Proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo libro “Gli
idoli sbagliati”, invitando i nostri lettori ad aggiungere eventuali graditi
commenti e riflessioni in merito.
Rododendro (Per Antonia Pozzi)
Si può decidereun giorno
di essere neve
o collina,
rododendro impaziente
nelle vene,
parola
parte limpida
e scoscesa d’amore.
I poeti come te
incarnano,
mietono il cielo,
transitano come nomadi
sulle sabbie, in silenzio,
verso le città dell’infinito.
***
Un cucchiaio per la tosse
comperata al mercato.
Avanzo della predestinazione
e dell’innocenza, da secoli.
Dicono
si scriva
quando gli Dei sbattono la porta,
o Narciso
rompe uno specchio.
Sono devoto all’irreparabile
al rifugio del sogno
al demone rovescio della vita.
***
Breve anatomia per poeti
Conosco così poco del mio corpo,
la schiena
straniera al peso
disabitata da ogni sguardo
la pianta del piede
atlante di terra
le conchiglie dei gomiti
la nuca-gheriglio
spirale dell’inferno
le tempie
che siano tempio del tempo
il tallone
dimentica di essere quercia
il chiostro
delle mani.
Suppongo l’esistenza di una rotula
mitrale
che si diverte a farmi da fermacarte.
***
Stonehenge d’acqua
precipita Platone
portalettere degli Atlantidei.
In una notte
il mare ha spalancato la bocca.
Isola
o plesso solare
alchemica misura celeste
geografia sacra
utopia dello spirito.
Nei giardini delle virtù,
profezie
imbrigliano i secoli
e gli uomini,
a monito
della propria autodistruzione
***
Fotosintesi notturna (II) - Reincarnazione
Ci sarà un riapprocciarsi
uno strabuzzare degli occhi,
come il seme impaziente che scardina la terra
farà trigono dei contorni incerti
dello stare in piedi di una foglia.
E mi vedo come parola
appesa, eremita,
nella didascalia di un erbario
torre, imperatrice
nella chimica degli oggetti
che chiedono infantili un’ombra.
Sarà navigazione nuovamente priva di colpe,
immacolata attesa del lampo
che poi tutto silenzia con una pioggia.
Anima
con non più indirizzo,
mano che si lascia sedurre ancora
dalle distanze ipogee di un sogno.
***
…Sono corrente che manca d’inverno
sono ruota finita in un fosso
sono quello che tende la mano
al semaforo rosso...
(G. Testa “Tela di ragno” da “Da questa parte del mare”)
Ci sono rose
che galleggiano sul naviglio
sono rose di colore,
rose del Bangladesh,
i fiori del rifiuto
quelli che ai tavoli del ristorante
con un gesto di diniego
vengono allontanati
spesso
senza dire una parola.
Semplicemente
un immigrato
per gioco, per noia
per ipotesi d’odio
è stato gettato in acqua
da due esseri
di probabile buona famiglia
nell’indifferenza della movida milanese.
Ripescato
da mani che non spingono,
in caserma, poi
lui non parla,
dice nulla,
forse minimizza sull’accaduto.
Non denuncia.
Non dirà nemmeno
“Ho avuto paura di morire”.
È una storia di paese
come tante,
in quest’Italia senza etica di vergogna da sempre,
in quest’Italia di Pepponi e Don Camilli
alla rovescia.
Alberto Barina è nato a Dolo (Ve) e scrive versi sin dall’età di sedici anni. Ha partecipato , nel corso della sua carriera a numerosi concorsi di poesia ed ha ricevuto molti premi.
Ha ricevuto il suo primo riconoscimento letterario nel 1997, a cui ne sono seguiti altri, tra i quali il premio “David di Michelangelo” nel 2002 a Fiuggi, un secondo premio al concorso “De Palchi – Raiziss” di Verona, nel 2004, uno dei premi più importanti in Italia dedicati alla scrittura poetica “under 35”, presieduto dal poeta Franco Loi.
E’ stato finalista nel 2009 al concorso “Coopforwords 2009” e nel 2010 finalista all’ottava edizione del “Premio nazionale Città di Forlì”.
Nel 2013 ha ricevuto il premio speciale “Provincia di Venezia” assegnato dalla giuria del premio artistico “Stella & Norbiato” di Spinea (VE).
Nel 2014 risulta tra i sette finalisti della prima edizione del premio internazionale “Altino”, promosso dalla rivista letteraria “7lune” e dal museo archeologico nazionale di Altino (VE).
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