giovedì 25 febbraio 2021

La poesia sensuale di Clara Lecuona Varela

Tutto il calore e l’enfasi passionale di una terra esotica, pregna di vitalità e ardore, traspare in questi testi di Clara Lecuona Varela, poetessa e scrittrice cubana, che volentieri ospitiamo in Transiti Poetici, nella rubrica riservata alle voci dall’estero.
Le poesie di Clara, proposte in lingua originale spagnola con la traduzione in italiano, evidenziano un sentimento d’amore molto forte, in cui l’aspetto erotico, simboleggiato magistralmente dall’autrice con figurazioni varie, come il cavallo, la tempesta, il quadro, acquista un elegante, discreto e delicato valore comunicativo. I versi irrompono dolcemente e fluiscono fin nell’intimità del lettore, coinvolgendolo emotivamente.


La tormenta como un dios

Una tormenta
es siempre inspiradora
sobre todo
si las luces
iluminan las ventanas
y los árboles se mueven
como un dios frenético.

Pero qué sabe
del baile de mi cuerpo
qué presiente maldito
del otro lado de la ventana.
Acaso conoce
el deseo racional de ungir
su boca con mi boca
serpiente de lengua azul
que serpentea,
y le pregunto
qué sabes sabes de mis luces.
Allí donde todos escuchan
tus estruendos
yo te escucho gemir
y siento pena.
porque sólo una ventana
nos distancia.

Así, apaciguo su delirio.
Así, lo aquieto por un rato.
Aunque sé volverá
con la lluvia a provocarme
a indagar por mis sombras…mis postigos.

Yo, que no tengo conciencia
en estas horas
más bien me hago servir.
Lo invito a complacerme
en esta tarde
de tan absurdas maneras.


La tempesta come un dio

Una tempesta
ispira sempre
soprattutto
se le luci
illuminano le finestre
e gli alberi si muovono
come un dio frenetico.

Ma cosa sa
della danza del mio corpo
che sente dannatamente
dall'altra parte della finestra.
Conosce forse
il desiderio razionale di ungere
la sua bocca con la mia bocca
serpeggiante dalla lingua blu,
e gli chiedo cosa sai delle mie luci.
Ovunque tutti sentano
il tuo rumore,
ti sento gemere
e mi dispiace.
perché solo una finestra
ci allontana.

Così, placo il suo delirio.
Quindi, lo zittisco per un po'.
Anche se so che tornerà
con la pioggia a provocarmi
a indagare sulle mie ombre ...
le mie persiane.

Io, che in queste ore non ho coscienza,
mi costringo piuttosto a servire.
Vi invito a compiacermi
questo pomeriggio
in modi così assurdi.


***

Pulsaciones

El día en que el tiempo
se crispó
sobre un abanico,
lamiendo
tus ojos y tu boca.
Descubrimos,
disueltos en las horas
la misma avidez
delimitando
nuestros contornos
en el espejo.

De frente, hay un cuadro
y una pared
donde cuelga dócil
tu cuerpo, entre tonos
violetas y amarillos.
Adentro,
acaba y comienza
mi placer,
en el prepucio
del cuadro
o de la pared
que se mueve
intermitente.

Pulsaciones,
desde el espejo
que descienden
en círculo pertinaz
por mi garganta.



Pulsazioni

Il giorno in cui il tempo
si contraeva

su un ventilatore,
leccandoti
gli occhi e la bocca.
Scopriamo,
dissolta nelle ore,
la stessa avidità
che delimita
i nostri contorni
nello specchio.

Di fronte c'è un dipinto
e un muro
dove il tuo corpo
pende docile, tra le sfumature
del viola e del giallo.
Dentro
il mio piacere
finisce e comincia,
nel prepuzio
del quadro
o nel muro
che si muove
a intermittenza.

Pulsazioni,
dallo specchio
che scendono
in un cerchio ostinato
nella mia gola.

***

Las aldabas del tiempo

El humillo que se eleva entre tus piernas,
es una imagen insuficiente, de las tantas que provocas.

Yo, quise cantar una canción que te inmortalizara.
Dibujarte, desnudo sobre un caballo al óleo,
que trota en la arena, mira hacia el poniente,
se torna inmóvil y apacible.

Pero cuando el sol se tiende sobre el mar,
mi sexo, húmedo como las anémonas aguarda.
Mientras, la luz golpea los ojos del caballo
que se ha detenido para siempre
- eso parece -
Su espinazo tiembla imperceptible
como si las manos de Dios lo acariciaran.
Pero las manos de Dios son las de un muchacho núbil,
que se corre en el sabor de mi lengua tibia,
en mi sinuosidad de anémona.
El caballo te deja caer sobre la arena (suavemente)
comienza a entrar en el agua
como cada atardecer,
en la levedad del tiempo
y sus aldabas.



I battiti del tempo

L'umiltà che sale tra le tue gambe,
è un'immagine insufficiente, delle tante che provochi.

Io volevo cantare una canzone che ti immortalasse.
Ti disegna, nudo su un cavallo da petrolio,
trotto sulla sabbia, guardando verso ovest, diventando
immobile e tranquillo.

Ma quando il sole tramonta sul mare,
il mio sesso, bagnato come anemoni, attende.
Intanto la luce colpisce gli occhi del cavallo
che si è fermato per sempre
- sembra -
la sua spina dorsale trema impercettibilmente
come se le mani di Dio lo accarezzassero.
Ma le mani di Dio
sono quelle di un ragazzo celibe,
che scorre nel sapore della mia lingua calda,
nel mio anemone sinuoso.
Il cavallo si lascia cadere sulla sabbia (dolcemente)
comincia ad entrare in acqua
come ogni tramonto,
nella leggerezza del tempo
e dei suoi battiti.


***

Clara Lecuona Varela, cubana, risiede all’Avana. È poeta, scrittrice e critico letterario.
Attualmente lavora come editorialista culturale presso la casa editrice Cubaliteraria.
È Presidente a Cuba del Comitato Internazionale di Poetap e Alleanza Ispanica. Presidente e rappresentante a Cuba della International Poetry Foundation, con sede nei Paesi Bassi.
È stato membro di giuria in eventi letterari provinciali e nazionali a Cuba e in Argentina. Nel 2002 ha tenuto una conferenza sull'attualità della letteratura cubana e le sue sfide presso l'Università di La Laguna a Santa Cruz di Tenerife, Spagna. Ha studiato Fisica e Astronomia. Ha pubblicato 14 libri e i suoi testi sono stati inseriti in una trentina di antologie. Le sue poesie tradotte in francese, italiano, inglese, portoghese e russo, sono state incluse in pubblicazioni periodiche e digitali.
Ha collaborato in programmi radiofonici e televisivi. Ha ricevuto diversi premi letterari a Cuba, per la poesia, la narrativa e la critica letteraria. Ha pubblicato recensioni culturali e ha collaborato con la rivista femminile digitale Alas Tensas.
È stata pubblicata sulla rivista miNatura (Spagna), specializzata in fantascienza, horror e fantasy.
È Collaboratrice del quotidiano Los Realejos di Tenerife. Isole Canarie.
Commenti sul suo lavoro possono essere trovati in vari media digitali, radiofonici e televisivi.
Primo premio al Concorso di poesia ¨Un Aloud Poem¨ 2019 promosso dal Festival Internazionale di Poesia dell'Avana e dalla rivista letteraria di San Pietroburgo. E.U.A. Primo premio Farraluque per la letteratura erotica, 2021. Dal 2000 è membro del fronte Affirmacion Hispanista. FAH. Messico.

martedì 23 febbraio 2021

Laura D'Angelo e le distanze non colmate

Proseguendo il nostro viaggio nel mondo della poesia contemporanea, ci soffermiamo su una giovane autrice molisana, di Montenero di Bisaccia, una cittadina in provincia di Campobasso, tra Vasto e Termoli. Si tratta di Laura D’Angelo, poetessa che già si è distinta in diversi e importanti concorsi letterari nazionali, e che inoltre dedica molto impegno nello studio e nella ricerca letteraria, con saggi ed articoli vari.
La sua è una poesia del rimpianto, quasi del dolore; la sua acuta sensibilità di poeta e di persona incline alla creatività artistica, le suggerisce una visione d’insieme del mondo e della società, avvolta da un velo di nostalgia, per tutto ciò che di bello e di buono potrebbe essere e che invece è continuamente degradato dall’indifferenza e dall’abbandono dell’uomo. C’è un dolore sordo nelle distanze non colmate, riflette la nostra autrice, ed è questa la constatazione che, al di là di un mero pessimismo universale, si fa vera e propria denuncia, grido di allarme rivolto alla storia e alla società attuale, troppo dedita a coltivare interessi egoistici e personali, aumentando così le distanze affettive e incrementando il vuoto, il prolungamento dei silenzi e l’assenza di una rete salvifica d’amore e di fratellanza. Anche il lockdown, necessaria cautela per difendersi dal contagio, diventa qui metafora di una chiusura più grave, di una tendenza dell’uomo a chiudersi in se stesso ulteriormente, sotto il gravame di input negativi e oppressivi che provengono da una società ormai omologata e saldamente indirizzata a mete di mero benessere materiale, a discapito di valori etici ben più importanti ma purtroppo meno appariscenti e immediati.
Il verso della D’Angelo è immediato, diretto, e offre diversi spunti di riflessione. Proponiamo qui di seguito alcuni suoi testi.


Nel tempo

C'è un dolore sordo,
nelle distanze non colmate.
Negli addii senza mani,
senza abbracci, senza parole
– quale parola si può mai dire –
per riempire il mare enorme
di possibilità e speranze,
per svuotare dagli abissi il dolore
a poco a poco, come una lunga
cantilena, un caro nome,
una preghiera che ci resta
a coprire il silenzio
di un dialogo ininterrotto
con i miei morti
un affogare nel tempo
che precipita in avaria
e non ci offre approdo.


***

Era d’estate

E così, quello che era il nostro mondo,
se ne va a poco a poco. Ho guardato
il tramonto fino all'ultimo istante, e
non sapevo, il senso di un tramonto
d'estate. Pioggia, non so fermare
queste mie lacrime. Congelami
il cuore, quella estate è lontana,
quando piove ho freddo
e tu non ci sei.


***

Pianto antico, un amore

Piango il tempo che fugge,
una ruga sul viso, un sorriso.
Piango il tempo perduto,
sprecato, il tempo
incompreso, perché
non ero capace, non sapevo.
Piango gli alberi in inverno,
i rami inchinati, il vento,
i passi gelati.
Piango i tetti delle case
vuote, chiuse, disabitate,
piango le strade deserte,
le piante assetate.
Piango il campanile solitario,
dall'alto della sua altezza,
piango il tempo passato,
un bianco e nero sfuocato.
Piango la bambina che ero
e non sono più, il filo
di un aquilone spezzato,
un girotondo lasciato.
Piango i sogni perduti
lungo il percorso,
la strada più lunga,
gli errori, i lupi del bosco.
Piango gli autobus vuoti,
i binari di una stazione,
i pomeriggi di paese,
la panchina su cui
un anziano siede,
piango i vecchi giornali,
dimenticati, accartocciati,
le parole di un tempo,
il silenzio,
un treno ormai fermo.
Piango le donne che
non sono mai stata,
i riflessi allo specchio,
una doccia gelata.
Piango il troppo presto,
il troppo tardi,
i perché senza perché,
la vita che ti piove addosso,
senza un preavviso,
senza alcunché.
Piango gli errori dispersi,
i battiti incerti, la paura
e la promessa,
l'ombra di una qualche felicità,
senza certezza.
Piango la plastica
lungo la spiaggia,
il balenottero abbandonato,
nella rotta sbagliata,
nell'onda improvvisata.
Piango il lamento del cane
abbandonato,
la foglia accartocciata
il paese inquinato.
Piango la terra che non dà frutto
la terra che fa guerra,
che muore.
Piango l'amore che pure resiste,
in questo pianto di stelle,
antico, un amore


***

Lockdown

Nella conta dei lutti, in questi
giorni di nulla e silenzio, dimmi
amico mio, si può dare una ragione
al dolore? Il dolore che riempie
il silenzio copre tutto, è il mio cuore
senza voce, senza una parola,
il mio cuore che si spezza.
Un paese straziato è la crepa
del mio cuore.
Ci sarà un posto per il dolore,
per l'amore che piange,
per la vita incurabile.
L'amore che rimane,
lasciandoci soli.

Laura D’Angelo, nata nel 1986, si laurea con lode in Lettere classiche e Filologia classica, e consegue un Dottorato di ricerca in Studi Umanistici. Pubblica articoli e saggi critici in riviste scientifiche e collabora con riviste culturali online e quotidiani. Partecipa a convegni, concorsi letterari e di poesia, ottenendo riconoscimenti e premi, tra cui il primo posto sezione “Poesia”, al Premio letterario “Putignano racconta”, Storie dalla pandemia (ed. 2020), Menzione speciale al Concorso Internazionale di Poesia “Ut pictura poesis”, (ed. Fuerteventura 2020), secondo posto al Premio Internazionale “Lettera d’Amore” Torrevecchia teatina, edizioni 2017 e 2020. I suoi interessi spaziano dalla letteratura alla poesia, dalla scrittura creativa a quella scientifica. Suoi testi poetici sono raccolti in antologie. Ha pubblicato il volume Sua maestà di un amore (Scatole Parlanti, 2021), e articoli scientifici inerenti al mondo di Gabriele D’Annunzio e alla ricezione del classico in Letteratura.

domenica 14 febbraio 2021

Il "Dopo di che..." di Lucia Stefanelli Cervelli

È davvero ammirevole che un autore, un poeta, si riferisca ancora a termini della nostra gloriosa etimologia classica latina, per individuare, sovente nel bailamme e nella superficialità dei modi di esprimersi attuali, una giusta e precisa linea del proprio dire. A volte, il latino, la nostra lingua madre, ci viene in aiuto per allargare i confini dei significati, in quanto molti termini e parole acquistano uno spessore rilevante, che va ben al di là del significato più semplice ed immediato. Fortunati noi, e degno di lode senz’altro l’autore che attinga dalla fonte dei classici il tesoro sepolto sotto anni di evoluzioni, dispersioni, sfrangiamenti, contaminazioni subiti dalla nostra lingua. È il caso di Lucia Stefanelli Cervelli, poetessa e autrice di grande cultura, che con il suo recente libro di poesie, intitolato “Postea”, riesce appunto a sintetizzare nel titolo una linea filosofica di pensiero alquanto rilevante e significativa. Avrebbe potuto semplicemente scrivere “dopo di che”, come è suggerito nel sottotitolo, tra parentesi, ma il termine latino “postea” è in tutta evidenza un qualcosa che oltrepassa l’enunciato, ed inoltre appare più solenne e degno di attenzione. La poesia infatti non può correre il rischio di cadere nell’ovvio e di sdrucciolare sulla mera superficie delle apparenze, ma deve mantenersi a livelli alti per offrire tutta una serie di significati, uno all’interno dell’altro, uno che richiama l’altro. In “Postea” si avvera tutto ciò.
“Quello che accadrà” non è dato sapere. Ma intanto urge la necessità di ricercare, sperimentare, indagare o perlomeno intuire, dalle cose che si hanno al momento disponibili, dai fatti contingenti, dallo stato d’animo attuale, cosa ci possa riservare il domani. Ma proprio mentre lo si pensa, lo si ipotizza, siamo già nell’oltre, siamo già ai confini del vago, dove la sfilacciatura delle certezze si aggroviglia in una matassa di probabilità, di vie divergenti, e ci si accorge così di essere, sempre, su un punto di labilità! Tutto questo sembra suggerire il pensiero poetico della nostra autrice, che pone nell’assolutezza del verso, nelle sue parole precise e nello stesso tempo allusive ad altre possibili e consequenziali aperture, l’ineluttabilità del fluire del tempo e la necessità di operare un hic et nunc di immediata consistenza esistenziale: “Pietrificata lava del pensiero rende cristallizzate le presenze / sospese al loro tempo intatto”, declama la nostra poetessa in un suo brano, a conferma dell’inanità di aprire porte sul domani, di conoscere l’oltre; e ove mai così fosse, si sfalderebbe il polverìo dell’ignoto, denucleato di ogni consistenza.
Amare dunque più il viaggio, l’andare, che la meta, afferma ancora la Stefanelli, come per ribadire questa vaghezza che ci attenderebbe se noi raggiungessimo la meta del nostro infinito cercare, di questo nostro incessante desiderio di conoscere ciò che sta oltre i confini; e d’altra parte è il viaggio, l’andare, il tentativo irrefrenabile e inarrestabile, che ci spinge e ci motiva il percorso stesso.
Postea è così un percorso filosofico nell’esistenza e nella quotidianità di ciascuno, espresso con un dettato poetico stringente e assolutamente consono, elegante e colto, che si snoda cadenzato e solenne, sviluppando la tematica di fondo in progressivi quadri sempre differenti tra loro ma, come i vari tasselli di un grande e pregevole mosaico, validi a ricomporre l’intero pensiero.




Dopo di che… è già l’Oltre
Il residuo del tempo che si sfalda annuvola di polvere
e allontana la netta turbolenza
d’esplicito contesto di visione
Dopo di che… è l’Attesa
che, pallida, si affida alla sua noia

Sfoglia nell’anticamera il giornale il gesto,
arido d’esproprio,
che assorbe la sottile inconsistenza
Non passa il giorno
ma si protende lungo assonnata parabola di ponte
che sempre più declina
fino allo squarcio lieve di acre fenditura
ove s’insinua quell’assorbita linea del disegno
Ritorna il condensato punto della fine.



***


Accorgersi d’un tratto di occupare labilità di un punto
Pietrificata lava del pensiero rende cristallizzate le presenze
sospese al loro tempo intatto
Non comprendi il dialogo impossibile
Fratte parole sostengono il cosmico rumore
dell’eco lontanante nel boato
Come, nell’infinita solitudine, rintracciare la meridiana del ritorno?

È lo sfaldarsi al polverìo d’ignoto
denucleato di ogni consistenza



***


Affrontare un infinito viaggio,
amare più l’andare che la meta,
transitare per luoghi senza nome
e l’uno all’altro averli sovrapposti
Allora sì che coincide il viaggio
con il passo del tempo pellegrino
Ogni ora incasella nell’incastro
la cattura del luogo al suo momento
Solo così può esserci il ricordo,
datato dalla pagina,
in progresso
o giocando all’inverso
La vita, nelle immagini, è sommario,
collezione di antiche cartoline
affrancate al bollo del vistato
Tutto pagato, tutto già spedito



***


Non esiste silenzio

Il sottofondo canta perenne in agonia
ma senza morte certa
Un palpitare querulo e distante
roco all’ascolto
e privo di domande

Il silenzio non c’è
se non l’assillo
per l’escavato vuoto
ad annegare
disagio di parola


***

Esilio, cittadinanza d’esserci
Un vivere s’aggira concretamente vuoto
Pare contraddizione la parola
ma vera si ipotizza nell’innesto
al tracciato dei giorni

Qui rimanere al cosa fare incerto
Questo il quesito di una corsa breve
ansante già da quel suo primo passo

Raggrinzisce il pensiero
e ancora illude a reggere sconfitta


(Brani tratti da Postea (Dopo di che…), di Lucia Stefanelli Cervelli, Terra d’ulivi Edizioni, 2020)


Lucia Stefanelli Cervelli, casertana di nascita, vive a Napoli. È scrittrice, saggista, poetessa. Già docente di Lettere e Filosofia, è anche sociologa. Regista e attrice, ha scritto numerosi testi per il Teatro, cui ha dedicato oltre un ventennio di insegnamento presso l’Associazione Internazionale Accademia V. Bellini. Nel 1990 ha fondato, con il regista Gianni Spataro, l’Associazione di Cultura Teatrale “L’ascolto”. È nel Comitato Scientifico della Rivista dell’Università di Roma “Teatro contemporaneo e cinema” diretta dal prof. G. Bartalotta. È autrice di numerose raccolte di poesia e di narrativa.

sabato 6 febbraio 2021

Marvi Del Pozzo: "La logica delle nuvole"


Poeta / è chi riesce a farsi aria, / quella che avvolge / il senso delle cose, / trasvolando / e uscendo dalla storia / da miserie di un sé in disfacimento… “. Sono le parole sublimi e nello stesso tempo perentorie, di Marvi Del Pozzo, in una sua poesia. Ritengo che ogni buon poeta, e Marvi Del Pozzo lo è senz’altro – e quando dico “buono” intendo anche completo, di spessore, significativo – debba avere un suo personale concetto della “poesia” e di tutto quanto ad essa è legato o attinente: ogni buon poeta è in grado di esprimere la sua “dichiarazione” di poetica, nella quale concentra tutta l’essenza del suo pensiero, della sua linea progettuale a proposito di poesia e di fare (la sua) poesia. Bene, è opportuno dunque partire da questi versi della nostra autrice torinese, per introdurre una sia pur breve riflessione su quanto essa va “dichiarando”, e sviluppando, nella sua recente raccolta “La logica delle nuvole”, edita l’anno scorso da La Vita Felice.
Si tratta orbene di una raccolta davvero voluminosa, densa e intensa, nella quale Marvi Del Pozzo, certamente non nuova alla frequentazione del mondo poetico, esprime tutta la sua filosofia della vita e della natura, dell’umanità e dei sentimenti, ponendosi un attimo al di sopra della fragilità e del disordine terrestre e traendo da questi ciò che maggiormente è intriso di purezza e di spiritualità in questa nostra travagliata esistenza. La logica delle nuvole, appunto: nessuno può stabilire la loro presenza e il loro vagare nel cielo, se non il vento, la natura, le correnti, e in un certo senso il caso. Il destino entra allora nei versi della nostra poetessa come un vento in grado di scompigliare e disordinare gli eventi, la vita. A noi non resta che la preghiera, la speranza, la forza dei nostri sentimenti, corroborati da ricordi e memorie che hanno reso la nostra vita degna e nobile.
Il progetto poetico di Marvi Del Pozzo, in questa raccolta, è dunque ampio e abbraccia tutto un mondo e una vita di considerazioni e di riflessioni profonde sulla natura, sul senso dell’essere, sugli affetti, sui ricordi, sui valori etici, sulle geografie: tematiche che vengono trattate, dalla nostra autrice, con l’immediatezza del suo afflato poetico, con la cadenza lirica che le è propria, con versi diretti e scevri da ogni possibile e fuorviante ridondanza o sovrabbondanza; uno stile che è impronta personalissima e accorata, aderente ai contenuti e per questo, dovendo esprimersi su un panorama piuttosto ampio, come lei stessa ha affermato nella sua introduzione, l'Autrice ha voluto suddividere il percorso poetico in cinque sezioni: “Filosofia del naturale”, “La folgorazione dei frammenti”, “Il nutrimento degli affetti”, “Vita dei miei silenzi”, e “Fantasticherie”.
Il libro è comunque fluido, vi si nota in tutti i brani e in tutte le sezioni, la ricerca accorata del senso della vita, che solo la poesia può suggerire, invitando a considerare le meraviglie del creato, a perseguire la libertà (o logica indipendente) delle nuvole, metafora di una libertà ancora più sacra, direi suprema: quella che ogni uomo dovrebbe saper acquisire e condividere con tutti gli altri.
Ma non vi è solo libertà nel girovagare delle nuvole. Nella dimensione che è sopra di noi, metaforicamente immersa in una sfera di valori essenziali che innalzano l’uomo dalla mera superficialità materiale, l’umanità di Marvi Del Pozzo acquista tutta la sua naturale ragione d’essere, mediata da una parola poetica alta, coinvolgente, esemplare.
L'importanza della poesia come (anche) centro comune e condivisibile di dialoghi, riflessioni, idee, sentimenti fra persone, è espressa molto bene nella parte finale del libro, che accoglie un interessante carteggio tra l'Autrice e la poetessa Cinzia Marulli, sua cara amica e sostenitrice.
Nell'invitare a leggere l'intero libro, proponiamo intanto qui di seguito alcuni brani.



Scrivere poesia
è forma di preghiera.
Individuale
minuta intelligenza
nel crogiolo dell’anima
del mondo.
Come in vasi comunicanti
non sai più
chi dà e chi prende.
Scrivere poesia
è un senza tempo
di tragica Sibilla,
un Dio
metafisico e laico
fatto uno col poeta
tramite la parola, accade.
Sgomenta il pensiero
che a questo Dio
invisibile
sei tu a donare vita.


***

Vela

Da terra
una vela bianca alta
sul mare.
Vola il respiro in petto
per la gioia
primitiva dell’essere
vitale
all’Aperto, nel Sole
all’Avventura.
Con gli occhi, a riva,
abbraccio ciò che vedo,
vivo l’ubriachezza
dell’andare
ma io giungo al di là
dell’orizzonte
e più di quella vela
vado oltre.

(dalla sezione “Filosofia del naturale”)


***

Battiti del divenire

Come diapason
irrevocabilmente ossessivo
imprigionato
nei confini di vetro
di un vuoto a perdere
sento i battiti del divenire.
Seppure immaginassi
castelli di cristallo
d’intorno
m’inchioderebbe al reale
questa bottiglia claustrofobica
sbatacchiata in balia
d’un mare ignoto.
Io proprio non capisco
lo scopo
d’infinite spazialità intorno
a noi, lillipuziane creature,
autocondannate alla pena
di fantasmi diversi, in
solitudine uniforme.
Sotto vetro e sotto vuoto.
Ergastolani.
L’Aperto è fuori. Forse.

(dalla sezione “La folgorazione del frammento”)


***

Fanciullezza

Hai occhi ombrosi
di mirto lucido di sole
le mani da bambina
biscottate di granella
di sale.
Geroglifici bianchi
sul corpo adolescente
di creatura di mare.
Hai capelli di alga
attorcigliata
trascoloranti per la luce intensa
sui ciottoli accaldati
della spiaggia.
profumano d’altrove e di mistero.
Hai piedi di maestrale
quello estivo che lustra
cielo e acqua di colore
e rasserena il mondo
di frescura.
Proprio come fai tu
con un sorriso
di sassolini bianchi e madreperla
quando di corsa al limitar dell’acqua
in silenzio t’abbracci
all’orizzonte
e ti confondi nelle cose intorno.

(dalla sezione “Il nutrimento degli affetti”)


***

Rileggendo “Gli imperdonabili” di Cristina Campo

Perché i miei versi
sono così tristi
se la gioia mi coglie
e duratura
solo che guardi
la natura viva?
Allora sovrappongo tempi e spazi
e ricompongo simboli e parole
in figure nutrite d’armonia
di cultura, di mito, di un’idea.
Oggi il reale è freddo
di bellezza: disperso il favoloso
e il mistero, carente di destino
e profezia, il poeta smarrito
impallidisce
chiuso nel cerchio suo
di disincanto,
asfittico respira
nebbie inferte.
La memoria del Bello è lacerante.

(Dalla sezione “Vita dei miei silenzi)


***

Poeta

Poeta
è chi riesce a farsi aria,
quella che avvolge
il senso delle cose,
trasvolando
e uscendo dalla storia
da miserie di un sé in disfacimento.
Non vuol sfuggire
ma trasfigurare:
cerca un barlume spirituale e vivo
anche nel buio del dolore e morte.

(Dalla sezione “Fantasticherie”)

Brani tratti da: Marvi Del Pozzo, La logica delle nuvole; poesie. A cura di Cinzia Marulli. Edizioni La Vita Felice, 2020.

Marvi Del Pozzo vive a Torino. Dopo gli anni della formazione al Classico D’Azeglio di Torino e gli studi universitari, non ha esaurito la spinta ad approfondire la frequentazione della poesia. Da sempre si occupa, oltre che di poesia classica, di quella contemporanea nazionale e internazionale e da undici anni coordina il gruppo di poesia Tempo di Parole del Circolo dei lettori di Torino. Ha scritto nove volumi di poesia, autoprodotti. I più recenti: Pietre nel tempo (2014), Immagini ed Immaginazione (2015), Esserci e Riconoscersi (2017). Collabora con la rivista cartacea torinese di poesia “Amado mio” e cura la rubrica fissa di critica letteraria Letture condivise sul blog romano ParolaPoesia.
Ama affiancare all’attività di scrittura poetica quella di autrice di monologhi teatrali, incentrati sulle più autorevoli figure di poeti contemporanei internazionali.

 

 

 

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà