Credo che la qualità di un poeta si esprima anche attraverso la sua ricerca “silenziosa” di quell’inafferrabile e sovente indeterminabile senso di incompletezza che ci angustia e spesso ci mette a disagio, ben osservando e cercando di interpretare i segnali più o meno chiari che la realtà circostante ci rilascia. Lavorare in silenzio, in umiltà, consapevoli dei propri limiti, ma nonostante ciò, essere tenaci e perseverare nella ricerca, all’interno dei tessuti sfilacciati della società e di un mondo ormai, ahimé, in probabile declino sotto tutti gli aspetti.
Guglielmo Aprile è, come dicevo, uno di questi poeti, laddove per poeta intendo una persona creativa capace di ascoltare il “silenzio”, mi si lasci passare l’ossimoro, o perlomeno desumere dai rumori e dal garbuglio esterno, quel segreto, quel nocciolo di verità di ungarettiana memoria: quel qualcosa che nobiliti e che addirittura salvi l’uomo e l’umanità dalla stoltezza, dall’incapacità di amare e di vivere in armonia con tutti e con la natura stessa. Perciò, ad un certo punto, il poeta si rivolge a questa stessa natura, tradita e vilipesa specialmente in questi tempi così balordi. Quando gli alberi erano miei fratelli: il desiderio, direi utopico, di ogni uomo di pace e sano di mente e di cuore. Il desiderio di un creativo, di un artista, di un poeta.
La raccolta di cui qui parliamo si presenta in modo davvero omogeneo: il tema evidente è l’albero, visto e pensato in tutte le sue prospettive, dalla descrizione in quanto elemento importante della natura, al rapporto con l’uomo, alle sottili interconnessioni emozionali e sensazionali, ai legami affettivi tra questo ricco mondo vegetale e l’umanità stessa. Insomma, è un canto nei confronti di questa realtà verde che, in un modo o nell’altro, è una necessaria presenza nella nostra vita.
Guglielmo Aprile affronta dunque questa realtà verde, e ne parla con rispetto e ammirazione, sovente immedesimandosi in essa, fin quasi a pensare che, forse, tutta la raccolta possa essere, nel pensiero creativo e illuminato dell’autore, una grande metafora dell’umanità, laddove l’albero, visto come un antico fratello, non è altro che l’uomo, uomo che oggi ha perso o sta perdendo quella sua linfa, quel suo vigore, quella sua tenacia e nello stesso tempo quella sua “accoglienza”, quella sua bontà nei confronti del prossimo. Ma la speranza, che è anche una virtù del poeta, è sempre all’orizzonte. Così, come l’olivo magro e scheletrito, anche l’uomo potrà mantenere integra la sua umanità, soffrendo ma alzando le sue braccia preganti al cielo!
Un libro che, come dicevo, merita di essere letto e meditato, per i suoi versi convincenti e ben strutturati, fluidi come la linfa che eternamente fluisce negli alberi e che li rinnova, diretti e saldi come le radici che li tengono in essere.
Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro, affinché i lettori possano contribuire aggiungendo eventuali altri graditi commenti.
LA FORZA DELL’OLIVO (I)
Guardalo, questo olivo: così magro,
tenere le sue braccia, da fanciullo,
eppure salde, che sembrano tese
al cielo a tenerlo su, loro sole.
E le radici, con quale tenacia
avvinghiate alla roccia, che nemmeno
una piena del fiume, una burrasca
le disarcionerebbe dal terreno.
E il seme è duro, paziente, sopporta
gelate e siccità, con la fierezza
di un martire: lo sa, prima o poi il tempo
verrà di aprirsi, basta solo attendere.
Appare delicato, quasi fragile;
ma c’è una forza nascosta in ogni albero,
la stessa che nel grembo oscuro dorme
che genera i vulcani, i fortunali;
e una linfa indomabile attraversa
le sue vene e cavalca lungo il tronco:
quella che nutre anche i fiori d’argento
sparpagliati nei prati bui del cielo.
BIBBIA DI FOGLIE
Pagine di un poema le vostre, alberi,
che la pioggia con le sue molte dita
ha diritto a sfiorare, ma non l’uomo,
parole che solo il vento conosce
e sfogliando libri di foglie legge
e a memoria ripete e poi disperde,
rune scolpite nei tronchi, parabole
inaccesse se non alle sibille
che in pepli d’ali e piume profetizzano,
saghe di cui è depositario il bosco,
favole che potrebbero narrarci
i rami se la lingua ne intendessimo,
intrico delle labbra vegetali
che balbettano una rivelazione
appena udibile, su noi e sul cosmo:
rotoli sigillati, ancora intatti,
codici d’erba e pietra d’acque e nuvole,
papiri solo da aprire, ancestrali.
(Dalla sezione “Un albero mi ha parlato”)
CONFIDENZA CON GLI ALBERI
Sussurra il pioppo il suo segreto al cielo
e il cielo è chino su di lui in ascolto;
ogni creatura con le altre comunica
ma in un codice non intellegibile
dai nostri sensi, se non per pochi attimi
privilegiati, in cui ci fanno parte
gli alberi della loro confidenza
e in cui non più inerti e muti ma vivi
crediamo i loro volti, di persone
anche se non umane, e ci accorgiamo
che c’è fra loro un accordo, una sorta
di sintonia sottile anche se tacita,
una complicità ma sottintesa;
e quasi, mentre sembrano guardarci,
una condiscendenza intenerita
verso di noi, una pietà indulgente.
(Dalla sezione “La via degli Eremiti”)
IL VENTO È UNA PROMESSA
Esiliato in un bosco, è come se
mi fossi agli occhi del mondo nascosto
in un angolo della più lontana
galassia; nessuno sa in questo istante
dove io sia né quali echi sottili
dal folto delle balze si diffondano
e mi chiamino, verdi melodie
sull’arpa tesa tra opposti crinali;
narratori di favole, benevoli
gli alberi mi accompagnano mi indicano
un luogo a loro soli noto, in fondo
a un sentiero dove l’oblio elargisce
una fonte a chi attinga alle sue acque;
e il fiume sa a memoria ogni mio passo
e nel suono che fanno le sue labbra
contro la pietra colgo una sommessa
esortazione a spingermi più avanti;
e c’è nel vento una verde promessa.
(Dalla sezione “Orme nel bosco”)
PROFEZIA DELL’ACACIA
Acacia in fiore, insegnami a sperare!
Genitrice di ogni primavera
e del dio che dalle ombre fa ritorno,
hai per corona un intrico di rami
ispidi e duri, ma di nuovo è marzo
non più aculei la fronte ti trafiggono,
ma frecce bianche e dritte, che l’arciere
del cielo scocca in ogni direzione:
ma raggi della ruota d’oro e fuoco
del carro che attraversa l’equatore
e annuncia che un qualche risveglio è prossimo;
a miriadi i tuoi petali minuti
ne sono anche quest’anno testimoni.
(Dalla sezione “Teofanie silvestri”)
PERCHÉ PIÙ NON PARLATE?
Un delirio gentile mi fa credere
che ognuno di questi alberi (ne ignoro
anche il nome, se siano forse larici
oppure lecci, eppure riconosco
esseri a me fraterni in tutti loro),
abbiano al pari degli uomini un cuore
che sa che sono estasi e abbandono,
che sa provare turbamenti e incanto,
che conosce malinconia e letizia
in base a come l’ombra delle nuvole
di passaggio sopra le loro fronti
ora si allunga ed ora si ritira;
eppure non confidano né a noi
né al vento la loro intima vicenda,
il vento dalle lunghe dita tenere
che ne accarezza le ciocche ora crespe
ora fluenti, ne sfiora la guancia
perché come bambini si addormentino,
ma stanno assorti in un riserbo altero
che un qualche loro oracolo protegge
terribile o magnifico chissà,
troppo grande perché lo condividano
con chi quasi senza guardarli passa
distratto, sotto i portici e le volte
che i loro corpi fingono sull’argine.
(Dalla sezione “Il silenzio degli alberi”)
Guglielmo Aprile, Quando gli alberi erano miei fratelli,
Edizioni Tabula fati, 2024
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive ad Ischia, dove si è trasferito per lavoro. È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali Il dio che vaga col vento (Puntoacapo Editrice, 2008), Nessun mattino sarà mai l’ultimo (Zone, 2008), L’assedio di Famagosta (Lietocolle, 2015); Il talento dell’equi librista (Ladolfi, 2018); Elleboro (Terra d’ulivi, 2019); Il giardiniere cieco (Transeuropa, 2019); Falò di carnevale (Fara, opera 1ª classificata al concorso Narrapoetando 2021); Il sentiero del polline (Kanaga, opera 1ª classificata al premio “Arcore 2021); Thanatophobia (Progetto Cultura, opera 1ª classificata al premio “Mangiaparole” 2021); per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e Marino, oltre che sulla poesia del Novecento.
Carissimo Pino, quanti pensieri, e quanto ricchi e profondi, in questo tuo scritto! Hai tirato fuori dal libro il nocciolo, il suo significato più nobile e implicito. Non tutti i lettori hanno la tua finezza interpretativa e la tua capacità di empatia: queste doti può averle solo un poeta autentico, quale tu sei. La tua riflessione parte dalla raccolta, per toccare temi che riguardano chiunque scriva in versi: cosa sta diventando l'uomo? Che accade se ci allontaniamo dal nostro legame con la natura? In quale salvezza possiamo ancora confidare? Sono questi gli interrogativi di base della raccolta, ma grazie alla tua lettura sono diventati chiari e riconoscibili, anche a me stesso: hai fatto quindi ciò che una nota critica dovrebbe fare sempre, cioè andare a fondo di un testo ed estrapolarne motivazioni e finalità di fondo.
RispondiEliminaTi ringrazio ancora, veramente per quanto hai fatto per me, e a presto!
Guglielmo Aprile