Se è vero che la Poesia è sogno, ma sogno che ci accopagna
in ogni istante della nostra ricerca quotidiana, in una esistenza parallela ma
niente affatto chimerica o favolosa, a maggior ragione possiamo dire che la
poesia, tutta la poetica di Vanina Zaccaria, si concentra essenzialmente proprio
in questo assioma. E si tratta di un sogno eccezionalmente vivido, completo e
propositivo, come tutti i veri poeti riescono a costruire, partendo da presupposti
importanti ed essenziali, come l'osservazione della realtà esterna ed
interiore, che porta inevitabilmente l'artista a ri-creare forme, percorsi e
idealità rinnovate e rinnovanti, estrapolate dalla contingenza. È
un'operazione di rielaborazione che, attraverso le proprie esperienze e
attitudini, attraverso la propria sensibilità, l'artista, e nella fattispecie
il poeta, conclude (ma solo per il momento) la sua visione materializzandola in
opera d'arte.
Si deve essere guardinghi e consapevoli della propria
maturazione creativa e artistica, perché l'arte in genere, e in particolare
proprio la poesia, presuppone responsabilità e serietà, mai pressapochismo o
superficialità, altrimenti si rischia di sminuire la parte migliore dell'uomo,
e cioè quella di essere in grado di riproporre, attraverso la materia a sua
disposizione, le cose nuove, di rendere possibili e raggiungibili i sogni, le
visioni, le teorie, i progetti. Vanina Zaccaria ne è ben consapevole, per questo ha atteso il momento
giusto, nella sua già ricca e variegata vita culturale che conduce, per
generare l'atto creativo poetico, donandoci questo bellissimo libro di versi,
nel quale si rispecchia anche ogni nostro sogno, ogni nostra storia.
È dunque da considerarsi un'opera completa, questa di
Vanina, avendo lei stessa intuito e quindi realizzato un percorso che dalle
prime già robuste proposte poetiche, che definisce "Primo Ciclo",
approda ai versi più controllati e profondi del "Secondo Ciclo", dove
il detatto si fa leggermente più stringato e il contenuto abbraccia temi fortemente
più filosofici. Ma tornando al discorso della "completezza", vorrei
precisare che non stiamo parlando qui di un termine specificatamente
quantitativo, bensì solo temporale, in quanto i due "Cicli" poetici
di Vanina in questo libro rappresentano una fase completa, sì, della sua
esperienza letteraria, ma non un punto fermo, una stazione di capolinea:
l'evoluzione artistica porterà la nostra autrice a sicuri altri orizzonti di
prossime aspettative, e questo è naturalmente insito in ogni creativo che si rispetti.
Quindi, nonostante la completezza del progetto e
l'intelligente "compattezza" dei due Cicli, la raccolta dà
sicuramente adito a nuove aperture, a nuovi futuri e attesi sviluppi.
Ma avviciniamoci ancora un poco al libro. Il titolo,
esplicativo, "Non si muore di notte", è tratto da una poesia del
secondo Ciclo, per la precisione l'ultima, cioè proprio quella che in un certo
senso vuole (apparentemente) chiudere o meglio fermare, completare (per il
momento!) il progetto poetico insito in questo volume. "Non si muore di notte / in mezzo alle ombre
/ Si muore di giorno / sotto il fendente della luce / irrigiditi dalle forme /
La clava, la giusta postura / la ruota / il segno del fratello sulla pietra /
Tutte le cose / sono tutta la tua memoria … " Ed è proprio in questi versi che
Vanina Zaccaria riassume in modo sublime e perentorio la sua poetica fin qui:
si tratta di una constatazione amara, che vede spegnersi la forza e la dignità
dell'uomo non di "notte", nei momenti bui, bensì di "giorno",
cioè consapevolmente sotto il fendente
della luce; e questo perdura da sempre, fin dalle origini: l'umanità si è
sempre ferita, offesa, straziata, usando ogni mezzo a disposizione, a partire
dalla "clava". Una storia lunga, lunghissima, che si fa memoria e
monito per le attuali generazioni. Ma a questo punto occorre tornare un momento
indietro, ai componimenti del primo Ciclo, per cercare di individuare quel
sottile filo logico-poetico che tiene insieme tutta la raccolta. Il primo Ciclo
è costituito da brani intensi e fortemente evocativi, scritti dalla nostra
brava autrice in un periodo di già grande consistenza letteraria e poetica. Si
tratta di brani in cui il "sogno", o per meglio dire l'osservazione-riflessione
si evidenzia in densi canti intrisi di memoria storica e financo di mito:
"Evitammo l'Europa, fumosa e
ripiegata / su metri di ferrovia / e ci perdemmo nella piccola Italia…",
e ancora: "Ci acquartierammo nel
sogno / per mancare la traiettoria della mitraglia / nell'estate fremente di
San Martino / quando venimmo a gemere presso la porta di casa…". Ora
questo "filo conduttore" storico/geografico/mitologico ci conduce
fino ai componimenti del secondo Ciclo, dove si fa più pressante e immediato,
fino alla conclusione prospettata nella lirica finale "Non si muore di
notte". Direi anzi che proprio questa ultima lirica ribadisce e rafforza
addirittura la prima del primo Ciclo ("Il
deperimento delle cose / come una lebbra antica che passa e rovina… ",
"… E così rimase Memoria / sguaiata
e tiepida / come l'amore senza perdono"), combaciando quasi con i versi
"…Tutte le cose / sono tutta la tua memoria".
È questa secondo me una possibile traccia da seguire
leggendo le ottime liriche di Vanina in questo libro, dove si rimane davvero
presi e sorpresi dalla sua intensità narrante, dal suo dettato profondo che
conduce il lettore attraverso meandri e lacerti di miti, di storia, di sogni,
di territori, di echi di grandi epopee mediterranee e classiche del nostro patrimonio
culturale. Una poesia diversa dalla solita, che trae spunto da quei riverberi
storico-mitologici del passato, ma che si attualizza anche nella ricerca e
nella proposta di un mondo dove, finalmente, sia possibile rimanere a guardare la dolce Isabella, nell'inverno lucido, e
sentirla cantare canzoni d'amore oltre ogni possibile linea d'ombra.
Gli amici che ci seguono, dopo aver letto con attenzione non
solo i versi che qui proponiamo, ma l'intero libro, potranno aggiungere altri
graditi commenti.
(Dal "Primo Ciclo)
Il deperimento delle cose
come una lebbra antica che passa e rovina
L'inverno furioso si scaraventa sulle balconate
ne muove i ferri come fossero banchi d'alghe
Ci perderemo, simili ai pensatori del deserto
che scavalcano staccionate di sabbia
pensando alle brillanti navi di Acapulco
disarmate e senza schiavi
Ho atteso per molte notti lo stesso sogno
era l'uomo magro con la valigia di cammello
che mi portava mercanzie importanti
Era l'uomo che aveva conosciuto il Pacifico
e visto muoversi donne flebili dietro le tende di Manila
sulla via tortuosa del commercio e della guerra
Ho atteso ogni notte lo stesso sogno
ma venne il sonno nero senza occhi
e la luce malevola della lanterna a olio del mercante d'armi
che immobile su una seggiola
lucidava il fianco di una spada
E così rimase Memoria
sguaiata e tiepida
come l'amore senza perdono
Evitammo l'Europa, fumosa e ripiegata
su metri di ferrovia
e ci perdemmo nella piccola Italia
ammassata su vie bianche o avvolta nelle nebbie
Il marinaio di Genova perse lo scandaglio, quando
con sguardo fosco
cercò il fondale presso il Tinetto
e si restò a guardare Venezia
piegarsi e rimanere bella
La processione sinistra della banda, nella tarda mattina
le gambe piene delle donne, strette in calze di seta
con la viola sotto il braccio, castigate in divise azzurrine
animavano le strade
Sulla sponda sinistra dell'Arno, Firenze
si copriva di ori e rassettava la veste
Lasciammo l'Europa, sguarnita di schiavi
e navigammo il Meridione imperturbabile
dove agitava un brandello di vela
nelle prime raffiche di settembre
dietro una scogliera ricoperta di gabbiani
impegnati in attese lunghissime
e brevi voli nell'aria
(Dal Secondo Ciclo)
C'è un vento che soffia sulle case questa notte
la mia patria desolata si smarrisce in esso
lascia che passi sotto gli usci, che spenga i candelabri
che spaventi e tormenti gli insonni
La mia patria si accascia, anch'essa mortale
mortale più di tutti quanti noi
tenuti assiema dal sangue, da un vizio trasmesso
da padre a padre
e da fratello a fratello.
C'è un vento animoso stanotte sulle chiese
le icone tremano tra i cardini e il legno
si fanno piccole piccolissime, mortali
e domani quando ci sveglieremo, nella piazza
ci attenderà un vento nero, pronto a latrare
e quel che rimane dei marmi sulla rocca
oscillerà lieve, alzando polveri gialle
Invecchieremo in una sola ora, tutti assieme
le madri coi figli, i figli con gli altri figli
***
È sempre la stessa cosa la guerra
la stessa macchia di sangue rappreso
l'identico grido di quando nascesti
L'anno che si chiude crepita,
nelle tue mani piccoline
il fuoco d'artificio che ti festeggia
e anche saluta
i natali dell'avvenire
Non badare alla tua guerra
al cinghiale ferito nella boscaglia,
tròvati una storia minore
cércati un avvento discreto
Non si muore di notte
in mezzo alle ombre
Si muore di giorno
sotto il fendente della luce
irrigiditi dalle forme
La clava, la giusta postura
la ruota
il segno del fratello sulla pietra
Tutte le cose
sono tutta la tua memoria
Non si muore di notte
quando anche la morte
somiglia al sonno
Si muore di giorno
nella luce che non finisce
e nemmeno ti asciuga
corpo di rana
che rimane umido
sotto le dita
Vanina Zaccaria, "Non si muore di notte", RPlibri, 2020. Con note di lettura di Edoardo Sant'Elia e Giovanni Ibello.
Vanina Zaccaria, nata nel 1982, vive e lavora a Napoli. La
sua attività si è costantemente divisa tra il percorso artistico-letterario e
l'impegno nel campo della ricerca storico-sociale.
Laureata in Servizio Sociale con una tesi di ricerca sul
contributo etnografico dell'antropologo Ernesto de Martino, attualmente è
Presidente della Fondazione Lermontov per la quale ha curato l'allestimento del
Premio Internazionale Lermontov e la divulgazione dei volumi della Biblioteca
Lermontov. Ha collaborato con il giornale in lingua italiana e russa Sussurri e
Grida curando le rubriche di letteratura e geopolitica. Studiosa della cultura
ellenica, ha collaborato con la Comunità Ellenica di Napoli e della Campania
per la discussione e la divulgazione di saggi storico-politici.
In ambito artistico: per il Teatro è attrice e direttore
artistico di spettacoli messi in scena da associazioni culturali del territorio
campano.
Sue poesie sono inserite nelle antologie poetiche: Ifigenia siamo noi (Scuderi Editrice,
2014), Mare nostro quotidiano
(Scuderi Editrice, 2018).
Membro della giuria per la sezione speciale "Autori
esteri" del Concorso Nazionale di Poesia Città di Sant'Anastasia nel 2013, 2018 e 2019, ha ricevuto diversi
riconoscimenti: Primo premio, sezione giovani . Premio Internazionale di Poesia
e Narrativa Napoli Cultural Classic
2008, e il Secondo premio, poesia inedita, Premio di poesia nazionale Aoros – Valerio Castiello 2017.
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