Il gatto marmorizzato
dietro l’angolo sonnecchia.
Un cielo plumbago azzurro
ha inondato il lato sud.
“Occhipinti aglio e menta
al tavolo ventidue!”.
Muta la zultanite
sull’anello di Samir.
Tiri fuori
un piccolo seme dalla tasca.
Bustrofedico procedi. Sogni
idromele e mescalina.
Ai bordi della città diorama,
Samir beve vino
e ingoia bignè.
Sulla barba ha dodici stelle
di miglio perlato.
Il fumido chiasso della stazione
ti chiama.
Il cieco canta.
Le mosche banchettano
su ciarpame e mani.
Un pugno diretto
un coltello mancino,
cade la sigaretta.
Samir sorride, non capisce,
ha sangue fra le dita.
Solo ricordi
come fiorisce in fretta
una ferita.
Sedici anni il prossimo dicembre.
Distesa al buio nel granaio,
fuochi d’artificio
sulle palpebre schiacciate,
le scarpe di vernice nuove,
i talloni scorticati,
ridevi alle sue battute sconce.
– È vietato baciare la Regina!
sussurravi.
La Luna del Cervo era alta,
alta la tua scollatura,
il mascara calato.
Rosa di Spagna ti chiamava
tua madre, ma avevi un’anima
di pan bagnato, Geremina
e l’oro dei campi più non ti si addice.
Come magma la dose nelle vene.
Ti arrendesti sognando un lieto fine.
(Ho tagliato la testa
ai miei gelsomini
questa mattina,
è da un po’ di tempo
che non mi parlano più).
Trasformati, trasformati
in poesia
rabbia bastarda,
con la stessa potenza
prima che mi consumi,
prima che mi consumi.
Trasformati
ragazzina scalza
prendi ossigeno e brucia,
brucia.
Troppo grande questo mondo
per le tue mani, bambina,
bastano appena appena per spingere
barchette di giornale.
Un passo, dall’asfalto alla sabbia.
Sorridi in debito di luce,
capelli nuovi di chemio
e il libero arbitrio in una falange.
La carpa è nel castello.
Ripeto, la carpa è nel castello.
La turbata libertà degli incanti.
Il movimento.
Il motore poetico, la motrice.
La materia.
Oscura, vischiosa, radioattiva.
Trama dell’universo.
Il dolore pulsante e cieco.
Il gioco e la candela.
Il Greco. Alfa, beta, gamma.
La cassetta degli attrezzi.
Tutti gli attrezzi.
Un davanzale.
Quegli scalini a scendere.
Un inciampo, una battigia.
Una feritoia nel buio
muschio umido fluorescente.
E il mare che batte, batte.
Urla.
Una lapide stretta
sul ciglio della strada,
la foto di un ragazzo pelle e ossa,
tulipani di seta blu.
Dicono che
nei primi trenta secondi
dopo la morte
il cervello sogni.
Margherite e urina l’ultimo odore
e nel sogno il ricordo
di un amore piccolo piccolo.
Nel mio paese c’è un binario
e un passaggio a livello fra i ciliegi.
Vengono dalla città
e dai paesi limitrofi
a suicidarsi.
Perché un paese ci vuole,
un paese per morire da soli.
Brani tratti da:
Monica Messa, Una pistola al Luna Park, RPlibri, 2024. Introduzione di Antonio Bux.
Monica Messa è nata nel 1974 a Monopoli. Ha
esordito nel 2018 con Poesiole, una raccolta di poesie su vari temi, scritte
nell’arco di trent’anni. Ha poi pubblicato Seppie Ripiene – Poesie per poche
lire (2018) e Il Logorio della vita moderna (2021). A settembre 2022 ha
pubblicato la plaquette /imagine: l’universo è nato dall’immaginazione, dove
accanto ad alcune poesie edite propone delle immagini generate mediante
l’applicazione della IA Midjourney. Ha partecipato a diversi Festival. Alcune
poesie sono state pubblicate in blog, riviste cartacee e online, in antologie
nazionali e internazionali e nella rubrica “La Bottega della Poesia” di
Repubblica – Bari. È stata nelle redazioni delle riviste di poesia “La Vallisa”
e “La Confraternita Letteraria”. Alcune poesie sono state tradotte in albanese
e in spagnolo. Cura, inoltre, un blog e una pagina Facebook.
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