Dice giustamente Carlo Di Lieto nel suo saggio critico che completa, in appendice, la raccolta Futili arpeggi: “Antonio Spagnuolo, poeta di squisita finezza, prosciuga nella sua essenzialità il “pensiero iconico”, facendo emergere echi di un oltre inattingibile e cifre inquietanti di un’inconscia pulsione scopica”. E a rinforzare tale affermazione del Di Lieto, è lo stesso Spagnuolo quando ribadisce, nella sua nota introduttiva intitolata proprio “Cos’è la poesia?”, che la poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della poesia. Sappiamo benissimo che è veramente arduo definire cosa sia la poesia: molti non si esprimono in proposito, per non cadere nella banalità o nell’ovvietà, ma Antonio Spagnuolo può permetterselo, perché lo fa e lo può fare, con cognizione di causa, e nessun altro, o pochissimi, possono, a mio giudizio, proporre una definizione per la “poesia” che abbia un senso profondo, come da lui suggerito.
Ma veniamo a Futili arpeggi: brevemente, perché, come dicevo più su, il mondo poetico di Antonio Spagnuolo è vastissimo e non basterebbero pagine e pagine di commenti critici per circoscrivere esaurientemente la sua poetica. Il titolo, che sempre in qualche modo cela il segreto nocciolo significativo di una raccolta ben strutturata, evidenzia la ricerca quasi spasmodica, incessante e sovente infruttuosa (futile!...) di un altrove esistenziale e sentimentale, che soltanto con la poesia (arpeggi!...) può essere sperimentato, intuito e (asintoticamente) raggiunto. È quel pensiero iconico, ben sottolineato dal Di Lieto, che si configura nella poesia di Antonio Spagnuolo, quando travalica i confini della quotidianità per cantare un mondo di pura armonia, intriso di afflati emotivi e sentimentali, ricordi, memorie.
La poesia è un modo per scrutare nell’inconoscibile, per riportare in questa vita lacerti di quell’altra realtà, fatta appunto di ricordi, di sogni e anche di illusioni, tuttavia necessari ad alimentare l’anima. Un lavoro continuo e strenuo, che il poeta deve necessariamente compiere, perché, come declama Spagnuolo, “Fare poesia è attingere chimere, / ipotesi di azzardo e di speranze / con ritmo serrato oltre il silenzio.”
Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dalla raccolta Futili arpeggi:
Fili
Ho appreso il canto argentato della sera
con la semplice follia delle mie nostalgie
ricamate con fili d’argento
alle pareti.
Ripetono un sussurro fianco a fianco
nel tepore della malinconia,
tra le porte che si affacciano sul nulla
e gli armadi ormai vuoti.
Fra la nuda verità che si attorciglia
su se stessa
e il profilo che esclude confini
riprender fiato è come spaccare il cuore!
Dentro la poesia
Governare i marosi delle idee,
per sostenere il flusso di parole
iridescenti al raggio di chimere
e ricamare al gioco come il vento,
così la penna scivola irrequieta
stregata dall’incanto di un pensiero.
L’altrove è come anelito sfiorato,
inquieto alla ricerca del sussurro
che anela ad una sorta di abbandono.
Sfugge realtà strumenti e vibrazioni
cercando quel filone colorato
che rinnova nel segno ogni pulsione.
Ecco il poeta inquieto e delirante
nel sentimento che trema per le attese,
proteso come il filo di aquilone,
o clown cadenzando l’infinito.
Fare poesia è attingere chimere,
ipotesi di azzardo e di speranze
con ritmo serrato oltre il silenzio.
Rapinando alfabeti
La chiave non è più segreta,
inquieta per quel diamante incompiuto
che ci riavvolge nel diverso rischio
di una rimessa in gioco.
Pulsa parole lasciando margini addensati
e simboli da decifrare al tocco.
Altro impegno ha il pulsante e la figura
si staglia nelle coordinate, o in slash,
affollando emozioni irrazionali,
delineando esplosioni colorate
per un diagramma colto di sorpresa.
In questo eterno scorrere a mezz’aria
punta trepidazioni ed esplorando
immagini si affollano
nel canovaccio di sottile incisione.
Catene
Inseguo confuso la tua assenza
quasi fantasma lieve al palpeggiare,
per riaccendere il sesso corrusco
che devastava richieste più scomposte.
A spargere rimpianti come carne
è un travisamento ad ogni segno,
perché rispondi tra mirti d’argento
con labbra in un debito peccato,
ritornando a tempeste fuori meraviglie.
Dissolta ogni incognita un sanguinario
fedele prestigio riprende occulte catene
e mi impaura ogni dubbio.
Galassie
Eri dolce nel sogno
tempo che scorreva indelicato
per le mammole scalze
e il passo lieve del midollo.
Ti voglio bene fu soltanto un sussurro
al bivio di galassie ormai smarrite.
Lento ruotare di pupille e ciglia
naufrago incespicando tra macerie
quasi impotenti ai riflessi
che erano allora ultimo messaggio.
Perdute traccia compromesse agli zigomi,
bianca e dorata in mille segmenti
ripeti giravolte e ritornelli.
***
Conteggio
È giunto il tempo di chiudere i conteggi
e affido il mio bagaglio di poeta
all’illusione dell’eternità.
Le virgole, i puntini e sospensioni
che bloccavano spesso il mio sussurro
pungono a piena pioggia nei ricordi.
Il brusio, poi ingoiato dal silenzio,
prometteva la landa desolata
o un cenno di splendente infinità.
Nel dubbio della fine che sorprende
tracce di gemme e di immortalità,
oggi è il frammento di un ultimo demonio
che declama il mio esitare vano
nell’ardente supplizio d’intervalli.
Antonio Spagnuolo, Futili arpeggi, La Valle del Tempo Ediz. 2024, con un saggio critico di Carlo Di Lieto.
Antonio Spagnuolo è nato a Napoli nel 1931. Ha fondato e diretto negli anni ottanta la rivista “Prospettive culturali”, alla quale hanno collaborato firme autorevoli. Redattore della Rivista “Realtà” al tempo di Aldo Capasso e Lionello Fiumi. Ha fondato e diretto la rivista “Iride”.Ha fondato e diretto la collana “L’assedio della poesia”, dal 1991 al 2006, pubblicando Autori di interesse nazionale.
Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, inserito in molte antologie, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana “Frontiere della poesia contemporanea” per La Valle del Tempo edizioni e la rassegna “Poetrydream” in internet. Presiede il premio “L’assedio della poesia”.
Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo, rumeno, arabo, turco.
Ha pubblicato più di 40 libri di poesia, quattro volumi di narrativa e due per il teatro.
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