Così afferma Anna Maria Curci nella sua nota introduttiva a “Opera incerta”, la sua recente raccolta poetica edita da L’Arcolaio”. Un titolo davvero singolare, scelto dalla nostra Autrice per riferirsi ad una tecnica di costruzione usata anticamente, che si differenziava da quella usuale: usare cioè pietre ad “embrice” anziché a “reticolato” (Vitruvio, de architectura, cit.).
Un’opera poetica complessa composta da più parti disuguali fra di loro? È questo l’intento della nostra Autrice nel proporci il suo mondo e le sue riflessioni in questa raccolta? In effetti ci sono undici anni (dal 2008 al 2019) di produzione poetica, nel libro, come afferma lei stessa nella nota, e, si sa, il tempo influisce sulle tematiche e persino sugli stili, sui modi di vedere le cose, sui giudizi e sulle prospettive: sono tutte peculiarità dissimili, di peso e importanza diverse, queste, che hanno avuto un proprio vissuto, una propria ragion d’essere, collocate e inquadrate nel proprio ambito temporale ed emotivo, legato all’esperienza in evoluzione, ai fatti interni ed esterni vissuti dall’autrice e che hanno determinato e prodotto quel volume, quel mondo poetico. Mettere ora tutto insieme, come le pietre disuguali una sull’altra, una incastrata nell’altra, integrando lacerti e intercapedini di vuoto silenzioso e informale?... Certo, è un’impresa ardua, complicata. Ma la bravura della nostra autrice, la sua grande esperienza, la sua padronanza assoluta della materia poetica, fanno sì che la costruzione dell’edificio poetico diventi ancora più solida delle singole parti – embrici.
Ecco dunque che l’Opera incerta di Anna Maria Curci si rivela un progetto poetico dotato di una interna stabilità ed armonia, tenuto insieme ben saldamente dalla molteplicità tematica e dalla modalità espositiva che è propria dell’Autrice. Sono infatti quattro le sezioni in cui è suddivisa la raccolta: “Barcaiola”, “Opera incerta”, “Mnemosyne” e “Di tanto azzurro”; ognuna di queste costituisce un particolare complemento tematico in cui la Curci sviluppa poeticamente il suo pensiero filosofico sul senso dell’esistenza, sull’attraversare metaforici fiumi per raggiungere nuove sponde, sulla sua esperienza di vita e di ricordi in altre storie e date fatidiche. Un itinerario complesso, enunciato con uno stile poetico accurato e colto, come ribadisce anche Francesca Del Moro nella sua attenta e dettagliata postfazione.
Proponiamo qui di seguito alcuni testi tratti dal libro.
Barcaiola
Siedi sull’altra riva e getti l’amo.Io traghetto.
Nella scalmiera remo
bisbiglia con cadenza.
Lei, la tua mobile sostanza, smesse
le vesti torbide, mi accoglie.
Quando riprende il volo la speranza,
cocciutamente sai che non è fuga.
(dalla sezione “Barcaiola”)
Lo struggimento mi lascio alle spalle,
percorro la mia strada nella storia.
La lama che mi pende sulla testa
non separa colpevoli e innocenti,
l’alba del giorno una sollevazione
contro speranze dalla voce querula.
Tutto è già stato detto? Non lo so.
Più degli omissis temo le omissioni,
le sommosse mancate contro l’inanità.
(dalla sezione “Opera incerta”)
Kit di sopravvivenza
dosi massicce di sopportazione
sordina a false rivendicazioni
sguardo rivolto al cielo o a un filo d’erba
un libro spalancato o uno spartito
(dalla sezione “Opera incerta”)
EUR (eucalipto, un ricordo)
Additando quell’albero, sorpreso,
ti sei rassicurato sul suo nome.
Di contrabbando, dietro a un fast-food,
scorza e foglie incuranti del fritto
schiudevano sornione il ricordo in agguato,
l’eucalipto piantato da mio padre
per tutto il condominio. Fu una festa
con il mare nel naso
e noi bambini, fieri.
(Dalla sezione “Mnemosyne”)
Mi hai raccontato tante volte, madre,
del giorno e delle corse
dalla casa al rifugio,
al tuo paese, tra i monti,
era già freddo.
Non avevi prescienza e nel tuo cuore
di ragazza, che serbi,
chissà cosa balzava col terrore.
Per questo oggi ti chiedo
e risposta m’è dono
il cuore del pensiero
e nel secondo idioma
che ho imparato da te
lo chiamo donna, “pensée”.
Non so se sono ancora la bambina
che facevi volare nel mattino
nitido e freddo al sole di dicembre.
La casa, poi il mio asilo e la tua scuola
dove da trafelata ti mutavi,
lingua-madre diventava il francese.
So che di tanto azzurro mi rimane
un fiocco, il cielo in testa e l’occhio desto,
pegno d’incanto, balzo, testimone.
Anna Maria Curci, Opera incerta, Casa Editrice L’Arcolaio,
Forlimpopoli, 2020; postfazione di Francesca Del Moro.
Nata a Roma nel 1960, Anna Maria Curci insegna lingua e cultura tedesca in un liceo statale. È nella redazione della rivista “Periferie”, diretta da Vincenzo Luciani e Manuel Cohen; per il sito “Ticonzero” di PierLuigi Albini ha ideato e cura la rubrica “Il cielo indiviso”. Ha tradotto, tra l’altro, poesie di Lutz Seiler (La domenica pensavo a Dio/Sonntags dachte ich an Gott, Del Vecchio 2012), di Hilde Domin (Il coltello che ricorda, Del Vecchio 2016) e i romanzi Johanna (Del Vecchio 2014) e Pigafetta (Del Vecchio, di prossima pubblicazione) di Felicitas Hoppe.
Ha
pubblicato i volumi di poesia Inciampi e
marcapiano (LietoColle 2011), Nuove
nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015), Nei giorni per versi (Arcipelago itaca 2019), Opera incerta (L’arcolaio 2020). Con la raccolta inedita Quando tace il latrato ha ricevuto la
menzione speciale come finalista nella VI edizione (2020) del Premio nazionale
editoriale “Arcipelago itaca”.
Insieme a
Fabio Michieli è direttore, caporedattore ed editore del lit-blog “Poetarum
Silva”.
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