mercoledì 31 agosto 2022

"Il disordine degli abbandoni", di Antonietta Cianci

È sempre molto forte il legame con le proprie origini ed è questo un tema che sovente ispira e addirittura alimenta la creatività di molti artisti e creativi, costretti a vivere lontano dai propri luoghi natii. Non si sottrae a questo percorso nostalgico la poetessa Antonietta Cianci, della quale abbiamo già avuto modo di parlare su Transiti Poetici presentando il suo libro “Radici” (https://transitipoetici.blogspot.com/2020/11/le-radici-di-antonietta-cianci.html), antecedente a questo suo recente lavoro, Il disordine degli abbandoni, in cui la nostra poetessa riprende in qualche modo il tema della lontananza e dei ricordi. Ma pur essendo largamente intrisa di un sentimento forte di rimpianto, la poetica di Antonietta Cianci in questa sua recente raccolta richiama altre prospettive e indica orizzonti diversi dal mero ricordo legato alla sua terra d’origine, maturati e rafforzati in direzione di una nuova consapevolezza di sé, irrobustiti da una speranza e da una determinazione a ritrovare un nuovo equilibrio esistenziale: “Tu sei un'araba fenice / bruci, ti consumi / sei cenere e fumo. / Ti raccogli, / ricomponi la bellezza, / incolli le ossa frantumate / e i sorrisi spezzati”. Così afferma la nostra poetessa in “Rinascite”, una delle composizioni più significative di questa raccolta, in quanto cela in sé questo desiderio di riprendere la gestione della propria vita, una volta metabolizzati i ricordi, le memorie, le nostalgie che sempre riecheggiano languide nel suo cuore palpitante.
Vi è dunque la determinazione di ripartire alla volta di un nuovo equilibrio emotivo e sentimentale, raccogliendo dal vecchio cammino, dai luoghi di origine, dalle memorie forse ora un poco sbiadite, i brani sparsi e offuscati della propria esistenza, o per meglio dire, parafrasando il titolo della raccolta, “abbandonati” in un disordine mesto, triste e nostalgico, e che ora va diradato, va risistemato: “Ti scrivo / dalle oscillazioni del mio disordine / dal coraggio alla paura…”. Questo “disordine” è nato però, essenzialmente, dall’emergenza sanitaria che ognuno di noi ha vissuto in questi due ultimi anni e che ha molto inciso sullo stato d’animo e anche sul nostro senso artistico e creativo. Antonietta Cianci avverte, ha avvertito, questo senso di malessere fisico e psichico, questo terrore strisciante che improvvisamente colpiva o poteva colpire chiunque, e integrando ricordi, sensazioni, sentimenti collegati a questa dolorosa situazione (che ancora oggi ha i suoi strascichi…), costruisce un impianto poetico fondato su queste tematiche: “Cosa resta / della povera carne / quando sotto il cielo di marzo / il ciliegio fiorisce / nonostante il contagio”. La consapevolezza che la Natura comunque segue il suo ineluttabile corso, nonostante gli orrori e i dolori, nonostante gli “abbandoni”, suggerisce all’autrice un orizzonte di speranza, laddove sarà possibile risorgere, come novella araba fenice, dalle ceneri del disfacimento, inteso qui anche metaforicamente come dispregio o addirittura “abbandono” della solidità di certi valori fondanti dell’esistenza, come la pace, l’amore, il rispetto per la natura e per le proprie radici.
Una poesia senza dubbio interessante, che induce a riflettere sulle tematiche della solidarietà e delle affettività, troppo spesso relegate e “abbandonate” per una quotidianità ormai diafana, superficiale ed egoista.




Rinascite

Tu sei un'araba fenice
bruci, ti consumi
sei cenere e fumo.
Ti raccogli,
ricomponi la bellezza,
incolli le ossa frantumate
e i sorrisi spezzati
E cammini.
Che siano luoghi noti
o il buio ignoto
Tu cammini
nel freddo
nella pioggia
con la febbre,
non ti siedi
cerchi l'angolo di te
che ancora brilla
e rinasci.


***


La primavera della quarantena

Cosa resta
della povera carne
quando sotto il cielo di marzo
il ciliegio fiorisce
nonostante il contagio

E non contano le nostre lacrime
se, cadendo uno per uno,
non c'è primula che non spunti
O rondine che non torni

Non importa se abbiamo paura
il sole sorge e tramonta
mentre guardiamo dalla finestra
l'inesorabile andare del giorno

Siamo briciole di un universo
che crediamo ci appartenga
con il solo potere
di non sprecare
il tempo, tanto o poco, che ci è destinato.


***


Luoghi immaginati

Ti scrivo
dal mio stagno di inquietudine
nelle ore grigie
di un martedì mattina

Aprile mi scorre addosso
senza sosta

E Bergamo mi smargina la vita.

Ti scrivo
dalle oscillazioni del mio disordine
dal coraggio alla paura
che fa perno sul presente

dalle mie giornate fragili
appoggiate sul divano.

E sogno luglio
che mi sia di cura
il coraggio del futuro

E un luogo riposto
che mi salvi
dalla smarginatura


***


Amami

Amami
nelle distanze dissolte
dal mio caparbio cercarti
nei giorni veloci a finire

nei tempi dilatati
del nostro sentire

Amami
quando sono stanca
e ho paura
di non salvarmi
dalle grinfie
di un dolore che mi accompagna.

Amami
rotta
perché la vita spesso è crudele
e ti spezza nei punti
che credevi più certi

Amami
senza trucco
e senza difese
nei miei sonni interrotti
e ricuciti sul divano
nei pomeriggi d'inverno.

Portami via
da dove ristagno

Andiamocene
ovunque io e te possiamo essere
ovunque tu possa volermi
senza riserve.


***


Attese

Parto
con la valigia piena di conchiglie
raccolte sulle rive del tuo mare
nei pomeriggi di agosto
in cui cercare un angolo incontaminato
di terra e di cielo
non brucia.

Parto piena di attesa.

Ti aspetto
Come il tronco radicato nella sabbia

Aspetta
L’onda che lo venga a rinfrancare
Dall’arsura dei mezzogiorno tutti uguali

Aspetto che il mio sogno risplenda.

La luce e l’avvenire.


***

Luci fioche

Non sono per te lo scarto
la virata
il salto verso l'orizzonte
ancora disteso
Non sono l'urgenza
lo slancio
irresistibile
che ti spezza le corde
e vibra
Io sono per te residuo
il disavanzo
di un amare disabile
Sono luce troppo fioca per un buio irriducibile
un'idea di possibile
che si schianta sul muro
dell'impotenza
e frana
Sei vecchio e ancora sbagli
Sei vecchio e non sai
quanto è raro
il vero e la sua carne.
E perdi i pezzi uno ad uno
stando lì sulla poltrona
con il respiro corto
e il corteo delle perdite
che ti sfila accanto.


***


Terra vesuviana

Eravamo di poco distanti
due chilometri
forse tre
sotto lo stesso cielo di maggio

a respirare
l'aria sulfurea
a calpestare una terra elettrica

la nostra
quella del magma
del fuoco
del passaggio

E tu che
mi parlavi
di caso e destino
del punto friabile
tra vita e dolore
tra respiro e distruzione

di Dio
che esiste
sul limitare invisibile
del dire
e oltre si annienta

mi riconciliavi
senza saperlo
con il residuo

quel che di me qui resta
e non dissolve

quel che mi ha reso tua
senza esserlo

E cambia
la direzione dello sguardo

annebbia la meta
riannoda i fili.

San Giuseppe Vesuviano
24 maggio 2021


Testi tratti da:
Antonietta Cianci, Il disordine degli abbandoni, Transeuropa Edizioni, 2022; prefazione di Donato Antonio Loscalzo.

Antonietta Cianci è nata nel 1980 a Napoli. Dopo essersi laureata in Lettere Classiche ed aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento, si è trasferita a Bergamo, dove attualmente vive e lavora come docente. Ha precedentemente pubblicato Radici (Transeuropa Edizioni, 2019).

 


martedì 23 agosto 2022

Oltre la fermata: Antologia di Autori vari curata da Giorgia Deidda

Abbiamo già avuto modo di parlare della poesia della giovane autrice Giorgia Deidda, in una nostra nota apparsa su Transiti Poetici (https://transitipoetici.blogspot.com/2020/11/il-sillabario-senza-condono-di-giorgia.html). Ora la ritroviamo qui, ma in veste di curatrice. È infatti sua la curatela di una interessante Antologia, intitolata “Oltre la fermata. Tra sogno e realtà”, scrivendone peraltro una approfondita prefazione e un’altrettanto forbita postfazione.
Si tratta di una intelligente raccolta di poesie, pensieri, aforismi, narrazioni, di autori che frequentano il Centro Diurno “Il melograno” di Orta Nova, in provincia di Foggia, e risultanti da una lunga frequentazione di un laboratorio di poesia ideato e condotto dalla stessa Deidda. “Il centro diurno “Melograno” è pieno di operatori e di psicologi che riassestano l’equilibrio a volte precario dei pazienti; un continuo controllo amorevole, uno sguardo o una risata, una gita fuori porta.” Così scrive Giorgia nella prefazione, e mi sembra un’affermazione molto sincera e addirittura poetica, nel senso creativo e artistico del termine, per riflettere sulla realtà di persone che sovente hanno bisogno del sostegno psicologico e affettivo per poter condurre una vita “normale”. Quanta creatività, quanta poesia e quanta voglia di vivere si riscontra in queste persone, e il grande merito della nostra brava autrice e curatrice Giorgia Deidda sta proprio nell’aver saputo capire in profondità l’animo artistico di questi autori, di averli compresi uno ad uno, nelle loro peculiarità, ciascuno nelle loro attitudini artistiche e letterarie, di averli incoraggiati, guidati e spronati durante le varie fasi del Laboratorio di scrittura, fino alla realizzazione del libro, che materialmente rappresenta un obiettivo validissimo di alto contenuto umano e letterario.
Oltre la fermata è il titolo metaforico del lavoro antologico, intendendo che è possibile, e non solo per le persone che soffrono di certi disagi psichici e fisici, ma anche per tutti, traguardare oltre il proprio “punto fermo”, la propria stazione, ovverossia la propria fermata (dove magari si attende sempre qualcuno che passi a "prenderci"), e avere il coraggio e la determinazione di andare avanti, di procedere sempre verso il meglio, per sé stessi e per tutti gli altri.
Un plauso particolare alla curatrice, dunque, validissima poetessa anche lei, per aver voluto realizzare quest’opera letteraria utile non soltanto agli autori antologizzati, ma per tutti i lettori sensibili alla poesia e al senso di umanità che ci pervade.

Riportiamo qui di seguito tre testi tratti dall'Antologia, secondo me rappresentativi di tutta l'opera, per quanto ogni Autore abbia espresso il meglio di sé e andrebbero letti tutti.


Nel Centro mi sento trasformato;
i problemi rifuggono
e divento me stesso.
Il punto che scappava via,
riesco a prenderlo,
e la gente mi sembra un formicolio di parole


(Manuel Barbu Marin)

***


Le collane di perle sono il mio essere;
c’è chi le indossa e chi le ha dentro.
Io le amo di tutti i colori;
bianco perlaceo, rosa, azzurro.
Le perle s’incastonano tra il mio cuore
e la mia pelle bianca.
Sanno parlare e comunicare, sanno dialogare.

(Celestina Botticelli)

***

Si fa notte.
Esce il ragazzo col cielo stellato,
sotto l’ombra del destino.
Blu le vele che ormeggiano sul pelo dell’acqua;
felice come oro, tinteggia i bar che lo squadrano.
Il caffè, mattone striato, ravviva i sensi
e lo conduce a casa,
a riecheggiare tra il cuscino e il muro
il vuoto dell’esistenza.

(Gianni Trotta)

***

Il libro è disponibile in formato kindle

martedì 16 agosto 2022

Gli "Affreschi strappati" di Giuseppe Settanni

Comporre, tentare di comporre e poi, insoddisfatti, modificare, variare o addirittura “strappare” È questo il destino degli artisti, e quindi anche dei poeti. L’insoddisfazione però non è forse il termine esatto: più che altro, si tratta di una specie di malumore, di un velato disagio derivante dalla consapevolezza che non si è raggiunto pienamente quello che, disperatamente e amaramente, si intendeva dire, proporre, manifestare. L’”affresco”, opera d’arte o impianto poetico, non è mai rispondente al cento per cento a ciò che l’artista si prefiggeva. E qualche volta, va divelto, va strappato, per rifarlo daccapo!
Questo impulso creativo che sprona e incoraggia l’autore a raggiungere, almeno asintoticamente, il confine della propria idea poetica, di metterla finalmente per iscritto (per poi da qui ripartire per altri orizzonti, dacché è chiaro che la poesia, proprio in virtù di quanto affermato più sopra, è materia fluida e sfuggente, che mai riempirà di grazia i nostri “contenitori” intellettuali ed emotivi…), si materializza appieno in Affreschi strappati di Giuseppe Settanni, Ensamble Edizioni 2022, e di cui proponiamo qui di seguito alcuni brani.
Qui sia il lessico che il contenuto, e persino lo stile, distaccato e misurato (la mancanza dei titoli e l'assenza di maiuscole denotano una poetica decisa, senza inutili perifrasi) testimoniano insieme questo stato di inappagamento, continuamente teso alla risoluzione (che mai avverrà!), dei dubbi e dei problemi dell’esistenza. È come se si facesse un passo avanti e due indietro, intravedendo qualche luce lì di fronte al proprio cammino, ma ritraendosi subito per meglio riconsiderare e osservare i fatti: “Il passaggio è aperto ma / sembra un’arpa in decomposizione / ammutolita dal troppo rumore”.
Sono dunque versi che spiazzano subito il lettore, in quanto hanno la capacità di condurlo repentinamente da un quadro all’altro, lungo un percorso stringato ma nel quale il dettato poetico, concentrato e denso, riesce ad ampliare il concetto di partenza. C’è comunque un desiderio di recupero, di riappropriarsi delle cose minime dell’esistenza, in questi versi (“Ho bisogno / ogni volta / di un pezzo timoroso / di realtà”), e quindi la decisione di riportare i propri “affreschi strappati”, cioè tutte le parti sparpagliate e ancora vive della propria umanità, in quella fatidica cattedrale, che è poi la metafora di un’anima creativa che sempre persegue l’intento di preservare i valori sacri e fondamentali dell’esistenza.
Giuseppe Settanni con questa sua nuova silloge entra sicuramente, e meritatamente, nell’attuale panorama poetico italiano, dimostrando una grande padronanza della materia, sia dal punto di vista dei contenuti e sia per la personale forma stilistica.
Lasciamo ora ai nostri lettori altri graditi commenti in proposito.



la ragnatela appesa al ramo del castagno
e i capelli genuflessi

il passaggio è aperto ma
sembra un’arpa in decomposizione
ammutolita dal troppo rumore

la bocca si è sciolta tempo fa
nei vigneti di mio nonno

bruciati dalla fatica

un invito
a cui ora non so più rispondere


***


attorcigliato sconquassato soltanto ipotizzato:
stritola piano, questo pantheon di itterici

la meccanica
uno due e poi ancora uno due tre quattro

ansie inconsapevoli
circonvenzione di carapaci
virgole, al massimo

sul letto, a trascorrere
morituri moribondi

un rintocco, è l’ora

e la luce si spegne da sola


***


li porto via
per egoismo

ho bisogno
ogni volta
di un pezzo timoroso
di realtà

può essere una cantilena
o un sacchetto di semi
o ancora del cotone
oppure il calco di uno stelo

li attacco
per avidità

nella mia cattedrale,
i miei affreschi strappati


***


ottuagenari luccicanti
avvolti in epidermidi
senza aperture

società
di solitudini edulcorate

microgranuli a forma di cranio
in mondovisione temporanea

le madri nascondono i ritagli
da idolatrare
per l’erotismo della notte

devo proprio?

ah sì, tutto in una pellicola
fotogrammi in sequenza
resti


***


senza neppure salutare

abrasioni
distopie

l’interruzione mi trascura
quasi fossi imbalsamato

se solo fossi riuscito
a scartare le scorie
e tenermi gli abbracci

a conservarne il calore


***


al bivio
inconciliabili parvenze
di libertà

e l’esitazione
che penetra lieve
tra i capelli

lasciarsi oscillare
tornare indietro

avendo scelta


***



né avremmo potuto affievolirci
nelle inesattezze del dormiveglia
o prima di un salto attutito

al saluto non credo più,
è quello che si attacca sulle unghie
a mantenermi in vita

torna presto
prima di adesso


Brani tratti da: Giuseppe Settanni, Affreschi strappati, Edizioni Ensemble, 2022; postfazione di Ilaria Triggiani

Giuseppe Settanni è nato a San Giovanni Rotondo nel1981. Vive a Fano. È avvocato e docente universitario. Ha pubblicato la raccolta poetica Blu (Ensemble, 2019) e vari testi su siti e blog letterari. Con alcune sue poesie ha ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il “Premio Ossi di seppia” e il “Premio Ariodante Marianni”.


giovedì 11 agosto 2022

Alessandro Barbato e la sua "Mimica dei mondi"

È indubbio che la poesia è estenuante e continua ricerca di quel qualcosa di indefinibile che è in noi e che cerca di emergere alla luce, alla chiarezza, alla definizione nitida e certa: ma la conclusione è sempre asintotica, irraggiungibile, direi quasi chimerica, perché mai nessuna azione poetica potrà sortire, soprattutto per sé stesso autore, la risposta certa e incontrovertibile al marasma di domande, dubbi, oscurità che costituiscono il nocciolo profondo della nostra coscienza e della nostra anima. Perciò la poesia è un viaggio infinito, interminabile, nel tempo e nelle cose, alla ricerca della propria verità, della propria realtà.
Dice bene quindi Alessandro Barbato in La mimica dei mondi, quando afferma, nell’ultimo verso della sua poesia introduttiva: “Cerca bene, cerca meglio”. Direi che proprio queste due laconiche indicazioni, possano costituire il nocciolo essenziale della poetica dell’autore, in questa interessante raccolta edita da Controluna nel corrente anno. Una raccolta compatta, suddivisa in sole due sezioni (Ricami e Appuntamenti), dove Barbato delinea una realtà ambigua, impegnata in una sorta di schermaglia emotiva, e aggiungerei anche concettuale, tra l’assodato e il vago, tra la sconfitta (il pozzo, le profondità da cui non si può riemergere, alla luce del sole: “Io di nascosto, e a volte, ancora cado / in fondo al pozzo che dà specchi / al tuo nitore”…). Sono queste osservazioni minuziose, attente, della realtà circostante, che sollecitano il nostro autore a organizzare una scrittura poetica intensa e allusiva, che invita a meditare sulle apparenti necessità della vita e, a volte, dell’opportunità di porsi fuori dimensione al fine di una più schietta valutazione delle cose e del mondo, che non siano influenzate e contaminate dalla loro banalità, dalla “mimica” pedissequa e vuota di significati di cui sovente sono infarcite: “…Ci ascoltiamo nelle cuffie / che ho inventato per proteggere / i miei gusci mentre avvolgono / i tuoi suoni, quando fuori eterno / il vento e lampi e tuoni danno morsi / incandescenti alla modernità / d’argilla che ci ha addormentato i sensi.
Un tentativo quindi di fare chiarezza dentro di sé, ma anche un invito a soffermarsi con saggezza sull’importanza dei sentimenti, che in questi versi vengono evocati solo in filigrana, ma evidenti ad una lettura più approfondita: per non vivere solo negli “intanti e nei frattempo”, ma per confermare quel grido d’amore chiuso in bottiglia e affidato alle correnti di un mare infinito, un messaggio forte e sincero che deve essere raccolto e partecipato da tutti.
Proponiamo dunque alcuni brani tratti dalla raccolta, invitando i nostri lettori ad esprimersi con altri eventuali graditi commenti o riflessioni in proposito.



Ricami

Cerca prima i suoni lievi, quelli
innocui da vedere, da nascondere
alla folta mascherata
d’occasione che ci dice
delle valli. Sali invece quasi
fossi monachina che si azzurra
nella gola, se c’è
ancora un po’
di vento in queste notti di granito.
Cerca bene, cerca meglio.



La luna dei pozzi

Io di nascosto, e a volte, ancora cado
in fondo al pozzo che dà specchi
al tuo nitore. E nuoto le correnti
sulla crosta della sera, tra crateri
di riflessi, divorato dai riverberi
di buio prima che li anneghi il Sole.
Ma annera la memoria ogni mattina,
asciutte le tue labbra e le mie scarpe
si dimenticano, sprofonda
nella luce l’ombra accesa
dei tuoi resti che non brillano
di Luna in questa sete.




Intanto

Viviamo negli intanto, nel frattempo,
nelle dolci e improvvisate
intercapedini di giorni sempre
uguali e senza mani che si scaldino
a nutrire le tue palpebre
di spruzzi colorati. Cerchiamo
come alianti le più sapide
correnti che sollevino
anche il corpo: per scalare
in un momento ogni mio inganno,
ogni dolore; abbandonando
finalmente in fondo al petto
le memorie che hai donato
a un regno ormai disabitato.




Quanto basta

Scompariremo piano
come il filo d’una barca
penzolante sfugge puro
all’orizzonte. Saprà scavare
nella nostra sete questo eterno
chiacchiericcio delle onde
che ci inchioderà alla riva
tra la schiuma delle storie
di cui sono zuppi i mari.
Noi no, parole non avremo,
diremo quanto basta, qualche volta,
in un respiro pieno.



Sulla soglia di un giorno

Ci ascoltiamo nelle cuffie
che ho inventato per proteggere
i miei gusci mentre avvolgono
i tuoi suoni, quando fuori eterno
il vento e lampi e tuoni danno morsi
incandescenti alla modernità
d’argilla che ci ha addormentato i sensi.
Diciamo corpi e storie che non può
vedere il mondo e che rimangono
sospesi tra gli auricolari o a volte
in fondo agli occhi arresi al rapido
sparire di ogni giorno. Muoviamo
passi certi, misurati, incontro
al nascere perpetuo di un’aurora
senza seguito né notte, racchiusi
in una luce inconsumabile
ma imprigionata pura sulla soglia.



Obblighi e devozioni

Traduco stanche foglie, se si staccano
dai tuoi capelli, e l’acqua quando
cade e inumidisce le mie mani
di cartone che disegnano
ferite. Ma è chiuso nella posa
in fondo al petto, nello scarto
tra le voci e le parole, il miele
soffice promesso a chi ubbidiva.
E noi viviamo ancora come monaci
fedeli a questa regola, cantando
lodi e requiem, come tiepide
vestali consacrate a un tempio vuoto
e ad aspettare ogni domani.



Finestate

L’ho riaffidata al mare

L’ho riaffidata al mare la bottiglia
in cui hai racchiuso il mio destino
come fosse un vino dolce
per brindare in pochi amici.
La spingerà il grecale più lontano
dalla sponda in cui bruciamo vite
e amori in un anelito di voci
che ci chiamano a tentare
di non dare ascolto ai tuoni.
Le parleranno le onde adesso
e l’urlo del gabbiano che volava
tra i tuoi occhi e sparge ancora
qualche piuma tra i miei sogni
mattutini. Ritornerà d’inverno,
forse, e avremo pronti i canti
di cristallo per versarvi ancora
intatte le parole che non dici.

Brani tratti da:
Alessandro Barbato, La mimica dei mondi, Controluna Edizioni, 2022; prefazione di Roberto Calabria

Alessandro Barbato è nato a Roma nel 1975. Dopo la laurea in Lettere, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi, dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini. Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia; è inoltre collaboratore del blog dedicato al Poeta friulano “Le pagine corsare”. È stato membro del comitato di redazione della rivista di settore “Civiltà e religioni”, oltre che di diversi gruppi di ricerca legati alle cattedre di Storia delle Religioni e di Antropologia delle religioni della Facoltà di Lettere dellUniversità UNIROMA2. Grande appassionato di poesia contemporanea, ha pubblicato liriche su rivista, blog letterari e nel 2019 la silloge Il fiore dell’attesa, confluita nel 2020 nella raccolta Solamente quando è invernoAttualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.




Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà