È perciò quasi ovvio aspettarsi che anche il mondo dell’arte, della letteratura e quindi anche della poesia, possa adeguarsi a questo mondo così vivace, veloce, sbrigativo e di conseguenza forse (ma toglierei il forse) troppo superficiale, in quanto viene a mancare l’attenzione profonda, il tempo per riflettere ulteriormente sulle cose e sui problemi della vita.
Ma c’è comunque una particolarità positiva in questa rapida evoluzione della società tecnologizzata, ed è che l’arte, e in particolare la poesia, in un certo qual modo “cavalca la tigre”, facendo di necessità virtù e quindi creando nuove possibilità espressive, utilizzando i termini e i modi di dire di questa nuova società. D’altra parte, la poesia ha sempre contribuito nei secoli, al di là dell’intrinseca qualità e importanza del contenuto, all’evoluzione della lingua, introducendo termini nuovi e nuovi significati.
Qui sembra che tale operazione di accostamento al mondo tecnologico sia stata opportuna e senz’altro valida: questa raccolta di dodici poesie della poetessa romana Giulia Catricalà, entrano molto bene nel quadro di una nuova modalità espressiva che utilizza termini mutuati dal linguaggio informatico, ferma restando però la buona architettura dei brani poetici, non privi di ritmo, di armonia interiore e soprattutto di significanze efficaci.
Ma c’è qualcosa di più, nelle poesie di Giulia, oltre alla costruzione dei testi basati su tantissimi termini informatici. Nel sottofondo, individuando bene i contenuti, si legge una velata ironia, un raffigurare l’odierna società dedita essenzialmente ad un rapido consumismo e ad un superficialismo di facciata, ad una omologazione del modus vivendi, ad un comportamento generalmente stereotipato e ripetitivo. C’è quasi una malinconia, in molti versi della nostra autrice, anzi una nostalgia, per una vita e per un senso della vita più prossimo alla naturalità delle cose e soprattutto degli affetti e dei sentimenti. Un desiderio di un passato non tecnologico ma più sano e più schietto, come di quando “la nonna svaniva tra i fornelli assorta”. D'altra parte, è lo stesso titolo della breve raccolta, Reboot del sentire, a suggerire un desiderio di "azzeramento" (reboot, riavvolgimento) per ritornare ai vecchi valori. Ora, invece, “non c’è molto da fare se non vedersi con gli amici, sognando in caratteri Helvetica e bere in un logoro bar di Trastevere, per distogliersi dal mondo reale!”.
La poesia di Giulia Catricalà vuole qui, forse, essere denuncia, volendo mostrare come il nuovo mondo tecnologico possa, sì, darci dei benefici (materiali?), ma che in fin dei conti è solo un freddo, piatto e a volte triste sopravvivere, avaro di buoni sentimenti e di emozioni.
I
C’è sempre tanto da dire,
ma il codice è derubricato
al silenzio.
La parte amputata del verso
zampetta sui nostri volti
come una festosa fragilità.
Mi mancano
i pennacchi ariosi della metrica
il grip del ritmo
la brulicante calca del parlare.
Anche oggi
con gli occhi fissi sullo smartphone
cerco il senso
succhio una radice
dallo schermo.
II
Da qualche anno a questa parte
si sogna in Helvetica:
font neutro, sfondo albino
il galoppo dei bit.
Non c’è molto da fare
se non vedersi con gli amici
e berci sopra, magari a Trastevere
nella viva cavità di un locale
acciottolato, ronzante
poggiati su pareti logore
parliamo di questo tilt della cognizione
– luci soffuse, shottino in mano –
diamo forma al concetto
che il nostro sogno rientra in qualche spettro
del sentire straniato, del mezzo inquinato.
Così, davanti al banco
fra un sorso e l’altro
guardiamo il bicchiere piccolo, tondo
ed ecco – nel riflesso del cicchetto –
l’annunciazione:
l’alcol come l’onirico
sposta il razionale del mondo
è veicolo distillato
swipe da centellinare.
V
Connessioni, sincronie,
reel di paradisi tropicali.
Mia nonna svanisce tra i fornelli
assorta – col piglio fermo
di chi conosce un mestiere antico –
cosparge pangrattato
su teglie d’argento
e pomodori spaccati a mano.
All’improvviso, controluce,
uno sfolgorìo di briciole
mi abbaglia la vista.
La cerco – lo sguardo alienato:
è un glitch in grembiule,
un frame di un’altra epoca.
***
Brani tratti da
Giulia Catricalà, Reboot del sentire, Fallone Editore, 2025
Giulia Catricalà è nata a Roma nel 1990. Ha studiato Lettere Moderne alla Sapienza e ha conseguito un Master in Giornalismo alla Luiss. I suoi versi sono stati pubblicati su riviste di rilievo e tradotti in altre lingue. Cura una rubrica per il "Tempo" e collabora con giornali e magazine. Ha esordito nel 2023 con La rosa sbagliata, Fallone Editore, con prefazione di Mario Fresa.


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