Accogliamo ora una voce femminile pregevole, di notevole spessore poetico. Si tratta di Monia Gaita, nata ad Imola, ma avellinese di Montefredane a tutti gli effetti, essendo lì residente fin da piccola. Monia Gaita, pur essendo una delle maggiori e più importanti voci poetiche non solo dell'avellinese, ma direi del nostro panorama letterario campano e meridionale, si distingue dalle altre per il suo particolarissimo dettato poetico, imperniato sulla ricerca di una propria originale modalità espressiva, tra l'altro ricca di termini/parole composte, che si inquadrano in uno sperimentalismo positivo e ben riuscito. Con tutto ciò, i suoi versi non appaiono affatto sovrabbondanti e artificiali, bensì fluiscono melodicamente nella loro naturale estrinsecazione.
Tra le sue pubblicazioni: “Rimandi”, persuasiva commistione di poesia e prosa, cui seguono le felicissime polifonie poetiche di “Ferraluna”, “Chiave di Volta”, “Puntasecca” e “ Falsomagro”. Attualmente collabora con la rivista di studi sulle arti e letterature europee Sinestesie.
Proponiamo qui quattro sue poesie, tratte dalla raccolta inedita "Stella comans", invitando gli amici a lasciare qualche loro commento.
Fabbisógno di scèna
Avrei voluto evitare per nói
ristagni di fiume perniciósi
o risprangate pòrte,
di nòte, strade règie, schiumeggianti.
Pareva un princìpio non ripudiàbile l’amóre
coi suoi pilastri pezzati di fulvo e riscaldanti,
gli schizzi delle lòtte mai risòlte
tra il darti un bicchière per vòlta di me stéssa
e il tòglierti percentuali alte di mòre sciroppate
fuòri pasto.
E nel ragionierìstico càlcolo del pèrdo e del guadagno,
si rabbruscava in vólto, bloccata nel volante,
la ragióne
che con un bastoncino brevilòquio in peridèrma,
tracciava dei rabéschi d’impotènza ad àmpio ràggio
sulla sàbbia.
Ora compréndo la cariolinfa,
pianale di stranézza, fitta di ragnatéla, del mio móndo
a cui rannòdi ogni tuo gèsto rapace e rapinóso,
e consapévole di quell’idèntica farina che c’impasta,
quasi sorrido
della ficta disiunctǐo che il presènte riquadra,
fabbisógno di scèna,
sul pannèllo.
Brevilòquio: qui usato come agg. Che parla poco, che si esprime con poche parole
peridèrma: s.m. Insieme di tessuti che nei fusti e nelle radici con accrescimento secondario sostituisce l’epidermide
cariolinfa: s.f. In citologìa, il succo nucleare citologìa: s.f. Disciplina biologica che studia le cellule degli organismi viventi e in particolare il nucleo
ficta disiunctǐo: lat. finta separazione
Flutto invèrso
Lèggo e rilèggo a ménte la tua vóce,
sanìficami pure le paure
dai saliscéndi apèrti e scalpiccianti,
dónami un bàcio abolitivo di stanchézza
che abrada con mille e più lamétte, alveolature,
i blòcchi in calcestruzzo,
resistènze.
E se l’avéna rimbambita d’un perché
mi chiède spiegazióni sabbionósa,
è sólo per capire
l’appiómbo di motivi abbrustoliti del mio amóre
che usucapitoti finanche nell’assènza
va vetrinandosi di luce da ricamo.
E se ricàccio in góla queste làcrime
nei tròppi eccètera di dùglie d’assodato,
punto raso,
è unicaménte l’ànsia che ho di pèrderti,
mio fabbricante d’òle di mistèro,
mio flutto invèrso, mio si bemòlle arguto,
carovanière retroattivo, ribaltóne,
colpévole del furto
di me intéra.
Il mio paése
E’ circondato il mio paése
da una coróna incalcolàbile di vènti crepitanti,
una coróna di spine,
un còrpo armato di stélle,
un àmpio indìzio di córse di cinghiali
che impóngono tributi di paura imprecisàbile a campagne
dóve i falchétti segnalano il confine
tra l’incantésimo di fichi néri e bianchi
e fùlmini che incartano partènze.
Il mio paése
ha incastonato fuòchi, sógni e fondaménti in un anèllo,
l’anèllo invisìbile e matèrno
che incastra il cùneo degli impulsi e dei messàggi
déntro il légno,
che include nell’elènco delle piètre anche il mio nóme
su cui s’incróciano
in un punto di segréti interpellanti
lane e fèrri.
E’ qui che vòglio stare,
al largo delle còste dei rumóri d’altri luòghi,
déntro Magliano mia, pure da mòrta,
nella casa dóve mia nonna
recitò per una vita il crèdo macinato del lavóro
e mi crébbe, cóme una pianta a ùnico esemplaretra fissi Cristi e Madònne transitive,
idiòma di rosàri, distinto croceségno alle paréti,
con amóre.
Magliano: il vico di Montefredane in cui sono cresciuta
Lampi cédro
Semidistrutta da un incèndio e prontaménte restaurata
la speranza
a rovesciare le zòlle d’impossìbile con vanghe
passando per il rótto della cùffia
óltre la lògica dai tarli roditóri
saliti percuziènti alla ribalta.
Chi mi rimborserà di tutte le spése sostenute
nel procèsso rettinèrvio-rivoltóso dell’illùdermi,
quando la vóce robusta alla ragióne
si fa nulla
e pòsso evàdere
dal càrcere speciale a vénti piani dei secóndi?
Pòsso scavarti gallerìe
déntro la viva ròccia del respiro perituro,
depórre sópra un rògo di distante permanènte
la salma dei tuoi se sènza risèrve,
permeare lo strato di terrìccio degli ostàcoli a caténa
d’uscite piallatrici e lampi cédro.
Così,
facendo un pèssimo raccòlto di certézze ed argoménti
e dando un péso superióre alle sue fòrze all’intenzióne,
rièsco addirittura ad èssere felice,
a pettinar la séta alla paura piantatènde,
frugata nelle pièghe dell’incònscio,
d’un tuo sguardo.
Piallatrici: agg. Che spianano, che lisciano
Lampi cédro: lampi del colore del cedro
Appare immediatamente chiaro, da questi testi, che Monia Gaita ha lanciato una sua personale sfida al linguaggio, che esplora, sforza ed infine piega alle esigenze del suo dire. E' a caccia di formule nuove, di passaggi segreti, di soluzioni lessico-sintattiche inedite, della parola/verbum che -unica- dica, esprima. Operazione bella e rischiosa, che richiede equilibrio tra momenti e componenti dell'atto creativo per non sfociare in pura verbalità. Rischio che Gaita qui non corre perché l'emozione che percorre questi versi vive in armonia con gli elementi formali, senza sbilanciamenti.E "Il mio paese" mi sembra il testo più riuscito.
RispondiEliminaIl linguaggio usato dalla Gaita è pieno di punte, guglie, unghie affilatissime, ed è increspata e piena di sorprese, il che dimostra un lavoro di vivo interesse condotto parola per parola, quasi sillaba par sillaba che la conduce a porre un muro tra la parola poetica e quella parlata, un muro fatto di immagini forti, di vissuto e di realtà, ricco di esplorazione interiore. Brava. Stelvio.
RispondiEliminaIl commento del 3 giugno ai testi di Monia Gaita è dell'amico, validissimo poeta, Pasquale Balestriere. Aggiungo qui il suo nome, non potendo intervenire direttamente all'interno del commento stesso. Lo ringrazio di cuore.
RispondiEliminaA questo proposito raccomando agli amici di non dimenticarsi di inserire il loro nome al termine del commento, sempre se lo desiderano, per lasciare una traccia del loro "passaggio". Grazie!
Giuseppe Vetromile
Cari amici, vi ringrazio di cuore per gli articolati commenti che fanno un'affettuosa accoglienza ai miei semplici versi. E faccio un augurio sincero ai poeti Pasquale Balestriere, Stelvio Di Spigno e Giuseppe Vetromile. Sono felice di aver incontrato delle sensibilità così alte e acute. Tra tanti discorsi addensati di conformismo e luoghi comuni, ascoltare voci fresche e intelligenti è un premio raro, mirabile e gradito.
RispondiEliminaUn saluto caro
Monia Gaita
la piacevole sorpresa di queste poesie mi chiarisce la frase di p. valery: la poesia è un'esitazione prolungata tra senso e suono-
RispondiEliminaqui siamo nel territorio della ricerca quasi esasperata del suono, ricerca consapevole e immagino rimarcata dalla evidenziazione degli accenti, una ricerca che da una parte ci riporta alle radici arcaiche della poesia, declinata in una metrica che costeggia il canto e la danza, da un'altra parte spalanca le porte alla ridondanza, - donami un bacio abolitivo di stanchezze - . mi piace il commento di stelvio in cui dice che -il linguaggio è pieno di guglie, unghie affilatissime, ed è increspato e pieno di sorprese -, mi ricorda certa tecnica compositiva musicale in cui al tessuto melodico si sovrappongono suoni e rumori, frenate di auto, vetri che si frangono, squilli del telefono.
La resa è interessante, alcune forzature sono al limite, per esempio usucapitoti, ma comunque si inserisce bene all'interno del discorso che impernia sul suono il proprio fulcro. qualche dubbio me lo pone il verso: -passando per il rotto della cuffia-. Mi sembrano tutte belle e compatte le poesie presentate, una lettura interessante, grazie! - paolo polvani -