"Le ombre in trincea sotto nubi / dalle mutevoli forme:
le guardano / a tratti, quale presagio di quel che accade / a terra". Sono
i primi versi della lirica con la quale Marzia Spinelli ci invita a seguirla
nel suo mondo poetico fatto di "trincee di nuvole e d'ombre", come ci
suggerisce il titolo stesso di questo suo gradevolissimo libro, edito da Marco
Saya, uno dei pochi editori che pone molta cura e attenzione a lavori poetici
di indiscussa qualità letteraria.
Trincee di nuvole e d'ombre vuol dunque essere un viaggio,
un itinerario ben progettato e ispirato, attraverso mondi che apparentemente
sono separati, divisi da un diaframma che non è del tutto definito e neanche
fisicamente individuabile: sono trincee, solchi protettivi che l'uomo si
costruisce a sua misura, quasi per ricoverarsi e per difendersi dalle grandezze
smisurate, direi infinite, che lo sovrastano inducendogli timore, ansia,
sperdimento, perché al di là del conosciuto, del razionale: sopra le trincee le
nubi dalle mutevoli forme, e tutti lì in attesa di qualcosa che si compia,
attenti, guardinghi, tremando per quel che potrà accadere a terra, per quel che
potrà precipitare a terra e nei ricoveri dell'uomo.
La trincea è dunque un po' come il muretto invalicabile del
primo Montale: "E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste
meraviglia / com'è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una
muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". O se vogliamo alla
"siepe" del Leopardi, mirando oltre la quale "il cor si
spaura".
Ma le "trincee" di Marzia Spinelli non sono dei
luoghi completamente chiusi, o per meglio dire, metaforicamente, degli stati
d'animo eccessivamente e negativamente ottenebrati e riavvolti in sé,
rassegnati ad un isolamento unicamente introspettivo, un dichiararsi fuori dai
giochi: sovente la ridondanza dei fatti esterni a noi, il loro susseguirsi
repentino che non lascia il tempo per "metabolizzarli" nel modo più
sereno e consapevole possibile, ci lascia amareggiati e avviliti, ci induce a
quel ripiegamento in noi stessi per non "vedere" e non
"sentire" le enormità, nel bene e nel male, del mondo di fuori, il
mondo che sta al di là del muretto, della siepe, della trincea che ci siamo
costruiti. Vediamo le "nuvole", le "ombre", al di là,
sperando che passino, che il "presagio" negativo si annulli sulla
nostra terra, nella nostra anima.
E dunque c'è, nelle poesie di Marzia Spinelli, questo
spiraglio, questa luce, questa speranza. Una trincea non chiusa al di sopra completamente,
come dicevamo, ma aperta verso il cielo, verso i colori e verso il sentimento:
"Mi sovrasta un pulviscolo rosa / cui potrei un istante abituarmi, /
cedere come cosa / al frantume, arrendermi / al raggio nuovo, a una benefica
polvere / Potrei (…) rinnegarli tutti / i fantasmi".
Cosa occorre ancora per far sì che le trincee diventino in
qualche modo officine, laboratori di vita e di esperienze, crogioli per nuove
ascese verticali in direzione del libero cielo e delle libere nubi? Qui il
progetto di Marzia Spinelli si illumina ancora di più, acquista un significato
quasi escatologico, una densità e una proprietà comunicativa portentose: è la
parola, la parola poetica degli stessi Poeti, che lavorando nel "chiuso
delle trincee quotidiane", costruiscono il senso e l'essenza delle cose
del mondo e dell'universo intero, umanità compresa. "La Poesia è un vento,
/ si spande sulla terra e la solleva. / Mette radici passo a passo. / E tra
peso e aria / fingiamo l'eternità." Ecco il senso, la speranza, l'illusione
costruttiva, il sogno: tra peso (cioè materialità e fisicità) e aria (cioè
levità, libertà, apertura all'infinito…) noi fingiamo l'eternità, cioè ci
ricostruiamo il sogno e la speranza, il distacco verso il trascendente, ci
rimettiamo in gioco.
Ottimo e singolare progetto poetico, questo di Marzia
Spinelli in "Trincea di nuvole e d'ombre", un libro che va letto e
meditato per il suo spessore, per il suo contenuto proposto con uno stile
fluido, personalissimo e gradevole. Come sempre, gli amici lettori che ci
seguono, se lo vorranno, potranno esprimere ulteriori interessanti commenti in
proposito.
Riportiamo quindi qui di seguito alcuni brani tratti dal
libro, che offriranno lo spunto per eventuali altre gradite riflessioni al fine
di ampliare le considerazioni su questa interessante raccolta poetica di Marzia
Spinelli.
Le ombre in trincea sotto nubi
dalle mutevoli forme: le guardano
a tratti, quale presagio di quel che accade
a terra
dove scorrono fiumi
e tutto sgorga dall'acqua,
dove colano scorie
ingannevoli anche del cielo.
Dove tutto stagna. Zampilla.
E passa.
Una luce nuova
Scostati, dico all'ombra
in ascolto.
Muto e ancorato il suo calco,
vuota la sagoma che vorrei
riempire. Spostarla, peso leggero,
darle vista dei fiori
di pesco già sbocciati,
fanno strada alla luce agognata.
Mi sovrasta un pulviscolo rosa
cui potrei un istante abituarmi,
cedere come cosa
al frantume, arrendermi
al raggio nuovo, a una benefica polvere.
Potrei vincere cancellandomi
a lei con me. Rinnegarli tutti
i fantasmi.
Tracimiamo oggetti, carezze,
vènti che crediamo di definire
alla fine, penseremo
di aver potuto farne a meno.
Da Alpha ad Omega
tutto diviene,
s'abbraccia un momento
e già perduto.
Il dolore non è l'atomo
in caduta, ma il secondo
che precede,
l'ora d'indicibile chiarezza.
Passato il temporale
Vaneggiano le nuvole passato il temporale.
Non sanno dove andare, come noi
dopo tempeste che smantellano.
Le guardano i bambini, disegnando
elfi, giganti, orsi, castelli…
non pensano a quando saranno vecchi.
Assorbono la luce della nebulosa che evapora,
quasi sapessero
quanto sarà provvido l'arcobaleno.
Metto in piedi la giornata
così come viene, come mettere in moto
l'automobile o innestare nel corpo
qualche vitamina. Delle nuvole allineo
il peso, l'improbabile sorriso,
la smorfia un po' beffarda, specchiata.
Mi alleno alla regola
della sveglia, al fine settimana,
al culto delle pulizie. Mi abituo
al polline, alla goccia che cola.
Mi premuro alla pioggia. All'odore
crudele che promette Primavera.
***
Passa l'Angelo
Vedi, ogni trincea si fa occasione.
Non ci abbandona l'Angelo
evocato ogni mattina per timore:
sa di essere consolazione
e non chiede altro. Lo rinnego
quando troppi sono i morti,
troppo ingiuste le perdite.
Sembra svanisca per qualche tempo,
irreperibile e dissolto riappare
quando ormai lo credo nell'oblio
lontano, a ingaggiare una lotta bizzarra,
guerra e pace solo nostra:
ci spendiamo in promesse,
cediamo, concordi assestiamo.
Così la trincea si fa più dolce.
E di nuovo aspra. Lui resiste
con luce insolita, aura bislacca…
Invece è più sensata, verosimile
la piuma di pace.
***
La Poesia è un vento,
si spande sulla terra e la solleva.
Mette radici passo a passo.
E tra peso e aria
fingiamo l'eternità.
Prima di uccidere i Poeti
dovranno scalfire le stelle
il suolo e l'aere dei Tempi
i bagliori e le rivoluzioni
e pestare le parole
i versi morti
fatti di luce e di sensi
e tutti i Miti che hanno nove vite
l'insieme di atomi e neutrini
che hanno fatto epoca.
Marzia Spinelli, "Tricea di nuvole e d'ombre", Marco Saya Edizioni, 2019; prefazione di Plinio Perilli.
Marzia Spinelli è nata a Roma, dove vive e lavora. È
stata tra i fondatori e redattori della rivista Lìnfera, e nella redazione della rivista Fiori del male. Ha collaborato ad altre riviste di arte e
letteratura, tra cui La botetga del
restauro, Omero, Frontiera, supplemento a Gli immediati dintorni. È
presente in varie antologie e suoi testi poetici sono stati commentati su
riviste di critica quali Puntoacapo, Civiltà cattolica, Noi donne;
alcuni sono stati tradotti e pubblicati nella rivista romena Conta. Ha pubblicato: Fare e dsfare, con nota introduttiva di
Guido Oldani (Lietocolle, 2009); Nelle
tue stanze, prefazione di Alberto Toni (Progetto cultura 2003, 2012);
l'e-book Nel cielo dell'altro un po' più
ampio, prefazione di Mario Melendez, traduzione di Emilio Coco (a cura di La Recherche, Poesia condivisa 2.0,
2014).
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