Lo spezzettamento dei significati lungo il percorso dei testi poetici, che nell’insieme delle tre sezioni si mantengono coerenti e aderenti al tema di fondo, che è la solitudine, anzi lo sperdersi nella realtà quotidiana (“Io sono lo zero / tra i miei pari”), rende tutta l’architettura della raccolta verosimile e propositiva, pur riferendosi essenzialmente a propri stati d’animo, a proprie congetture esistenziali. L’anfibio, il titolo della raccolta, è dunque l’io narrante che si immedesima in uno stato di ambiguità inferno / paradiso, realtà / sogno, amore / odio, speranza / rassegnazione, capace dunque di vivere, anzi di sopravvivere, in ogni circostanza, e tenendo comunque stretti a sé quei pochi valori, simboli, radici, tracce di sentimento che, nonostante tutto, sono necessari all’esistenza.
Una struttura poetica nervosa, e pur tuttavia fluida, capace di sorprendere e di impressionare, il che denota una già matura esposizione. Ma lasciamo ora ai nostri lettori il compito di aggiungere, se lo vorranno, altre interessanti e gradite riflessioni sui versi di Gabriele Marturano che qui di seguito riportiamo.
Il crepuscolo mi evoca,
sciamano. Appaio.
Le occhiaie, campi
ai confini del giorno.
Mi spoglio della divisa
quotidiana.
Per confondersi bisogna
sembrare uguali
all’eccedenza di eccetera
che si ripete.
tra i miei pari.
***
Viviamo sugli allori
della nostra malattia,
aspettando un’inattesa sincerità.
Questa birra è un rito abbreviato
che mi stana dal mio pozzo
arredato. La vita è un’istantanea:
più passa il tempo più capisci
cosa c’è dentro.
Metto elio nelle vene,
ogni zavorra di certezza la lancio,
come monete sul tavolo per il conto,
nella vertigine d’un embolo emergo,
m’intasco afelio e perielio.
(dalla sezione “Tundra brianzola”)
***
Lucifera t’addentri
nelle mie meningi,
mute d’ogni luce,
con amore snodi gli intrichi,
nei tuoi palmi
le mie cellule
diventano Soli,
rameggia in galassie l’organismo
si spande.
Entrata da una ferita,
burella naturale,
di ghiaccio e di strazio
di pece e di tenebre
il paesaggio. Da allora
albeggia il mio universo.
Ti sei mossa
nell’interiora dell’interiorità
senza timore, e ora
i ghiacciai sono il mare
che ospita la vita
di demoni diventati sirene.
***
Il padrone punisce il servo
per sentirsi signore
d’un mondo che non gli appartiene.
E così nel sesso:
se tu avessi occhi solo per me,
saresti un ciclope.
Eppure te ne vai impudica,
grano che ondeggia le anche,
e mi incateni al ruolo del padrone,
mi accoltelli dalla parte del manico.
(dalla sezione “Mia cara Zeus”)
***
Di Milano adoro il dono
dell’anonimato, la sinonimia
delle andature, l’ossimoro
degli sguardi. Milano mi manchi
perché io, nel tuo seno, mom manco a nessuno.
Ti sento lontana
perché non posso allontanarmi in te.
Mi hai visto imbruttirmi, non mi hai giudicato;
la mia carriera di Hyde è nata nel recinto
delle tue cosce. Hai portato a me il mondo
e quasi m’ha ucciso. Milano ti amo
perché se non reggo l’umano
mi accolgono le tue catacombe:
nutrici che saziano il mio pozzo
di ombre.
Milano sei dove
posso essere immondo
senza terrore.
La tua filosofia degli opposti,
i tuoi vetri che non riflettono,
il tuo fiorire in boschi imprevisti,
imbrigliati da cancellate
che fanno sembrare possibile
perimetrare il selvaggio.
Sei metropoli che sa farsi
monumentale, che sa rendersi
paesino silenzioso che accoglie
chi si fisa delle tue ambage.
Milano ad ogni tua fermata
vive una vita propria
ogni indigeno che mi popola.
Milano sei il punto di ritrovo delle fughe.
Milano
intossichi e benedici,
illudi, spaventi,
e perdoni.
Milano sei il luogo ideale
per imparare a non idealizzare.
Ti studio
per apprendere come aprire spiazzi nell’intrico
dentro me improvvisi,
capolavori inattesi.
Milano m’insegni
che non serve segretare
la Bellezza, l’ignoranza
dei nemici la preserva.
***
Slow life
Live fast, die young.
Credevo l’amore fosse
impossessarsi dell’altro
chiedendo permesso.
Ho imparato a condividere per intero,
senza risparmio.
L’arraffare il possibile
nel poco tempo, e poi polverizzarsi
è il motto di chi dà alla paura la parola,
di chi vive da ostaggio
e muore di freddo
a due passi da casa.
(dalla sezione “L’anfibio”)
Testi tratti da L'anfibio, di Gabriele Marturano, Fucine Editoriali di Niccolò Rada, 2020; illustrazioni di Susanna Guaglianone
Gabriele Marturano vive a Verano Brianza. Laureato in
Lettere Moderne, ha scritto per una rivista di musica. L’anfibio rappresenta il
suo esordio editoriale.
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