Anche l’ultimo argonauta se n’è andato (RPLibri, 2021) e Il carico umano (Terra d’ulivi, 2022), ancora con Servetti. È inoltre presente in antologie e riviste letterarie. Alle lettere affianca una produzione musicale di ricerca con il collettivo “Magazzino CdF” e il progetto solista “LulùDogFromSpain”. Per le Edizioni dello Straniero collabora con “L’Altro”, settimanale di approfondimento culturale, e co-dirige una collana di poesia.


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