giovedì 31 marzo 2022

"Il corpo del padre", di Stefania di Lino

Se io ti dico torna, papà, torna! / tu torni dalla tua bambina?”. Sono i versi conclusivi di un’opera poetica straordinariamente bella e profonda, una vera “gemma”, e non a caso per questo fa parte della prestigiosa Collana di poesia “le gemme” curata da Cinzia Marulli Ramadori per le Edizioni Progetto Cultura. Stiamo parlando del volumetto Il corpo del padre, sottotitolo 24 febbraio 2017, di Stefania Di Lino, poetessa romana di grande talento e nota in ambito nazionale.
Mi piace partire da quei versi finali della raccolta, perché li ritengo essenziali e determinanti per ricostruire, almeno in parte, e brevemente, il percorso poetico della nostra autrice in questa sua recente opera. Queste parole, infatti, sottintendono una delicata apertura alla speranza, alla speranza che ci sia una sorta di dimensione altra, dopo la morte, con la quale è possibile rimanere collegati, almeno emotivamente e con la memoria ancora colma di dolorosi / gioiosi ricordi, per poter richiamare, rivedere, coloro che si è tanto amati in vita.
Il grandissimo desiderio finale di aspettarsi, da un momento all’altro, che il padre possa di nuovo tornare a casa, presentendo i suoi passi sulle scale, rappresenta in un certo senso l’acme, il quadro più commovente e nello stesso tempo più rassegnato e lenitivo di tutto un percorso dolorante e profondamente umano. Stefania Di Lino racconta così gli ultimi giorni di vita del padre, in un procedere a riflessioni e domande, alle quali nessuno da risposte, se non qualche fredda e asettica constatazione da parte dei medici e di qualche infermiere. Sono momenti stagliati nell’atmosfera di angoscia e di dolore, a volte persino di rabbia, descritti dalla nostra autrice con nitidezza, quasi a voler umanizzare ogni gesto, ogni situazione e persino gli oggetti, le attrezzature mediche che, sotto questa luce, acquistano tepori e colori di caritatevole sacrificio (“il quadro clinico avanza e si fa chiaro / fugato è il sospetto di uno spandimento intracranico…”, e ancora: “mi rende edotta l’infermiera / lei mi dice: vieni vedi, non è tesa / vieni vedi? è pelle livida ormai arresa / al sangue che non scorre più…”).
Il corpo del padre è d’altra parte anche l’amara consapevolezza di un orizzonte ristretto, un panorama di terra e di sofferenza, con solo pochi attimi di gioia, in cui il poeta realizza la sua esistenza affidandosi alla parola, unica forza ri-creatrice in grado di offrire una parvenza di dignità e di nobiltà alla vita. Ed è per questo che Stefania Di Lino riesce a sublimare anche il dolore più acuto, l’assistere impotente alla disgregazione della carne, l’affievolirsi della luce negli occhi delle persone care che se ne vanno.
Un’opera pregevole, dunque, Il corpo del padre, che rappresenta simbolicamente anche la fisicità, e quindi la caducità, dell’esistenza; fisicità che d’altronde non può non essere amata e non può non essere disperatamente desiderata, nonostante ogni disfacimento; ed è perciò che “solo nello scrivere / trovo di tutto questo / un senso / una ragione”.
Con la sua particolare e ineguagliabile struttura poetica, caratterizzata da versi cadenzati da barrette oblique, Stefania Di Lino conferma con questa sua raccolta di grandissimo valore poetico, la sua originale e qualificata presenza nell’attuale panorama della poesia italiana, distinguendosi per gli importanti temi trattati, ma anche per la singolarità delle sue costruzioni liriche, di grande resa e interesse da parte dei lettori. Lettori affezionati, ai quali proponiamo alcuni brani tratti dal libro, sperando in un loro ulteriore gradito commento.


quale stupida indomita fretta è quella di andare? a quale

sordo richiamo risponde la notte? / quale ombra cela

questa lurida luce del giorno?,

 

[sono un’onda che si sta ritirando / sono un’onda che

non ritorna / c’è qualcosa nella vita / e nelle unghie /

c’è l’inesorabile che sfalda],

 

*

 

son poesie che vengono tutte insieme / vive la scrittura /

di un tempo sottratto alla morte / dalla notte a volte /

scaturisce un operoso silenzio / si ricompongono i

pezzi / di un diurno insensato / si cerca precari un

equilibrio / sul rotolare delle pietre,

 

*


e di cosa altro scrive un poeta / che non vada oltre il suo

orizzonte / che non sia l’assiduo del suo giardino / il

passaggio fitto scuro delle ombre?,

 

*


te ne sei andato il 24 febbraio 2017 / eppure era un

tempo bello per sostare ancora un po’ / prima del

grande viaggio / fresca si annunciava primavera / e invece

a mezzanotte sei andato via / o poco prima / dell’ora zero

zero punto zero zero / un’ora strana da pensare / un

astratto punto di sella / un segno strano sul cellulare /

l’attimo in cui tutto sembra fermo / un tempo sospeso

dalla sorte / soglia sottile tra vita e morte,

 


*

 

un poeta è tale quando intende la lingua / bisbigliata dai

morti,


[ti ho visto oggi seduto / nell’incavo vuoto del divano /

tiravi la coperta sulle ginocchia / ti tremava la mano: /

nessuno si è accorto / di quanto tu fossi vecchio

nessuno credeva che tu fossi morto],

 


*

 

ma se io torno bambina e ti aspetto / mentre disegno

seduta in cucina / attenta ad ascoltare i tuoi passi salire

le scale / (del tuo rientro a casa l’epifania) / se dalla cu-

cina / e senza sentirti suonare / mi alzo di scatto e corro

ad aprire / se io ti dico torna, papà, torna! / tu torni

dalla tua bambina?


(Brani tratti dal libro di Stefania Di Lino, Il corpo del padre, Edizioni Progetto Cultura, 2021; prefazione di Anna Maria Curci)

Stefania Di Lino, artista e poeta, è nata e vive a Roma. È docente di materie artistiche e ha esposto in gallerie private e in musei, in Italia e all’estero, tra cui: la Galleria d’Arte Moderna, l’Accademia dei Lincei, i Musei Capitolini, il Macro. Ha partecipato al Festival Palabra en el Mundo e al X Festival Mondiale della Poesia, a Caracas. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue. In poesia ha pubblicato Percorsi di vetro (2012, DeComporre Edizioni), e La parola detta (2017, La Vita Felice).


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