martedì 24 giugno 2025

Monica Messa e la sua "pistola al Luna Park"

È una poesia immediata, quella di Monica Messa in Una pistola al Luna Park, recente sua raccolta edita da RPlibri e con puntuale introduzione critica di Antonio Bux. Una poesia immediata e rapida, capace di fluire da un’immagine all’altra, da un quadro all’altro, mantenendo integro il ritmo e l’armonia nonostante il dettato diretto e scarno. Forse la società moderna, convulsa nel suo procedere lungo la monotonia dei giorni tutti uguali, forse il pressapochismo e la superficialità del modus vivendi attuale, in cui è primaria la necessità del sopravvivere, e forse anche la diminuzione di valori forti e la mancanza o l’affievolimento delle speranze e dei sogni; forse tutto questo condiziona in qualche modo il sentire e il fare poesia oggi, e la stessa poesia veste i panni dell’urgenza, della necessità di dire tutto in fretta, subito, in un concentrato di emozioni e di immagini che il lettore attento dovrà poi decifrare e tradurre, per assaporarne e goderne appieno la luce di verità e di onestà descrittiva che ne emerge. Ma si sa, la poesia è stata sempre cartina al tornasole degli scenari storici, culturali ed emotivi delle varie situazioni sociali in cui vive, riassumendo e interpretando in modo artistico i lacerti, gli spaccati, gli sbalzi e gli echi umorali che in essa e da essa si manifestano. La vita, specialmente quella della società attuale, è verosimilmente un grande Lunapark, se vogliamo inteso amaramente, perché è un divertimento allegorico o addirittura alternativo, per coprire o almeno alleggerire le punte drammatiche e impegnative di un’esistenza precaria sotto tanti punti di vista, difficile da condurre e che offre poco spazio alla gioia e alla serenità.
Detto questo, anche la poesia di Monica Messa, in questa raccolta, segue intuitivamente il filone di spaesamento della società attuale, con descrizioni appropriate e ricche di metafore di una realtà contingente adusa ai salti repentini di umore a seconda del momento più o meno favorevole, più o meno corrispondente al proprio sentire. Una realtà, quella descritta da Monica Messa, che appare in contemporanea pur essendo composta da tasselli diversi e dislocati qui e là, verosimilmente scollegati ma comunque tenuti insieme da una poesia che, proprio in questo caso, è il collante necessario, è il punto di vista orizzontale e verticale in grado di dare un senso al tutto, fino all’orizzonte. La poesia di Monica Messa, oltre a ricostruire il puzzle di una società distaccata, ne è anche sottile denuncia, laddove con il suo canto stentoreo richiama alla nostra attenzione l’autenticità dell’esistenza, e di quei valori fortemente ad essa legati e che sovente trascuriamo. Umanità, senso della storia, la meraviglia per il nostro creato, dal più vicino paese (dove tanti vengono a suicidarsi – e qui è maestra l’autrice nell’esprimersi con un’amara ironia), al più lontano dei confini (“Troppo grande questo mondo / per le tue mani, bambina, / bastano appena appena per spingere / barchette di giornale”...). E dunque, a concludere come afferma Antonio Bux nella sua dotta introduzione, è un Lunapark il mondo descritto da Monica Messa, in cui è difficile non premere il grilletto, davanti al baraccone del tiro a segno: la poesia della nostra autrice può essere l’alternativa giusta, il modo artistico per generare e offrire consapevolezza di una realtà più profonda.
Seguiamola in questi brani tratti dalla sua raccolta.

Il gatto marmorizzato

dietro l’angolo sonnecchia.

Un cielo plumbago azzurro

ha inondato il lato sud.

“Occhipinti aglio e menta

al tavolo ventidue!”.

Muta la zultanite

sull’anello di Samir.

Tiri fuori

un piccolo seme dalla tasca.

Bustrofedico procedi. Sogni

idromele e mescalina.

 

 ***

 

Ai bordi della città diorama,

Samir beve vino

e ingoia bignè.

Sulla barba ha dodici stelle

di miglio perlato.

 

Il fumido chiasso della stazione

ti chiama.

Il cieco canta.

Le mosche banchettano

su ciarpame e mani.

 

Un pugno diretto

un coltello mancino,

cade la sigaretta.

Samir sorride, non capisce,

ha sangue fra le dita.

 

Solo ricordi

come fiorisce in fretta

una ferita.

 

*** 

 

Sedici anni il prossimo dicembre.

Distesa al buio nel granaio,

fuochi d’artificio

sulle palpebre schiacciate,

le scarpe di vernice nuove,

i talloni scorticati,

ridevi alle sue battute sconce.

– È vietato baciare la Regina!

sussurravi.

 

La Luna del Cervo era alta,

alta la tua scollatura,

il mascara calato.

 

Rosa di Spagna ti chiamava

tua madre, ma avevi un’anima

di pan bagnato, Geremina

e l’oro dei campi più non ti si addice.

 

Come magma la dose nelle vene.

Ti arrendesti sognando un lieto fine.

 

(Ho tagliato la testa

ai miei gelsomini

questa mattina,

è da un po’ di tempo

che non mi parlano più).

 

*** 

 

Trasformati, trasformati

in poesia

rabbia bastarda,

con la stessa potenza

prima che mi consumi,

prima che mi consumi.

 

Trasformati

ragazzina scalza

prendi ossigeno e brucia,

brucia.

 

 ***

 

Troppo grande questo mondo

per le tue mani, bambina,

bastano appena appena per spingere

barchette di giornale.

 

Un passo, dall’asfalto alla sabbia.

Sorridi in debito di luce,

capelli nuovi di chemio

e il libero arbitrio in una falange.

 

 ***

 

La carpa è nel castello.

Ripeto, la carpa è nel castello.

La turbata libertà degli incanti.

Il movimento.

Il motore poetico, la motrice.

La materia.

Oscura, vischiosa, radioattiva.

Trama dell’universo.

Il dolore pulsante e cieco.

Il gioco e la candela.

Il Greco. Alfa, beta, gamma.

La cassetta degli attrezzi.

Tutti gli attrezzi.

Un davanzale.

Quegli scalini a scendere.

Un inciampo, una battigia.

Una feritoia nel buio

muschio umido fluorescente.

E il mare che batte, batte.

Urla.

 

 ***

 

Una lapide stretta

sul ciglio della strada,

la foto di un ragazzo pelle e ossa,

tulipani di seta blu.

 

Dicono che

nei primi trenta secondi

dopo la morte

il cervello sogni.

 

Margherite e urina l’ultimo odore

e nel sogno il ricordo

di un amore piccolo piccolo.

 

*** 

 

Nel mio paese c’è un binario

e un passaggio a livello fra i ciliegi.

Vengono dalla città

e dai paesi limitrofi

a suicidarsi.

 

Perché un paese ci vuole,

un paese per morire da soli.


Brani tratti da:

Monica Messa, Una pistola al Luna Park, RPlibri, 2024. Introduzione di Antonio Bux.

Monica Messa è nata nel 1974 a Monopoli. Ha esordito nel 2018 con Poesiole, una raccolta di poesie su vari temi, scritte nell’arco di trent’anni. Ha poi pubblicato Seppie Ripiene – Poesie per poche lire (2018) e Il Logorio della vita moderna (2021). A settembre 2022 ha pubblicato la plaquette /imagine: l’universo è nato dall’immaginazione, dove accanto ad alcune poesie edite propone delle immagini generate mediante l’applicazione della IA Midjourney. Ha partecipato a diversi Festival. Alcune poesie sono state pubblicate in blog, riviste cartacee e online, in antologie nazionali e internazionali e nella rubrica “La Bottega della Poesia” di Repubblica – Bari. È stata nelle redazioni delle riviste di poesia “La Vallisa” e “La Confraternita Letteraria”. Alcune poesie sono state tradotte in albanese e in spagnolo. Cura, inoltre, un blog e una pagina Facebook.



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