venerdì 29 ottobre 2021

Le poesie d'amore di Beatrice Zerbini

Conoscere una nuova voce poetica è sempre un evento che rallegra e conforta: quando la poesia è tale da suscitare interesse ed emozioni, viene da pensare che, nonostante tutto, nonostante l’imperversare di qualunquismi e di grettezze in una società sovente ipocrita e superficiale, l’arte e la buona letteratura trovano ancora spazi sufficienti ed importanti nella nostra quotidianità.
E poi, se parliamo di poesia che abbia in sé anche, e soprattutto, impronte di buona fattura, con versi dall’andamento prevalentemente ritmico, è ancora meglio. Ed è proprio questo il caso di Beatrice Zerbini, da Bologna: una poetessa che ho avuto il grande piacere di contattare e della quale molto volentieri propongo qui alcuni testi, tratti da sue raccolte edite.
Ritmo, rime, assonanze, sono le caratteristiche peculiari del suo dettato poetico, almeno negli esempi proposti. È un fluire armonioso che suggerisce segrete emozioni, ma anche il narrato coinvolge in modo sensibile. L’amore qui è un sentimento indiretto, appare quasi fra le righe, in un dialogo con l’altro che non viene nominato, ma che rappresenta comunque un legame forte, che è stato e che vuole essere ancora: “…Torna, perché ho bisogno che anche tu / e ancora tu, di nuovo / mi voglia bene. / Perché ho paura che un pezzo di me / ti sia rimasto / imbrigliato e anch’io / ho dimenticato: / di darti delle cose, / un bacio, / gli occhi con la campagna di papaveri…” Vi si ritrova, in queste liriche, anche una morbidezza del narrato, un senso di rispetto nei confronti della realtà ma soprattutto del saper attendere con consapevole grazia e delicatezza, i possibili, o sperati, orizzonti di luce e di amore. Una poesia che è, in definitiva, un canto del cuore, misurato e pronunciato con versi intelligenti, schietti, il che dimostra la grande competenza letteraria dell’autrice in materia di originalità, di stile e di contenuti.


Un giorno, saremo.
Io avrò̀ la bocca
da sussurrarti piano – come un raggio – il nome fulgente,
tu prossimità̀ e paraggi
(per sentirlo);
saremo sorgenti luminose,
apparizioni e sbocciamenti,
Orienti,
saremo tutta alba,
barlumi e irraggiamento,
l’Arco di Achille Castiglioni
e semplici lampioni;
il sole saremo,
quando un giorno saremo
e le ombre e le notti scure
saranno solo vite trapassate,
solitudini nostre (accompagnate),

reciproci disconoscerci ormai noti,
e aspettarci senza arrivare, recapitati.

Non avremo paura di accadere,
perché tutto sarà̀ già̀ successo;
non avremo tristezza del futuro,
perché ci anticiperemo i tempi
e sarà̀
tutto un presente, un giorno.
Avremo paura solamente del buio.

 

(da In comode rate. Poesie d’amore, Interno Poesia)


 ***


Torna, se puoi tornare,
confideremo nel miracolo urgente,
nello spavento da dietro
le porte,
lo sgambetto che ti fa
volare;
torna da me,
la morte faceva paura quando
non c’era;
adesso è placata, è tutta presenza
e meno
attesa.
La sopporto da sveglia;
non mi sveglia se dormo.
Mi rimane
una cosa da dire,
è un parlare, un parlarti,
raccogliere le tue orecchie e la risata
come le monete
che prillano per strada,
(e un tombino è lo sgomento);
Ho l’urgenza
della tua bella faccia fredda,
che si imperla di sudore,
ma non muore.
Torna, perché ho bisogno che anche tu
e ancora tu, di nuovo
mi voglia bene.
Perché ho paura che un pezzo di me
ti sia rimasto
imbrigliato e anch’io
ho dimenticato:
di darti delle cose,
un bacio,
gli occhi con la campagna di papaveri,
il sudore sulla mia
camicia stretta;
di dirti grazie per aver guardato,
avermi lasciato
sguazzare nell’azzurro.
Torna e torna
a credere come i vivi
che la morte non esista.

(da In comode rate. Poesie d’amore, Interno Poesia)


***


Sferza fino al rosso
vivo, l’epilogo dei blu:
del cielo, del mare, degli occhi,
fa’ coltre, fa’ sonno, fa’
tu;

poi sbianca, depriva, smungi,
fai torpidi
i giardini dei circoli;

finiscici,
in fuga dai tendoni burrascosi;
chiudici
dentro alle vetrine dei bar,
a scampare il disastro di un metro;

prendi
i bambini da dietro
i cancelli di scuola,
lascia che
s’infanghino i garretti,
sporca, raffredda, zittisci.

Piovi, ingrigisci, sciogli
le foglie sotto
alle suole;
strappa di venti per strada
il velo alle suore.

Ridi nel mosto,
mettici
i frutti nei piatti;

sii autunno, senza
vergogna, tripudio
di niente, preludio
al finire; per quanto
difetti
di gemme, sii
perfettamente autunno.

Qualcuno ti amerà pure,
senza che sbocci,
senza tu splenda,
senza tu dia,
ché tutto prendi;

lo avrai un fiorire tuo
che non ti vedo io,
la tua
stagione degli amori, in te,
come anche il morire dovrà pure
da qualche parte
cominciare.

(da Mezze Stagioni, AnimaMundi Edizioni)



Beatrice Zerbini è nata il 17 gennaio 1983 a Bologna, città che le ha permesso, già̀ dal 1987, di dedicarsi allo studio del ritmo e della parola, grazie al celebre coro, diretto da Mariele Ventre, di cui ha fatto parte. A otto anni, ha iniziato ad avvicinarsi alla lettura e alla scrittura di poesie.
Nel 2006 ha aperto la pagina online di racconti tragicomici e di poesie “In comode rate”, ma solo nel 2019, incoraggiata dai riconoscimenti da parte di alcuni critici, ha cercato e ottenuto la pubblicazione. In comode rate. Poesie d’amore (edito da Interno Poesia) è la sua opera prima in versi, ad oggi alla V ristampa.
Testi e recensioni della raccolta sono comparsi in importanti riviste poetiche (tra cui Poesia di Crocetti, Atelier Poesia, Centro Culturale Tina Modotti) e in trasmissioni radiofoniche e televisive (Tv7 – Rai Uno, il Sabbatico – Rai News 24, Fahrenheit – Rai Radio 3). È stata ospite di diversi Festival, tra cui il PoesiaFestival (2020 e 2021), l’Alzheimer Fest, la rassegna Il Rumore del Lutto (XIV e XV edizione).
A giugno 2021 è uscito il libro Mezze Stagioni, una piccola raccolta di prose e suggestioni poetiche (per la collana Piccole Gigantesche Cose della casa editrice AnimaMundiOtranto). Dall’inizio del 2020, sta inoltre dedicandosi ad un progetto a sostegno delle famiglie dei malati di Alzheimer, diventato, nella primavera di quest’anno, anche uno spettacolo teatrale di musica e poesia.


martedì 26 ottobre 2021

Francesca Innocenzi e il suo "Canto del vuoto cavo"

Cimentarsi in forme poetiche diverse da quelle usuali, come l’haiku e altre espressioni simili, denota da parte dell’autore non solo un grande coraggio (è facile cadere nella superficialità...), ma soprattutto una grande conoscenza e competenza di quello stile. Ne è sicuramente consapevole Francesca Innocenzi, esperta poetessa marchigiana e profonda conoscitrice di culture tardoantiche. La raccolta poetica di cui qui brevemente parliamo, Canto del vuoto cavo, edita da Transeuropa nel corrente anno, è infatti costituita da 40 senryu e da 20 tanka, come recita il sottotitolo, a maggiore chiarimento del fatto che la nostra autrice ha voluto utilizzare una forma che solo per certi aspetti ricorda il tradizionale haiku giapponese, ma che in realtà utilizza di questo soltanto la formula di base (tre versi di cui il primo ha 5 sillabe, il secondo 7 e il terzo di nuovo 5), avendo in sé un più marcato senso di contenuto. Anche il “tanka”, utilizzato dalla Innocenzi nella seconda parte del libro (ma non vi è segno di una netta separazione), è una forma particolare di poesia formata da 5 versi.
Senza però andare più nello specifico o nella tecnica di tali espressioni poetiche, desidero qui semplicemente presentare e proporre questa recente opera della Innocenzi, che è da apprezzare moltissimo, non solo per il difficile compito che certamente ha dovuto affrontare nello scrivere i testi nel pieno rispetto delle regole e degli schemi da osservare, ma soprattutto per la bontà e la profondità di contenuto che ne scaturisce. Leggendo in modo continuo tutte le composizioni, si evidenzia un certo filo conduttore basato proprio sul titolo: canto del vuoto cavo. Vi è sottolineato, in tutta l’opera, un senso di ricerca esistenziale da attuarsi attraverso l’isolamento dalla folla e dai rumori del mondo, per concentrarsi su sé stessi nel silenzio della meditazione: in questo modo, l’utilizzo di forme poetiche simili è perfettamente aderente e consono alla cultura e alla filosofia orientale, che noi “occidentali” purtroppo sottovalutiamo o ignoriamo del tutto.
I pochi versi di ciascuna composizione sono intensamente significativi, racchiudono tutto un mondo e tutta una storia: poche parole ben “sistemate” che armoniosamente dicono un attimo ma raccontano l’eternità e l’infinito. Immagini della realtà, memorie, luoghi, che si trasformano in simboli di vita universali. E come dal vuoto cavo, privo di movimento e di storia, immobile in sé, non sortisce alcun disturbo, alcuna distrazione, così in questi versi della bravissima Innocenzi il vuoto interiore, cavo, limpido, genera un canto sublime ed infinito, mai più frastagliato o inquinato dalla materialità del mondo esterno.


extrasistole

che scende alle ginocchia

da quarant’anni.


padre, tu il primo.

delirio di tormenta,

tonfo nel vuoto

 

 ***

 

coriaceo questo

canto del vuoto cavo

rifranta linea


nera. Tu mise

en abime dell’azzurro,

piuma di pianto

 

 ***

 

pelle di mela

la sera allo specchio

miele che cola


il corpo trema

cosa scartata, molle

sul pavimento

 

 ***

 

on the dark side.

schianto di luna persa

tra i gerani


l’ossesso chiama

spettri di cavo sole

dentro l’abisso

 

 ***

 

[Torino]


La pioggia sfiora

casseforti di case

cruda, a spiare


parole andate

una Olivetti accanto

al davanzale

 

 ***


maggio, racconta

la verità del cuore.

da tanto verde

assorda in silenzio

il parco diroccato

 

***

 

sei così nebbia

che anche le tue parole

di fionda sono

niente, vento caduto

scorie di un fatuo rosso

 

***


le cose stanno

anche se non le vedi.

sul riverbero

sosti, millimetrico

angolo di scacchiera

 

 ***

 

[congedo]


quaranta estati

di tenero amore

per te, mi fosti

spettro e avo, figlio,

mio fratello per sempre


(Brani tratti da: Francesca Innocenzi, Canto del vuoto cavo, 40 senryu doppi / 20 tanka; Transeuropa, 2021)

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (An) nel 1980. È laureata in Lettere classiche e dottore di ricerca in cultura di età tardoantica. Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012) e Non chiedere parola (2019); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011); il romanzo Sole di stagione (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia “Il Mangiaparole”. Ha ideato e dirige il Premio letterario “Paesaggio interiore”.




lunedì 25 ottobre 2021

Carlo di Francescantonio, l'"ultimo argonauta"

Si nota subito la poesia importante, la poesia che lascia un segno, che scuote e coinvolge emotivamente il lettore, specialmente quando il progetto poetico prende spunto e abbrivio da temi particolari o anche da storie, aneddoti e miti. Su Ulisse, per esempio si è scritto tanto, e lo si “usa” ancora, metaforicamente, in intelligenti e originali composizioni poetiche. Qui però la figura simbolo presa a prestito, diciamo così, e in modo davvero arguto e illuminato, è Giasone, il mitico argonauta, alla ricerca del fatidico “vello d’oro”. Giasone dopo mille peripezie, si sa, riesce a conquistare la mitologica pelle d’ariete che gli darà forza e potere.
Ma in un mondo così votato al degrado – come purtroppo sembra, e i segnali sono piuttosto evidenti! – ci sarà ancora qualcuno disposto ad intraprendere un viaggio (più di concetto, magari culturale, umano e sociale, anziché materiale) per riconquistare quel poco di valido e di genuino che ne è rimasto? Ecco dunque che il poeta si assume questa “responsabilità” e, da “ultimo argonauta”, affronta il “periglioso viaggio” verso una novella Colchide, alla ricerca simbolica di quel valore, di quella luce che possa sovvertire, in qualche modo, le sorti dell’umanità. Si tratta, in fin dei conti, di un viaggio di redenzione, di denuncia dei gravi peccati che da sempre, e ancora oggi, affliggono la società, un itinerario quasi cristiano, che fa pensare ai pellegrinaggi nei luoghi sacri di ogni dove, punti di accumulazione di quelle pietre miliari perdute, o nascoste sotto la superficie dell’egoismo e di ogni altra negatività, di ogni altra nequizia che caratterizza questa nostra società frammentata, disarticolata, disarmonica e irrispettosa verso sé stessa e nei confronti della natura.
Ed è allora con questo spirito che Carlo di Francescantonio, in questo suo arguto e indovinato progetto poetico, affronta il tema della ricerca del “vello d’oro”. Ma si tratta di un viaggio piuttosto introspettivo, forse addirittura amaro, in quanto questo suo poemetto “Anche l’ultimo argonauta se n’è andato” appare quasi come una denuncia dello status quo, una sorta di reportage psicologico ma anche dei luoghi, delle storie e delle abitudini, visto e vissuto dall’autore attraverso la sua sensibilità interpretativa. È una dichiarazione di sconfitta? È l’amara rassegnazione che l’autore prova dinanzi a tentativi falliti di riportare indietro il “vello d’oro” metafora o simbolo di entusiasmo, forze e potenzialità tali da ristabilire nel (suo) mondo un equilibrio di schiettezza, di genuinità, di amore, di bene, come più volte narrato nei suoi versi sovente riferiti a figure e luoghi di gioventù semplice e autentica? Direi invece che il prospetto complessivo della silloge sia piuttosto quello di indicare e suggerire a noi tutti che c’è sempre la possibilità di ritrovare noi stessi, la nostra umanità, la nostra verità intrinseca, cercandola magari nelle terre perdute della nostra anima e del nostro cuore, oggi offuscati dalle nebbie del pressapochismo e della superficialità omologante. Possiamo essere tutti l’ultimo argonauta, c’è ancora tempo di rinascita e di redenzione. E qual è l’arma per andare alla conquista del vello d’oro? Ma certamente la parola, la parola poetica, la poesia! Carlo di Francescantonio ne è pienamente consapevole, e perciò utilizza un suo stile assolutamente aderente, cadenzato, con un verseggiare che fluisce rapido e inarrestabile, dove le immagini e le storie di sé e dei luoghi evocati appaiono come pietre ben salde e levigate lungo il fiume in piena.
Un’opera letteraria, questa raccolta, da apprezzare per il simbolismo insito nel progetto e per lo stile originale del dettato.

Proponiamo ai nostri lettori alcuni brani tratti dal libro.

 

Anni Ottanta

noi si andava
passando da un giorno all’altro
come il più volgare dei salti all’ostacolo

ammazzavamo gli anni
negando calendari e orologi

un vivere alla giornata
- come se fossimo ancora nel dopoguerra
invece che negli anni Ottanta -
era antidoto inconsapevole
al più grande impoverimento culturale

in quella decade
gli embrioni di un virus che avrebbe portato
la demenza per le classi politiche di domani

tutto un futuro di incapaci autorevoli
un fallimento epico stava accadendo

le persone fallivano
sedute davanti ai primi Grundig a colori
con la certezza di stare
attraversando il divertimento
- divertirsi da morire -

infatti si moriva e qui siamo arrivati morti



***


Il giorno del mio 43esimo compleanno

i vecchi cimiteri
le tombe che si infossano nel terreno e io
guardo tutti quelli che hanno cercato riparo qui
tra i monti dell’entroterra ligure
luoghi dove il cancello d’ingresso resta sempre aperto

ci sono andato già due volte
a rivedere il viso dei miei parenti diventato marmo
e gli altri con l’aria seria
tutto stipato di fotografie­ scurite dal tempo

a me pare che ognuno abbia ancora una cosa da dire
ma la morte non lascia mai il giusto spazio

in gita per i viali
le lapidi
inizio una preghiera e mi distraggo
non è mica facile concentrarsi in mezzo a tanti nomi
volti e lumini

c’è quasi rumore qui
ci si perde


***

anche oggi sono passato in libreria

anche oggi sono passato in libreria
lo faccio quasi una volta al giorno

oltre ai libri
passaggi partenze arrivi resi
consegne clienti corrieri
movimenti di fretta come nelle stazioni

ogni tanto entra qualcuno che
non c’entra nulla con l’ambiente
elefante dentro la cristalleria

mi piace guardare gli stessi titoli
quelli che non compra nessuno e che
in tempi brevi tornano al magazzino poi al macero
quelli nuovi no perché negli scrittori di oggi
ho il terrore di incontrare gli attuali lettori

troppi i ­finti autori che arrivano da altri territori
la narrativa come hobby o vanità
di solito ex qualcosa
manager medici avvocati
quella piccola itaglietta cameriera del denaro
pochissimo valore ma il pubblico di lettori distratti
misteriosamente risponde
bisogna saltare mine in questa epoca depressa

mi incazzo ma anche questa è la mia ricerca di pace


***


Il fastidio accanto

l’arrogante grassona nel tavolino accanto al mio
parla di disgrazie
mentre si ingozza di cappuccino e cornetto
l’amica di fronte in partecipato ascolto
e preoccupazione per il male che colpisce a caso
ha postura e presenza da attivista
quel tipo di femmina che cerca argomenti sociali
per non pensare ai tanti bisogni della carne
ma entrambe attraversate da un piacere
nel sottolineare la sofferenza degli altri

poi il discorso si sposta sul ­film Master and Commander


***


Lì è trascorsa l’adolescenza

nomi d’angoli di santi e mestieri
nomi antichi di famiglie
che sono ancora oggi il comando

ne hanno fatto il loro territorio
questi avventurieri
con la scusa di cercare lavoro
hanno ­finito con il comprare tutto

l’ospite diventa presto padrone non lo sapevi?
eppure nel mezzo di una ricchezza cafona
si muoveva un sottobosco di povertà
patita con orgoglio
di affetti difesi con i denti
e noi a stare tutti nel mezzo

a seconda delle amicizie che a tredici anni
soffrono ancora di purezza io e tutti gli altri
come me del vecchio ceto medio stavamo in bilico

c’erano i binari della ferrovia
la centrale elettrica il meccanico poco più avanti
e una grande voglia di non lasciare questa vita
senza aver fatto qualcosa che sopravvivesse al tempo
avevamo questa ­fissa
Stefano ti ricordi?

e nel frattempo abbiamo fatto di tutto
ci siamo accaniti come pazzi
e lì è trascorsa l’adolescenza

è ­finito tutto quel pomeriggio
sono andato da mia nonna per chiederle dei soldi
volevo comprarmi un disco
era come se sapessi che mi avrebbe cambiato la vita
quel disco e invece niente

c’erano le fotografi­e incastrate ai vetri della credenza
i guanti di Tiziana sono stati per diverso tempo
il mio peccato


(Testi tratti da: Carlo di Francescantonio, Anche l’ultimo argonauta se n’è andato, RPlibri, 2021; introduzione di Antonio Bux)

Carlo Di Francescantonio è nato a Santa Margherita Ligure nel 1976. Collabora con il Festival della Parola di Chiavari e si occupa di poesia sul blog “Letteratitudine”. Ha pubblicato tre romanzi e nove raccolte di poesia. Tra queste, Memorabilia. Poesie 2000-2015, con la prefazione di Alessandro Fo, Uomini in fiamme, scritto con Mirko Servetti, prefazione di Antonio Bux e Anche l’ultimo argonauta se n’è andato con postfazione di Marco Berisso. È presente nelle antologie Umana, troppo umana. Poesie per Marilyn Monroe e Voci dall’esilio, nelle riviste “Atelier Poesia”, “Banchina”, “Mirino”, “Satisfiction”, “Fluire”, “l’immaginazione” e all’interno della collana Poeti e Poesia a cura di Elio Pecora. Ha partecipato al disco di poesia e musica elettronica Poème électronique. 2016/2020, nato dall’omonima rassegna letteraria a cura di Ksenja Laginja e Stefano Bertoli. Nel 2021 ha fondato, insieme a Stefano Bertoli, Roberto Keller Veirana e Gianni Rossello, “Magazzino CdF” gruppo di ricerca musicale ambient, noise, industrial. 



lunedì 11 ottobre 2021

La poesia di Alessandro Barbato

È un delicato sentimento di amore verso la natura, il mondo e l’umanità, il racconto poetico di Alessandro Barbato, da Roma, del quale proponiamo qui alcuni suoi testi inediti per la rubrica “Proposte in Transito”. Il suo è un canto di ricerca di quelle verità intime, essenziali, che sono alla base di ogni buon rapporto e confronto con l’altro, in una società che l’autore avverte ancora dilaniata, frammentata, quasi dispersa. I versi hanno una sonorità dolce e lirica, con un andamento morbido e armonioso. La poesia richiede un impegno serio e significativo: Alessandro Barbato ne è consapevole e si muove in questi ambiti letterari già con un acclarato talento, con frequentazioni assidue, presenze su blog e riviste letterarie e l’apprezzata pubblicazione di una silloge.


Malerba

Raccoglierò i miei fiori
lì soltanto dove spuntano
tenaci tra malerbe di sospiri,
liberati dall'alone che rimane
sui miei giorni di cristallo.
Li trapianterò tra i gelsi
che pazienti ancora aspettano
sul bordo di ogni notte che finisca
la gelata, per stanare
col profumo più selvatico
del tempo che ci resta
l'assolata eternità
dei tuoi giardini senza vento.


***


D'ogni brivido terrestre

Ci resta dentro gli occhi adesso l'eco
di lontani pomeriggi
di scintille e nubifragi,
come polvere, fuliggine
posata sulle mani mentre afferrano
i respiri e d'ogni brivido terrestre
il debolissimo richiamo.
E hanno anche i pensieri più segreti
dita lunghe, affusolate e unghie dure,
quando graffiano le notti
coi sopiti desideri
che racconta sottovoce
la tua ombra al mio fantasma.
Rimane e si dilata in universi
immaginari quel riverbero
di vita che tormenta ora le carni,
sferza e illude la memoria,
quasi fosse linfa pura
che ci bagna le radici.


***

Solo l'aria che ci sfiori

Vogliamo solo l'aria che ci sfiori
quando stritola la notte
ogni pensiero e dia alla brace
che rimane nella mente il fiato
nuovo ora perduto nella gola.
Ci accarezzi un lampo inutile
di fiamme ancora vive per un attimo,
rimaste come un vizio, un bel ritardo
che non sai giustificare
in fondo al giorno che è trascorso
mentre il vento sparigliava
i tuoi diari e le bugie
dei miei bambini. Annuseremo
forse ancora il sale e il mare aperto
dalle vele che mi indicherai
lontane tra gli oceani di derrate
alimentari e di bollette
da pagare, oppure andremo
sottocosta in tutti i sogni
che faremo e non racconti più
da tempo per timore di affogare.


***


Al passo

Ripetimi la strofa di quel canto
che ero stufo di sentire,
congiungi le parole come vergini
agli sposi, di fronte a questo
altrove dove tutte le mattine
celebriamo i primi raggi
nel ricordo delle oscure
primavere che hai scontato.
È sparso in cento sillabe il tuo mondo
e io raccolgo insieme ai fiori
pure i passi che ho tracciato
nei sentieri che si perdono
al di là dello steccato
che la notte ha costruito.


***

A tempo perso

Si perde il tempo e pure la parola
negli scivoli al contrario
che ho tentato da bambino
per mostrarmi coraggioso, in note
di canzoni che hanno quasi
cinquant’anni. Si spezzano i respiri
quando ingannano i tramonti, spariscono
gli oggetti e qualche volta ritrovarli
pare molto; va perso tutto quello
che non cresce se lo ascolti. Rimangono
tre lampi sempre pronti, un po' di pioggia
per i nostri temporali
da bicchiere; poltiglie di discorsi
fatti in sogno ai tuoi parenti
e poi le code di giornate
che ci addestrano a sentirci
come gli astri che si spengono.


***

Finestate (L'ho riaffidata al mare)

L'ho riaffidata al mare la bottiglia
in cui hai racchiuso il mio destino
come fosse un vino dolce
per brindare in pochi amici.
La spingerà il grecale più lontano
dalla sponda in cui bruciamo vite
e amori in un anelito di voci
che ci chiamano a tentare
di non dare ascolto ai tuoni.
Le parleranno le onde adesso
e l'urlo del gabbiano che volava
tra i tuoi occhi e sparge ancora
qualche piuma tra i miei sogni
mattutini. Ritornerà d'inverno,
forse, e avremo pronti i canti
di cristallo per versarvi ancora
intatte le parole che non dici.



Alessandro Barbato (Roma, 1975) dopo la laurea in lettere, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini.
Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia. Ha pubblicato anche poesie su riviste, blog letterari e, nel 2019, la silloge Il fiore dell’attesa, confluita nel 2020 nella raccolta Solamente quando è inverno, pubblicata in formato ebook da Ali Ribelli Edizioni.
Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.

venerdì 8 ottobre 2021

Pankhuri Sinha, poetessa hindi

Riprendiamo la rubrica “Transiti Esteri” ospitando questa volta alcuni testi della poetessa Pankhuri Sinha, dall’India.
Si tratta di testi molto forti, incentrati sulle problematiche sociali conseguenti alla colonizzazione dell’India, con spiccati riferimenti al pensiero di Gandhi e all’analisi dell’attuale situazione politica.
Si è cercato di rispettare quasi alla lettera il contenuto dei testi nell’operare la traduzione in italiano (per la quale ringrazio la valente artista e poetessa Antje Stehn per la collaborazione). L’Autrice ha presentato i suoi testi già tradotti da lei dall’hindi in inglese, e quindi in questi passaggi è molto probabile, come sovente accade, che qualcosa non sia perfettamente aderente al pensiero originale. Ma nel complesso rimane il senso, l’atmosfera e l’apprezzamento nei confronti di una autrice straniera così sensibile e meritevole.


1857 - A Poem

Though it was the year of 1942
That got immortalised
In public memory
Due to a movie of the same name
With the added adjective of a love story
And there were many love stories in the Raj
Nehru and Edwina were just one of them
And yes, they might top the list, but
An entire generation of Anglo Indians
Came into being, but this isn't a love poem!
Or one about the legitimacy of love, or about illegitimate love!
Concerns both love and hate, perhaps hate more and ways of curbing it
Conquering it, for the colonial raj did one good thing,
With its ideology of inherent superiority and economic exploitation
It first united the warring nation states, then the bickering religions
Giving birth to a third, ultimately
Bringing them all together in opposition
Also drawing some permanent political lines
Facilitating the creation of a nation
The year was 1947, but 1857 before that
The year of the rebellion, when the crown came in
We all know the story, right?

*

I am a historian, or a historian on a break
Doesn't matter, what matters is that the twin nations need a re-invention
A remodelling , a renaissance, a reformation , risorgimento, a re-incarnation
Nothing less than a revolution , the Arab nations have done it
For better or for worse
Spilling blood from Gaddafi 's Libya to Osama's Arabia
Some descended in war even when they were not Syria
And whether our twin brother, the difficult neighbour, needs it or not
We the secular, we the liberal, we the tolerant
We the cognizant, we the cosmopolitan, we the diverse
We the daring, we the respecting , need it, to come together again
To re-bond not just in the face of threats,
And usurpation by the forever plotting others
But against being used by petty politics
Dividing religions , humans, families!
Can we the people, not stand up, not rise up, not march
Rebel, protest against the colonizing force, impulse , power of electoral politics ?
Half drugging, half sedating people with pranks, free bies, false promises
Provoking speeches, and worse silencing them with threats
Beatings , killings , wrongful arrests, disappearances, mayhem!


*

This might be 2021, and on some days the darkness feels medieval
But am sure we can ask for more light
We can even make some,
And make it green and cool and peaceful?
Can't we? And we also do remember the year 1942
As the year in between the Second World War
When Gandhi called for the quit India movement
Asking Indians to not fight in the wars of others
Over control of colonies, we do remember, right?
Then, why do we not act upon it as well?
In these post-colonial times of new vested interests?


----


Anche se era l'anno 1942
Che è stato immortalato
Nella memoria pubblica
Grazie a un film con lo stesso titolo
Con l'aggettivo aggiunto di una storia d'amore
E c'erano molte storie d'amore nel Raj
Nehru ed Edwina era solo una di queste
E sì, potrebbero essere in cima alla lista, ma
Un'intera generazione di anglo indiani
È nata, ma questa non è una poesia d'amore!
O una sulla legittimità dell'amore, o sull'amore illegittimo!
Riguarda sia l'amore che l'odio, forse l'odio di più e i modi per frenarlo
Conquistandolo, il Raj coloniale ha fatto una cosa buona,
Con la sua ideologia di superiorità intrinseca e lo sfruttamento economico
Prima ha unito gli stati nazione in guerra, poi le religioni litigiose
Ne ha dato alla luce un terzo, alla fine
Riunendoli tutti in opposizione
Tracciando anche alcune linee politiche permanenti
Facilitando la creazione di una nazione.
L'anno era il 1947, ma prima c’era il 1857
L'anno della ribellione, quando arrivò la corona
Conosciamo tutti la storia, giusto?


*

Sono uno storico, o uno storico a riposo
Non importa, l'importante è che le nazioni gemelle abbiano bisogno di una reinvenzione
Un rimodellamento, un rinascimento, una riforma, un risorgimento, una reincarnazione
Niente di meno che una rivoluzione; le nazioni arabe l'hanno fatta
Nel bene e nel male:
Spargimento di sangue dalla Libia di Gheddafi all'Arabia di Osama
Alcuni sono scesi in guerra anche quando non erano in Siria
E anche quando il nostro fratello gemello, il vicino difficile, ne aveva bisogno oppure no
Noi laici, noi liberali, noi tolleranti
Noi i consapevoli, noi i cosmopoliti, noi i diversi
Noi audaci, noi rispettiamo, ne abbiamo bisogno, per tornare insieme
Per ricongiungerci non solo di fronte alle minacce
E le usurpazioni da parte dell’eterno complotto degli altri
Ma contro l'essere usati dalla politica meschina
Che divide le religioni, gli umani, le famiglie!
Possiamo noi gente non elevarci, non marciare?
Ribellarsi, protestare contro la forza colonizzatrice, con slancio, contro il potere della politica elettorale?
Per una metà drogano, per l’altra metà sedano le persone con scherzi, insulti gratuiti, false promesse
Provocando o peggio facendo tacere con minacce
Percosse, uccisioni, arresti illeciti, sparizioni, caos!


*

Così potrebbe essere il 2021 e in alcuni giorni l'oscurità sembra medievale
Ma sono sicura che possiamo chiedere più luce
Possiamo anche farla noi di più
E renderlo verde, fresco e pacifico?
Non possiamo? E ricordiamo anche l'anno 1942
Come l'anno centrale della seconda guerra mondiale
Quando Gandhi perorava l'uscita dell'India
Chiedendo agli indiani di non combattere nelle guerre degli altri
Per il controllo delle colonie, lo ricordiamo, giusto?
Allora, perché non operiamo anche per questo anno nello stesso modo?
In questi tempi post-coloniali di nuovi interessi acquisiti?


Pankhuri Sinha is a bilingual writer, although she writes more in her mother tongue Hindi than in English. Her first award is for her Hindi poetry “Ek naya maun, ek naya udghosh’ for which she received the Prestigious Girija Kumar Mathur award in 1995, while studying in BA  Honours part II, in Indraprastha College, Delhi University. Her first two books are collections of stories published in 2006 and 2008, with Gyanpith, a very prestigious name in Hindi publishing. Both these collections have received the love of readers and critical acclaim. She then, went on to publish two collections of Poems in English, Prison Talkies in 2013 and Dear Suzannah in 2014, both with Xlibris, Indiana. Since then, she has published four collections of poems in Hindi, Raktim Sandhiyan, Bahas Paar ki Lambi Dhoop, Pratyancha, and most recently, Geetil Raatein. She has also received numerous prestigious awards in between---Chitra Kumar Shailesh Matiyani Samman in 2007 for her first story collection koi-bhi-din, Rajeev Gandhi Excellence Award in 2013 for outstanding achievements in writing by Seemapuri Times, First Prize for poetry by Rajasthan Patrika in 2017, Pratilipi Kavita Award and many other prestigious awards. She is a student and teacher of Modern British History, currently teaching in a government college in Bihar, India. She did her Master’s in History from SUNY Buffalo in 2007. She has an incomplete Phd from University of Calgary, Alberta, Canada, which she plans to finish in the near future. She received the Dean’s entrance fellowship at the time of her admission in the Phd programme in 2008 in the University of Calgary. Her poems have been translated in several Indian languages like Bengali, Marathi and languages abroad like Spanish, Serbian, Nepali, Turkish and Romanian. These Poems have also been published in magazines of these languages. She herself has translated Hungarian, Romanian, Serbian, Italian and Turkish poets. She also translated stories by Ramnika Gupta from Hindi to English, and the interview of reputed Indian theatre personality Ratan Thiyam by Udayan Vajpai from Hindi to English. She is also a freelance journalist and has interviewed several top politicians and writers like Shashi Tharoor, Mahesh Sharma, Mark Tully, the German dancer Anne Dietrich, Professor Critic Dr Margaret Koves, Prof Istvan Voros.

---



Pankhuri Sinha è una scrittrice bilingue, anche se scrive più nella sua lingua madre hindi che in inglese. Il suo primo premio è stato per la poesia hindi “Ek naya maun, ek naya udghosh” per la quale ha ricevuto il prestigioso premio Girija Kumar Mathur nel 1995, mentre studiava in BA Honors parte II, all'Indraprastha College, Università di Delhi. I suoi primi due libri sono raccolte di racconti pubblicati nel 2006 e nel 2008, con Gyanpith, un nome molto prestigioso nell'editoria hindi.
Entrambe queste pubblicazioni hanno ricevuto l'apprezzamento dei lettori e il plauso della critica. Ha poi pubblicato due raccolte di poesie in inglese, Prison Talkies nel 2013 e Dear Suzannah nel 2014, entrambe con Xlibris, Indiana. Da allora, ha pubblicato quattro raccolte di poesie in hindi, Raktim Sandhiyan, Bahas Paar ki Lambi Dhoop, Pratyancha e, più recentemente, Geetil Raatein. Ha anche ricevuto numerosi premi prestigiosi.
È una studentessa e insegnante di Modern British History, attualmente insegna in un college governativo a Bihar, in India. Ha conseguito il Master in Storia presso la SUNY Buffalo nel 2007. Ha un dottorato di ricerca incompleto presso l'Università di Calgary, Alberta, Canada, che prevede di terminare nel prossimo futuro. Ha ricevuto la borsa di studio del preside al momento della sua ammissione al programma di dottorato nel 2008 presso l'Università di Calgary.
Le sue poesie sono state tradotte in diverse lingue indiane come bengalese, marathi e all'estero come spagnolo, serbo, nepalese, turco e rumeno. Queste poesie sono state pubblicate anche su riviste di queste lingue. Lei stessa ha tradotto poeti ungheresi, rumeni, serbi, italiani e turchi.
Ha anche tradotto le storie di Ramnika Gupta dall'hindi all'inglese e l'intervista del famoso personaggio teatrale indiano Ratan Thiyam di Udayan Vajpai dall'hindi all'inglese. È anche una giornalista freelance e ha intervistato diversi importanti politici e scrittori come Shashi Tharoor, Mahesh Sharma, Mark Tully, la ballerina tedesca Anne Dietrich, la professoressa critica Margaret Koves, il professor Istvan Voros.

giovedì 7 ottobre 2021

Patrizia Baglione: un'artista a tutto tondo

Per la rubrica “Proposte in Transito” di “Transiti Poetici” volentieri ospitiamo alcuni testi di una giovane e intraprendente poetessa, e anche pittrice, del frusinate: Patrizia Baglione. Un’artista a tutto tondo, dunque, che riesce ad esprimersi in ambedue le attività artistiche, scrittura poetica e pittura, con grande armonia. In effetti, la freschezza di questi versi denota non solo l’entusiasmo e la passione per le arti, in particolare la scrittura poetica, ma anche la bontà e la consistenza significativa dell’impegno: la poesia (e questo vale per tutte le altre espressioni artistiche), si sa, quando viene praticata solamente per mero divertimento, spesso sfuma e si degrada. Non è sicuramente questo il caso della valente Patrizia Baglione, la quale dimostra di avere un’ottima padronanza della materia poetica, che esprime con una sua marcata originalità (si considerino ad esempio le chiuse, spiazzanti ed epigrammatiche).
Il sentimento, l’amore, ma anche la schiettezza dei comportamenti nella società, un desiderio forte di vedere il mondo redimersi da ogni tipo di negatività, un abbrivio alla luminosità e alla gioiosità della vita: questi i temi che si intravedono nei suoi versi, i quali si susseguono limpidi e genuini, come fresco fluire di ruscello.
Le poesie qui selezionate sono tratte dalle sillogi La mia voce e Malinconia delle nuvole.



Ritorni

Tornerà l’essere umano
il profumo invadente
l’acqua nel bicchiere
e poi le stelle.

Torneranno i fiori
i sogni ad occhi aperti
le lunghe passeggiate
in pomeriggi desolati.

Tornerà dentro la tasca
il fazzoletto di cotone
la gioia prigioniera
di un vivere mancato.

E poi noi -
noi che ci amiamo così tanto
e che aspettiamo il calar della luna
per poterci parlare davvero.


***

La pioggia parla

La pioggia parla.
Parla quando è sera e si è stanchi
la mattina presto all’alba
quando meno te l’aspetti.

Piove
sulle facce tristi
sugli allegri visi
e sulla povera gente.
Piove
e la pioggia se ne frega di tutto.

Romantica come una bambina
disperata come una donna.
Occhi negli occhi
ed è subito arcobaleno.

Però sai -
importante è la pioggia
che ti ascolta
e poi ti dice
che hai bisogno di un cappello.



***


Lontano dal tuo vivere mi è impossibile

Bevo il verde nei tuoi occhi
mi esalti
e mi scongiuri -
non riesco a pensare ad altro.
Tu
sei la pelle viva
sopra la mia carne morta.

Mi consolo un po’
piango se posso
ma
lontano dal tuo vivere
mi è impossibile.


***


Distrazione

Mi distraggo sempre
nelle mie giornate affaticate
desolate
misteriose.
Mi nascondo
lontano da ogni sussulto
e da qualunque prova d’amore.
Mi perdo
nei labirinti più segreti
e aspetto che tu
venga a cercarmi.


***

Amore immortale

Tra le mie mani
il tuo volto amato
dove contemplo il mondo
e il tempo si ferma
e niente continua.
Resta tutto così -
e l'amore per te è immortale
mentre io non invecchio
ma muoio solo.



***


Il mio viaggio

Visione di deserto
viaggio tremante
e fortezza unica.
Pietra calcarea, acqua bollente
e sole notturno.
Il mio cuore
è pronto a correre verso te.
Onnipresenza
disperazione, coraggio.



***


Amo te con il fiore

In fondo
finisco sempre per amare.
Amo l’aria sabbiosa e fertile
che con la sua eleganza mi entra nel naso
amo la roccia e l’onda
che appena può, le si rivolge contro.
Amo il cielo, il monte
l’abisso.
Amo te con il fiore
quando poi mi dici
- vieni qui vicino.



***


Se tu sei

Se tu sei allegria
io allora sarò canto -
per ricordare con note sonore
tutto il tuo valore.
Se tu sei fortuna
allora io sarò salice -
per abbracciarti con i miei lunghi rami
e ricordare che per me
non c’è fortuna più grande
che tenerti tra le mie braccia.
E se infine tu sei bellezza
io allora sarò eternità -
per proteggerti sempre
e per non lasciarti morire mai.

Patrizia Baglione è nata ad Arpino, in provincia di Frosinone, nel 1994. Ha composto la sua prima poesia all'età di tredici anni. Diplomata in “Tecnico della Grafica Pubblicitaria” nel 2013. La mia voce, edito da Quid Edizioni nel 2019, è il suo libro di esordio: una raccolta di poesie, scritte durante la sua adolescenza. Nel febbraio del 2020 pubblica con la Casa Editice Kimerik Malinconia delle nuvole, la sua seconda raccolta di poesie, nella quale non sfugge alle problematiche sociali, ma anzi le individua, le scova e le disintegra con la sola forza della parola che tocca, nella regola della coerenza, quasi con un ago sottile, il punto nevralgico della sensibilità umana. Quest’ultima raccolta è stata presentata anche sulla nota radio Nazionale “RAI Radio Live”. Ha vinto il Premio alla Cultura al “KALOS 2020 - Premio Internazionale di Arte e Letteratura”, a cura del Prof. Massimo Pasqualone. Da quasi tre anni si dedica anche alla pittura, creando una serie di dipinti in stile moderno denominata "Collezione di bambole". Ha avuto modo di esporre in diverse personali e collettive, tra queste la “Venice Art Gallery” di Venezia a cura del Prof. Giorgio Grasso. Con il dipinto Jole, ha vinto il Premio Creatività, Palermo Artexpo 2020. Personale della Collezione nel marzo 2021 all'interno del “Centro Culturale Meridian” a Mosca, in Russia. Trofeo Leone d'oro per le Arti Visive, Venezia 2021. Giurata del Concorso artistico letterario "Autori italiani 2021", a cura del giornalista Fiore Sansalone. È laureanda alla facoltà di Scienze dell'educazione e arteterapeuta in formazione in formazione presso Sipea Onlus, Roma.




Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà