mercoledì 6 marzo 2024

I "Futili arpeggi" di Antonio Spagnuolo

Non è affatto facile entrare nel mondo poetico di un autore come Antonio Spagnuolo: è un mondo complesso e articolato, dove la creatività si nobilita assumendo forme, contenuti e armonie poetiche di altissimo livello, e l’uomo-poeta non è più scindibile in uomo e in poesia, ma è e rimane un tutt’uno, un solo luminosissimo raggio, una sola incommensurabile Parola fatta di carne, di spirito e di pura Poesia, lungo tutto il percorso della sua vita. E Antonio Spagnuolo è Poeta, con la “p” maiuscola, perché nella sua persona è la poesia, quella vera, quella seria, quella sofferta e sperimentata attraverso anni di lavoro e di impegno, di ricerche e di studi, con una frequentazione assidua del mondo letterario, con pubblicazioni e saggi critici di grande spessore, con la fondazione e direzione di riviste letterarie importanti e collaborazioni con case editrici rinomate.
Dice giustamente Carlo Di Lieto nel suo saggio critico che completa, in appendice, la raccolta Futili arpeggi: “Antonio Spagnuolo, poeta di squisita finezza, prosciuga nella sua essenzialità il “pensiero iconico”, facendo emergere echi di un oltre inattingibile e cifre inquietanti di un’inconscia pulsione scopica”. E a rinforzare tale affermazione del Di Lieto, è lo stesso Spagnuolo quando ribadisce, nella sua nota introduttiva intitolata proprio “Cos’è la poesia?”, che la poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della poesia. Sappiamo benissimo che è veramente arduo definire cosa sia la poesia: molti non si esprimono in proposito, per non cadere nella banalità o nell’ovvietà, ma Antonio Spagnuolo può permetterselo, perché lo fa e lo può fare, con cognizione di causa, e nessun altro, o pochissimi, possono, a mio giudizio, proporre una definizione per la “poesia” che abbia un senso profondo, come da lui suggerito.
Ma veniamo a Futili arpeggi: brevemente, perché, come dicevo più su, il mondo poetico di Antonio Spagnuolo è vastissimo e non basterebbero pagine e pagine di commenti critici per circoscrivere esaurientemente la sua poetica. Il titolo, che sempre in qualche modo cela il segreto nocciolo significativo di una raccolta ben strutturata, evidenzia la ricerca quasi spasmodica, incessante e sovente infruttuosa (futile!...) di un altrove esistenziale e sentimentale, che soltanto con la poesia (arpeggi!...) può essere sperimentato, intuito e (asintoticamente) raggiunto. È quel pensiero iconico, ben sottolineato dal Di Lieto, che si configura nella poesia di Antonio Spagnuolo, quando travalica i confini della quotidianità per cantare un mondo di pura armonia, intriso di afflati emotivi e sentimentali, ricordi, memorie.
La poesia è un modo per scrutare nell’inconoscibile, per riportare in questa vita lacerti di quell’altra realtà, fatta appunto di ricordi, di sogni e anche di illusioni, tuttavia necessari ad alimentare l’anima. Un lavoro continuo e strenuo, che il poeta deve necessariamente compiere, perché, come declama Spagnuolo, “Fare poesia è attingere chimere, / ipotesi di azzardo e di speranze / con ritmo serrato oltre il silenzio.”

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dalla raccolta Futili arpeggi:


Fili

 

Ho appreso il canto argentato della sera

con la semplice follia delle mie nostalgie

ricamate con fili d’argento

alle pareti.

Ripetono un sussurro fianco a fianco

nel tepore della malinconia,

tra le porte che si affacciano sul nulla

e gli armadi ormai vuoti.

Fra la nuda verità che si attorciglia

su se stessa

e il profilo che esclude confini

riprender fiato è come spaccare il cuore!

 

 ***


Dentro la poesia

 

Governare i marosi delle idee,

per sostenere il flusso di parole

iridescenti al raggio di chimere

e ricamare al gioco come il vento,

così la penna scivola irrequieta

stregata dall’incanto di un pensiero.

L’altrove è come anelito sfiorato,

inquieto alla ricerca del sussurro

che anela ad una sorta di abbandono.

Sfugge realtà strumenti e vibrazioni

cercando quel filone colorato

che rinnova nel segno ogni pulsione.

Ecco il poeta inquieto e delirante

nel sentimento che trema per le attese,

proteso come il filo di aquilone,

o clown cadenzando l’infinito.

Fare poesia è attingere chimere,

ipotesi di azzardo e di speranze

con ritmo serrato oltre il silenzio.

 

 ***

 

Rapinando alfabeti

 

La chiave non è più segreta,

inquieta per quel diamante incompiuto

che ci riavvolge nel diverso rischio

di una rimessa in gioco.

Pulsa parole lasciando margini addensati

e simboli da decifrare al tocco.

Altro impegno ha il pulsante e la figura

si staglia nelle coordinate, o in slash,

affollando emozioni irrazionali,

delineando esplosioni colorate

per un diagramma colto di sorpresa.

In questo eterno scorrere a mezz’aria

punta trepidazioni ed esplorando

immagini si affollano

nel canovaccio di sottile incisione.

 

 ***

 

Catene

 

Inseguo confuso la tua assenza

quasi fantasma lieve al palpeggiare,

per riaccendere il sesso corrusco

che devastava richieste più scomposte.

A spargere rimpianti come carne

è un travisamento ad ogni segno,

perché rispondi tra mirti d’argento

con labbra in un debito peccato,

ritornando a tempeste fuori meraviglie.

Dissolta ogni incognita un sanguinario

fedele prestigio riprende occulte catene

e mi impaura ogni dubbio.

 

***

 

Galassie

 

Eri dolce nel sogno

tempo che scorreva indelicato

per le mammole scalze

e il passo lieve del midollo.

Ti voglio bene fu soltanto un sussurro

al bivio di galassie ormai smarrite.

Lento ruotare di pupille e ciglia

naufrago incespicando tra macerie

quasi impotenti ai riflessi

che erano allora ultimo messaggio.

Perdute traccia compromesse agli zigomi,

bianca e dorata in mille segmenti

ripeti giravolte e ritornelli.

 

***


Conteggio

 

È giunto il tempo di chiudere i conteggi

e affido il mio bagaglio di poeta

all’illusione dell’eternità.

Le virgole, i puntini e sospensioni

che bloccavano spesso il mio sussurro

pungono a piena pioggia nei ricordi.

Il brusio, poi ingoiato dal silenzio,

prometteva la landa desolata

o un cenno di splendente infinità.

Nel dubbio della fine che sorprende

tracce di gemme e di immortalità,

oggi è il frammento di un ultimo demonio

che declama il mio esitare vano

nell’ardente supplizio d’intervalli.


Antonio Spagnuolo, Futili arpeggi, La Valle del Tempo Ediz. 2024, con un saggio critico di Carlo Di Lieto.

Antonio Spagnuolo è nato a Napoli nel 1931. Ha fondato e diretto negli anni ottanta la rivista “Prospettive culturali”, alla quale hanno collaborato firme autorevoli. Redattore della Rivista “Realtà” al tempo di Aldo Capasso e Lionello Fiumi. Ha fondato e diretto la rivista “Iride”.
Ha fondato e diretto la collana “L’assedio della poesia”, dal 1991 al 2006, pubblicando Autori di interesse nazionale.
Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, inserito in molte antologie, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana “Frontiere della poesia contemporanea” per La Valle del Tempo edizioni e la rassegna “Poetrydream” in internet. Presiede il premio “L’assedio della poesia”.
Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo, rumeno, arabo, turco.
Ha pubblicato più di 40 libri di poesia, quattro volumi di narrativa e due per il teatro.



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