lunedì 24 ottobre 2022

Nella cenere dei giochi, di Irene Sabetta

Bisognerebbe conoscere, se non proprio a fondo, almeno in buona parte, la persona-artista-poeta, per poter esprimere qualche giudizio o riflessione in merito alla sua attività creativa, senza correre il rischio di deviare eccessivamente da quanto l’autore stesso, più o meno inconsciamente, ha voluto intendere con la sua opera. La cosa è ancora più difficile quando si tratta di poesia, e di ottima poesia, come in questo caso, perché è proprio caratteristica della buona poesia quella di apparire profonda e multi-comunicativa già ad una prima lettura, e che necessita, in seguito, per entrarvi in sintonia, un secondo o forse anche ulteriori e più approfonditi passaggi, come del resto afferma giustamente anche Maria Benedetta Cerro nella sua dettagliata e aderentissima prefazione a questo libro.
Parliamo di Nella cenere dei giochi di Irene Sabetta, una raccolta complessa, molto articolata, che prende subito e trascina il lettore in un’atmosfera di forte impatto emotivo, per gli aspetti personali e sociali, per le memorie e soprattutto per le notevoli riflessioni di carattere umano e persino filosofiche ivi descritte, naturalmente con una poesia alta e densa di significati. D’altro canto, non basta soffermarsi ad una prima lettura, non sufficiente ad entrare nella profondità del pensiero dell’autrice, sebbene l’armonia e la fluidità schietta dei versi costituiscano già una valida e gradevole opera letteraria da leggere e da condividere.
Bisogna dunque penetrare nel cuore delle storie, tentare di percepirne quel grumo di essenzialità che ha generato tutto il progetto poetico di Irene Sabetta, cose che, e capita spesso nei buoni poeti, neanche l’autore ha chiare dentro di sé, ma che riesce ad esternare soltanto con la sua magistrale arte poetica, laddove il celato, l’appena accennato, il non detto, l’allusione, la metafora, urge a fior di verso, pronto ad essere colto dal lettore più attento.
E cosa ci vuol dire veramente Irene Sabetta con questa sua nuova prova letteraria?
Rispetto al lavoro precedente, Il mondo visto da vicino, Irene Sabetta ha aperto con questo suo ultimo libro, un orizzonte più drammatico e complesso, transitando da riflessioni ispirate da luoghi, paesaggi e nature, a quadri molto più profondi del proprio vissuto e della sua esperienza di vita in rapporto con il suo mondo e i suoi cari. Si tratta di un’evoluzione che racchiude comunque in sé la continuità di certe riflessioni che l’autrice propone, soprattutto a sé stessa, laddove si pone al centro di una storia che ha molto influenzato, e influenza, il suo pensiero e il suo comportamento. Storia di vita che, bene o male, tutti hanno avuto ed hanno, ma che solo la poesia può in qualche modo renderla interessante e condivisibile, e non parlo solo dal punto di vista emotivo, vibrante e coinvolgente come se fosse davvero la nostra storia, il nostro patire, il nostro gioire, le nostre scelte di vita!
Irene Sabetta è dimidiata tra la cenere della fatuità della vita e i giochi rosei di un’infanzia ingenua e innocente ma libera e autentica. Alla fine cenere e giochi si integrano, si confondono, diventano un unico pathos, un ribollire di memorie e di scelte dolorose ma necessarie. Come pure si confonde la figura dell’autrice con la figura di sua madre, in una narrazione poetica che attualizza la memoria, fa rivivere la madre in sé: “Non guardarmi / che rimesto nella cenere dei giochi /per trovare un po’ d’ombretto”.
È dunque un dettagliato percorso commemorativo ma anche di rinascita, di ripresa della propria dignità e della propria libertà, dopo le amarezze e le angherie subite dai genitori e rivissute in prima persona dall’autrice, fatte proprie, come pietra miliare per una nuova costruzione di sé, più forte e più schietta, più determinata, ma anche più sacra, tanto da rimanere ancora “scalza” in quella stanza della morte e dell’abbandono, fulcro paradossalmente vitale della sua nuova vita, del suo nuovo risorgere come araba fenice dalla cenere dei giochi, come giustamente afferma anche Maria Benedetta Cerro nella prefazione, e che si manifesta in modo particolare in quel capolavoro di brano in prosa che è Iris, al centro, nel cuore del progetto poetico del libro.

Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal libro.


Riscatteremo i nostri anni dell’università

per non cedere il passo agli acciacchi.

Imporrò al mio corpo

una dieta ferrea.

Benderò gli animali che ho in casa

e coprirò gli specchi e le pareti riflettenti.

Non conterò più i mesi

che mi separano dalle mie figlie.

Sento qualcosa che si assottiglia

come l’elastico di una fionda tesa,

un frutto dopo che hai tolto la buccia,

le caviglie di mia madre,

un limone spremuto.

 

 

***

 

Ordalia

 

T’accendi d’ormoni a centinaia

la fiamma t’attraversa

di rabbia e d’abbandono.

Eravamo la regina eravamo

la mamma e la figlia

io ero il ferito tu il cane l’ambulanza

io ero il prato tu la mucca la fontana.

Facciamo che eravamo facciamo

la merenda il compleanno il girotondo…

cascò il mondo.

Senza mano, non mi dare più la mano,

non toccarmi mentre supero il recinto,

non guardarmi

che rimesto nella cenere dei giochi

per trovare un po’ d’ombretto.

Alla larga, l’onda lunga dell’istante

estendibile all’eterno

si rapprende in un ruvido bozzolo intricato

un gomitolo di fil di ferro

un grumo di sangue cruento

successione di scossoni

non più fiume

ciclo

non più flusso.

 

 

***


Brucia tutto

 

all’altra Irene

 

Ti ho vista

ergerti sulla croce

con i chiodi di traverso.

Dormire a testa in giù

nell’assemblea degli esperti

ammutoliti tra le tele

che tu avevi dipinto con gli sputi.

Maestra dell’annullamento.

Regina di tutte le fate

morte di fame nella distilleria.

La casa in piena curva

metteva a repentaglio la vita e la salute

dei tuoi sogni futuri,

troppi da mettere in riga.

E ogni mattina

reinventavi il padre

e la madre

e camminavi accorta

lungo la striscia d’asfalto

con i piedi nell’acqua

del fossato erboso.

Benedivi e bruciavi,

a giorni alterni,

numeri, teoremi e costellazioni

e con i resti

giocavi a costruire

torri celesti

dai ripiani

di piombo e fiori finti

per non riflettere il passato e l’orrore del passato.

Fatica straziante

delle ore nelle braccia conserte,

mitigata dal canto intermittente

delle rane

tra le canne intorno al lago,

tentazione permanente

di frescura e calma piatta.

La zattera al posto del ponte,

l’amore al posto dell’inutile,

l’arte al posto del cibo

erano traccia della tua

malinconica rivoluzione.

Ora che sei solco e sei aratro,

fiamma e plastica arsa,

tendimi una mano

e tirami gù con te

nel nero fluido e brillante

di feccia e diamanti

e insegnami l’onestà

del sonno e della cenere.

 

***

 

Me

 

Astraggo dall’io

per essere me stessa.

Myself. Sono mia

ma non mi voglio.

Identità di carta velina.

Non fate caso alla foto.

È uscita male.

Tutti noi siamo usciti male,

perfetti come pensiamo di essere,

imperfetti come siamo.

Colpa di Amleto!

Colpa del fotografo,

dell’anima perplessa,

della smorfia di dolore

sul lettino in sala parto.

Colpa della formula dimenticata,

di questa cosa che deve essere

continuata…

 

***

 

Mattina di novembre

 

La promessa autunnale

di frutti fuori stagione

al posto della pioggia.

Il fiore nel vaso sul balcone

disegna angoli inespressi

del suo apparire.

Le conversazioni al telefono

della sera prima

a fermentare sulla tavola con il vino.

 

Ho visto una poesia

alzarsi e camminare

libera e scalza attraverso i muti.

Tra poco rinascerò anche io.

 

 

***

 

All’immaginazione preventiva

 

Se camminassi sulle parole

la tua poesia reggerebbe il peso.

Potrei usarla

per raschiare il fondo d’acciaio

o per piantare

chiodi alle pareti.

Potrei costruire città

o giardini accoglienti

impastando i tuoi versi

a calce viva.

Finalmente parole utili.

Se costruissi una scala d’avverbi

potrei salire fino all’ultimo gradino

e seguire la curva di luce.

Vedrei lontano

gli alberi cadere nella foresta

e saprei cosa fare.

Domani sarebbe adesso.

 

Irene Sabetta, Nella cenere dei giochi, La Vita Felice, 2022; prefazione di Maria Benedetta Cerro

Irene Sabetta vive ad Alatri, dove insegna lingua e letteratura inglese al liceo. Suoi testi sono presenti su diversi blog, in antologie curate da vari editori, in poemi collettivi e riviste letterarie online e cartacee (tra cui nel volume VII dell’Antologia Poetica Virtuale “Transiti Poetici” curata da Giuseppe Vetromile). Nel 2018 la casa editrice LietoColle ha scelto alcune sue poesie per l’antologia iPoet. Nello stesso anno è uscita, per le Edizioni EscaMontage, la plaquette Inconcludendo. Nel 2020 ha pubblicato la raccolta Il mondo visto da vicino, Edizioni Il Convivio, con la prefazione di Beppe Sebaste.
Collabora con la rivista periodica “Formafluens – International Literary Magazine”, diretta da Tiziana Colusso, e con Poetanza Web Radio.
Partecipa a reading e maratone poetiche.


Il libro è stato presentato all'incontro del 22 ottobre 2022 della Rassegna "Poesia è... Rinascenza", curata e condotta da Melania Mollo e Giuseppe Vetromile. Pollena Trocchia (Napoli)

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