martedì 14 novembre 2023

La "Religione della bellezza" di Ilaria Giovinazzo

Cristina Campo è stata una delle maggiori esponenti della poesia religiosa dell’ultimo novecento. Forse non a caso Ilaria Giovinazzo ha voluto dedicarle questa citazione, in apertura alla sua raccolta La religione della bellezza (peQuod edizioni, 2023).
Richiamare con coraggio e onestà l’ignoto mare che si agita nelle nostre cellule, affrontarlo e studiarlo anche con la consapevolezza che potrà essere negativo, pauroso e persino nocivo, sarà un modo per tenerlo a bada, per confinarlo e magari per esorcizzarlo. Questo il compito della preghiera, della religione che fin dall’antichità ha cercato, attraverso riti e cerimonie varie, di tenersi buoni gli dei, di accattivarseli in qualche modo perché proteggessero l’umanità dai mali e dalle catastrofi naturali.
Qui Ilaria Giovinazzo riprende in parte questo aspetto della religione, per attualizzarlo in poesia, e cioè riconfermando con Cristina Campo, e non solo con lei, che la poesia può essere in grado di ascoltare i segreti messaggi dell’anima, anche quelli più tenebrosi e sconvolgenti, per poi strutturarli in versi adeguati, sia per il contenuto, sia per la forma stilistica, verosimilmente validi universalmente; una sorta di confutazione della parte sconosciuta o perlomeno inspiegabile razionalmente che è in noi e finanche nella realtà che ci circonda; o un rituale religioso, mistico, per tenere a bada i demoni dell’inconoscibile.
La poesia è dunque coraggio e forza ricreatrice, atta ad addomesticare le nostre pulsioni, le nostre emozioni e anche i nostri "mostri". Essa assorbe le vibrazioni e i segnali emotivi che ci pervengono da ogni dove, e li traduce in strutture fatte di parole precise, giuste, molecole di parole capaci di costruire un corpo poetico possente, efficace e comunicativo.
E Ilaria Giovinazzo, seguendo e aderendo a questa linea poetica, costruisce la sua Religione della bellezza.
Nuvole, ombre, luce: l'autrice si muove impavida tra queste figurazioni, mantenendosi però quasi estranea, controllandosi e gestendo le pulsioni, le immagini e gli stati d’animo che le giungono dalla realtà circostante, traducendo ogni cosa in forma di poesia, una poesia che non è qui un’architettura sovrabbondante e artificiale, bensì autentica, schietta e libera da ogni possibile schema: "Questa non è una poesia, è un rigurgito", lei afferma, ed è proprio questa consapevolezza del limite della parola poetica ad esprimere l’inadeguatezza della quotidianità, il disagio di vivere in un mondo ipocrita e falso, ("Non sono poeta da salotto", afferma ancora), mentre lo spirito ambisce ad un’esistenza pienamente aderente alla natura condividendone misteri e penombre, imperfezioni e dubbi, ma anche bellezze e luminosità!
C’è però una ricerca di un punto fermo in questo universo oscillante tra nuvole, ombre e luci, metafore evidenti di dubbi, incertezze, dolori e illusioni, e poi speranze. Ilaria Giovinazzo cerca una piattaforma sicura sulla quale appoggiare la propria umanità, il proprio spirito, volendo aderire a quello della natura: “Nascosta da una nuvola / vivo in completo accordo col fiore, / il cielo, l’uccello, il vento”.
È una ricerca necessaria, indispensabile, per lei, questo punto fermo, una volta appurata la discontinuità e soprattutto le precarietà e le falsità di un mondo come quello attuale, dove il poeta deve pregare davanti a un dio bugiardo e ignaro / che mi guarda negli occhi / e mi chiede chi sono, affinché possa leggere la propria verità, il proprio valore, la propria umanità nell’essenzialità del suo essere.
E in questo cercare, in questo desiderare un punto fermo, Ilaria Giovinazzo non poteva non alludere anche all’amore: "Ho guardato il mio corpo nel letto / accanto al suo, / la sua mano posata sui miei fianchi, / ultimo gesto disperato di possesso. / Io non c’ero". Non c’era il suo spirito, la sua centralità, perché obnubilata e distratta dal vortice delle cose nefaste della realtà circostante, da quelle oscillazioni continue tra ombre e luci, tra quei misteri, dubbi e disagi che ci propone la quotidianità, e che solo traguardando la bellezza dell’anima e delle cose è possibile in qualche modo superare: “Non ho altra religione / che la bellezza / dell’anima / delle cose”.


Questa non è una poesia, è un rigurgito

 

non sono poeta da salotto

preferisco bivaccare

nell’imperfezione del fiato

vivere all’estremità delle foglie

ubriaca di penombre

e luci assolute

 

 ***

 

Pulviscolo siamo

in questo cielo generoso di silenzi

in cui mi rispecchio,

muta trama celeste di nuvole chiare.

Io assorta resto

a decifrare il volo degli uccelli

dipinti nell’azzurra incerta veste

del mio destino.

 

 ***

 

Nascosta da una nuvola

vivo in completo accordo col fiore,

il cielo, l’uccello, il vento

 

 ***

 

Appesa a un filo

sospesa

mi muovo svelta,

assetata d’incerta quiete.

Prego davanti a un dio bugiardo e ignaro

che mi guarda negli occhi

e mi chiede chi sono.

 

Io so soltanto

di essermi arrampicata

sulla parete di fuoco

che brucia le mani

e scotta di febbre e di vita

e che le chiavi di casa

le ho lasciate sul tavolo

e dovrò tornare a prenderle

 

prima o poi.

 

 ***

 

 Non riesco a trovare le tue mani

in questa notte solitaria che ci separa.

Di quali spaventosi mostri

si riempie la mia testa

quando inizia ad ululare il vento

e i rami a scuotersi

come braccia nervose

pronte a colpirmi?

 

Da quali abissi e profondità nascoste

l’occhio nudo di Dio mi guarda?

 

 ***

 

È entrata la luce dalla finestra stamattina,

illuminando la stanza.

Ho guardato il mio corpo nel letto

accanto al suo,

la sua mano posata sui miei fianchi,

ultimo gesto disperato di possesso.

 

Io non c’ero.

 

 ***

 

 

Non ho altra religione

che la bellezza

dell’anima

delle cose

 

 

 ***

 

Appartengo al cielo e alla terra

in misura eguale.

Ho fede nella purezza della saliva

e della carne

nella luce delle cellule

nell’intensità del battito.

 

Contesto alle farfalle il peso del mondo,

mentre svuoto cesti di pietre

ereditati da mia madre

misuro i miei passi su quelli del bruco

e della salamandra.

 

Ascolto muta le preghiere dei cedri

e incorono di rose la falena.

Divinità nascoste nelle rocce

sussurrano: ogni cosa è immortale.

 

Brani tratti da La religione della bellezza, peQuod Edizioni, 2023; postfazione di David La Mantia.

Ilaria Giovinazzo è nata a Roma nel 1979. Nel 2001 pubblica il suo primo romanzo Anime perdute con Effedue Edizioni. Nel 2005 esce per Prospettiva Editrice il romanzo Non posso lasciarti andar via. Nel frattempo alcuni suoi testi appaiono su «Prospektiva Rivista Letteraria» e nell’antologia Il tempo di Giulio Perrone Editore. Nel 2007 esce Donne del destino per Besa Editrice. Organizza le quattro edizioni del Premio Letterario ScrivereOltre insieme a Prospektiva Rivista Letteraria e ne cura le relative antologie. Nel 2020 esce la raccolta poetica Come un fiore di loto per la casa Editrice Ensemble. Nel 2021 esce, sempre per Ensemble, la seconda raccolta poetica dal titolo La simmetria dei corpi, con la prefazione della poetessa siriana Maram Al Masri. Nel 2022 vince il primo premio della sezione poesia inedita al Concorso letterario “Il Delfino” e riceve il Premio speciale della giuria al Premio internazionale “Ossi di Seppia”. Nel 2023 cura la plaquette edita da Ensemble, dell’evento "Sinfonie Poetiche. Concerto per corde e fiati" da lei ideato e diretto. È presente con i suoi testi in diverse antologie. Attualmente vive e lavora tra le colline sabine.

Il libro La religione della bellezza di Ilaria Giovinazzo è stato presentato a Napoli presso la Libreria "The Spark" di Piazza Bovio, il 10 novembre 2023. Relatori Mattia Tarantino e Giuseppe Vetromile.



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