domenica 27 settembre 2020

L'imperfezione del diluvio, di Sandro Pecchiari

 
Sandro Pecchiari, poeta triestino che sa materializzare il senso dell’esistenza, fornendogli un corpo poetico robusto e compatto, e che dalla materia degradata e degradante riesce a sublimarne un alito di pietas e di coraggioso sostegno a procedere, scrive L’imperfezione del diluvio per indicarci poeticamente che nelle negatività della vita (il diluvio) a volte esistono squarci, pause, sospensioni, minimi istanti in cui riprendere il respiro e l’anima: sono queste le imperfezioni che presenta il tessuto spazio-temporale, in cui sono avvolte le avversità della vita, e che ci permettono di fissare e inquadrare lo stato delle cose, di riflettere un attimo sugli accadimenti contingenti e per cercare così una sorta di via d’uscita, uno spiraglio tra le nubi, una luce compassionevole e benigna che ci mostri una possibile meta di speranza.
La linea poetica di Sandro Pecchiari, in questa raccolta, si origina dalla consapevolezza e dalla constatazione del male che imprigiona l’uomo nel “diluvio”, un male soprattutto fisico, cellulare, persino molecolare, ma anche, conseguentemente, psichico e spirituale, in quanto induce a riflettere sulla vita e sul complesso delle relazioni interpersonali, compromesse e addolorate da situazioni infelici, come il procedere della malattia e la dolorosa ma necessaria terapia da seguire: “non poter andarmene prima che tu vada / testimone di una vita / ingozzata di chemioterapia…”. La poesia in qualche modo esorcizza il “diluvio”, allontana il male su un piano parallelo, pur cantandone il dramma e la fredda acutezza delle immagini. Sandro Pecchiari si lascia certamente coinvolgere da questo dramma, ma con la sua professionalità letteraria e poetica riesce a “incanalarlo” entro i canoni dell’ottima poesia, quella che descrive e che lascia immaginare l’oltre, con sonorità e ondate emotive di grande efficacia sul lettore. A tutto questo si aggiunge il merito di aver esteso il tema del suo dire poetico anche culturalmente e geograficamente, operando ottime traduzioni in inglese dei singoli brani. Da esperto traduttore, Sandro Pecchiari è riuscito così a mantenere alto e vivo il senso lirico e l’intensità emotiva dei suoi brani, realizzando “una poesia bifronte, caleidoscopica e intensa, che porta in sé le due facce di una rara purezza e concentrazione lirica”, come afferma Andrea Sirotti nella sua attenta e dettagliata prefazione.
Ci rivolgiamo ora ai nostri lettori, proponendo alcuni brani, con testo in inglese a fronte, tratti dalla raccolta, invitandoli ad esprimere ulteriori interessanti commenti.


I

Trieste rincorre
scostante di parole
l’aria inerpicata
fiocinando campanili
dentro l’orizzonte

esuli nella rotta
dall’infanzia
lassù nelle vie di ieri
dismettiamo la vita
purché la ricordiamo

la storia l’avremmo scritta dopo

 

I

Trieste soars upstream
its gusts of air
spare with words
spears steeples
inside the horizon

exiled en route
from childhood
up there along past paths
we desert life
provided we recall

history would be written later


***

VI

la flebo infiltrava il fuoco
vederti vagliava ogni disfatta

austeri e soli nell’assedio
niente bandiere bianche dai lenzuoli
non proclamo perdono
a nemici che umiliano
con ricatti a bassissimi carati

alto e fiero nel mio odio di siringhe
a strozzo negli occhi

ce la farò dicevi
se annegavi il pianto
e la morte
ti faceva eco


VI

the drip feeds infiltrated fire
seeing you was checking each defeat

austere and helpless in the siege
no white flags from bed sheets
no forgiveness I declare
to low-carat enemies
who humiliate and blackmail

in my bold fierce hate of syringes
that choke my eyes

I will make it you said
drowning your tears
and death
was echoing you


***

VIII

l’essere privato di un passaggio
tra il vivere che resta
e te
mi fa immobile nella diminuzione

siamo conseguenze di una impossibilità

non perdóno i cuculi
dischiusi per la distruzione

si cade
per mancanza


VIII

to be bereft of the narrow straits
between what’s left to live
and you
freezes me in its reduction

we are the outcome of impossibility

I will not forget the cuckoos
hatched for our displacement

we fall
for want


***

XI

non poter andarmene prima che tu vada
testimone di una vita
ingozzata di chemioterapia

dovrai morirmi qui dentro, tra le braccia
sgranando i secondi rimasti della notte

ma perdo il conto se ti guardo
e varco assieme alle tue mani

il non-tempo che allaccia
l’imperfezione del diluvio


XI

I can’t go before you go
witness of a life
stuffed with chemo

you shall die here inside me, in my arms
telling the spare beads of the night

but I’m losing count if I’m watching you
and with your hands I trespass

the non-time that binds
an unrehearsed flood


***

XIII

se finirla qui
staccandosi la vita
un che peccato non detto
ma pensato
prima di tagliare il filo

se arrotolare le cose viste
nell’apocalisse dei pensieri
con un sollievo lieve

non so...il tuo sorriso
ferma il fiume gonfio
infanga di salvia il mare

tu mi riavvolgi


XIII

should I end it here
slitting life open
thinking what a pity
but left unsaid
before the threads are sheared

should I spin the things perceived
around the apocalypse of my thoughts
with a slight relief

I do not know...your smile
stops the swollen river-waters
spatters with sage the sea

you wind me back

(Brani tratti da L’imperfezione del diluvio, di Sandro Pecchiari, Samuele Editore, 2015)



Sandro Pecchiari vive a Trieste, dove è stato insegnante di lingua inglese e collaboratore vicario. Finalista e vincitore di numerosi concorsi poetici nazionali, dal 2012 al 2018 ha pubblicato: Verdi Anni, Le Svelte Radici, L'Imperfezione del Diluvio - An Unrehearsed Flood, e Scripta Non Manent, per Samuele Editore e Fanna. Le Svelte Radici, con il titolo Despojando Raíces, Uniediciones, Colombia, 2019, in traduzione spagnola. La silloge in inglese Kidhood nello Special Issue, Writing in a Different Language, NeMLA, Italian Studies, The College of New Jersey, USA. La silloge Camminiamo Lenti, con le Edizioni Culturaglobale “100”, Cormons 2019, a seguito del Festival Itinerante del Giornalismo e della Conoscenza “Dialoghi Poetici”, organizzato da Renzo Furlano, Seeboden, 2019.
Presente in numerose antologie italiane e straniere e in numerose riviste e blog in veste di poeta e traduttore.
Ha partecipato a Libri diVersi con i suoi versi in abbinamento a artisti nazionali, nel 2016 e nel 2020. Ha collaborato a numerosi spettacoli, tra i quali: Konstantinos Kavafis “Per Altre Terre Per altri Mari”, Auditorium Revoltella, Trieste, 2018; con suoi testi a “Agnus Dei Today”, Kleine Berlin, Trieste, 2019; al videopoem “I’ve in the Rain” del poeta canadese Al Rempel e supporto tecnologico di Erica Goss, 2020; al CD “Umanità su Rotaia”, ZH2VOX e Almendra Music, su testi di Federico Tavan e Elio Bartolini, 2020.

 




domenica 13 settembre 2020

La sovrapposizione dei termini poetici in "Bestia divina", di Mario Fresa


È sempre un viaggio interessante, quello che si compie attraversando il mondo poetico di Mario Fresa, un poeta che certamente si distacca molto, per certe sue caratteristiche originali di scrittura poetica, dall’usuale seppur interessante e valido assieme di protagonisti che vivono, attuano e frequentano gli ambiti letterari di questo primo scorcio di secolo. Si tratta certamente di una voce autorevole, forse non molto presente sui “social”, ma seria, competente e anche prolifica, sia nella produzione di proprie opere letterarie, sia attraverso la cura e la gestione di alcuni blog specifici, di alto livello culturale (come ad esempio “Il Re pescatore”). Le sue competenze letterarie spaziano infatti dalla scrittura poetica alla traduzione di testi latini e francesi, alla critica letteraria attenta e affinata. Insomma, un poeta militante, come suol dirsi, ma con una “militanza” attiva ed esemplare, che è in grado di produrre ottime opere ma anche di provocare nel lettore una sorta di “scossone” intellettivo (ed anche emozionale) che lo induca a meditare e riflettere in profondità, partendo dal contenuto, dalla forma e dalla efficacia dei testi ideati e scritti dal nostro autore. Perché, in fondo, la Poesia deve proprio far questo, altrimenti i versi scivolerebbero sulla superficie della nostra pelle senza produrre alcun effetto valido, senza “penetrare” nell’anima, senza mettere “in crisi” il lettore, crisi che dovrebbe poi coinvolgere la sfera intellettiva ed emozionale del lettore, aprendogli nuovi orizzonti, proponendogli nuove domande, nuove possibilità e tanto altro…
Di certo Mario Fresa appartiene a questa schiera di letterati e poeti che lasciano una traccia profonda e significativa nel lettore, prova ne è la copiosa produzione poetica fin qui realizzata, ed ancor di più questo recente volumetto dal titolo davvero emblematico: Bestia divina.
Con Bestia divina entriamo subito, a mio avviso, in un mondo fortemente ossimorico, che inizia già dal titolo, dove il sostantivo bestia è aggettivato con la parola divina, chiaramente, o forse anche in modo latente, in contrasto tra di loro. Ma questa è una interessante prerogativa del nostro autore, che predilige gli estremi sia nelle narrazioni e sia nelle figurazioni; versi come “Avete visto com’è spettro e bicchiere, questo corpo?” (pag. 34), o anche: “Vivendo, ci si rovescia per terra. Angiola / sta legata per terra – ha detto; … “ (pag. 52), denotano infatti un vistoso e interessante ampliamento del significato complessivo, da una sorta di “polo” positivo, ad un altro che non è inferiore, negativo, meno importante, ma certamente opposto.
Del resto anche l’ottimo prefatore Andrea Corona, afferma che Mario Fresa ha l’”esigenza di andare oltre la superficie del testo, a tener conto dei gangli che tengono unita la testura nel suo complesso”. Questo allargamento, o meglio slargamento, del dire poetico produce un mosaico di figurazioni addirittura tridimensionale, in quanto i vari tasselli non solo si incastrano l’uno con l’altro sul piano discorsivo, ma si sovrappongono, elevandosi l’uno sull’altro senza peraltro occultare o trascurare il sottostante.
Il risultato di questa operazione è piuttosto evidente: Mario Fresa, in Bestia divina, dilunga, sovrapponendo parzialmente i termini e le parole, la sintassi della proposizione nel verso, spiazzando il lettore in un modo inaspettato e inconsueto, come qui ad esempio: “Si dimostra d’accordo quando gli viene / dato un insistente cinema odore.” (Il marito condimento, pag. 22), dove già si nota quella scorciatoia cinema-odore, o anche, nello stesso titolo del brano, marito-condimento, che integra due sostantivi con l’effetto di ampliare, elevare, con soltanto due parole, un concetto, uno stato, una figurazione, a livelli superiori, che raccordano in qualche modo due estremità di significato diverso (cinema, odore. Marito, condimento).
Per tutto questo, per l’originalità del dettato, per la forma stilistica (notevole l’utilizzo dell’enjambement), per la scrittura in versi e per alcuni brani in prosa poetica, Bestia divina di Mario Fresa si colloca tra i migliori testi poetici dell’attuale produzione nazionale.
Il libro meriterebbe ulteriori considerazioni, ma lasciamo ai nostri lettori il gradevole compito di aggiungere riflessioni e commenti, dopo aver letto il libro o anche i pochi versi che qui riportiamo.


Sparirà


Dice che usciamo insieme, carnivori e infelici:
così ci scontano gli anni a metà.
Siamo lo sguardo e il pescecane.

“Questa morte mi è costata sette chili.

Per respirare, dunque, lo consolo; la lascia un po’
di giorni dietro di noi, e clic.

Poi, di sicuro, sparirà.


***

Il marito condimento

Si dimostra d’accordo quando gli viene
dato un insistente cinema odore.
Non si può lasciarla andare ma
la vede precipitarsi, a dir poco,
in un sonno macellaio.

Chi l’ha capito? Si aprono i congiuntivi della testa,
sì da farmi cadere nella fretta somiglianza.
I piedi uguali al resto. Albicocche e pagelle.
Anzi un solo compenso pediatra,
come il mostro di un corpo vivo
che ha perduto la speranza di restare…

Allora, non entrò. Né vide spina mortale ma
un architetto dalla solita bocca più che longeva,
né mangiare né facchino;
e Agnese è colma di sale e fa un incendio
di severità. Ma quanto terrore sta
nel tuo infinito corpo-trasloco?


***

Disertore

Noi stiamo con un ultimo ferito che sta intero
e che gli viene addosso: vero soldato
pronto a morire per una lingua che non passa
più mercato; e se ritorna, c’è una pesante corte
delle imprese che a suo modo
cerca di vivere, lo guarda a lungo
e poi gli chiede: che guerra è questa, se in effetti
proviene dalle gambe che diventano,
come per sbaglio, niente?
Che fa questo regalo da testa lavatrice?

Soldato che diventa puro crollare,
colla di ballerina; una sonora mente
di balbuzie!


***

Nella casa

L’amica del vento magro si chiama
con due nomi di silenzio; un po’ fune
(domani le avrei detto: giusto un po’ meno)
e, per esempio, il colmo del destino.
Ed è per questo che lei delira di anarchia.
La fissa dolce con gli ultimi, sottili rotoli
notturni sopra di sé; e sta bene sulle ossa
che si credono, quasi, un miracolo
di carne. Appena entrati nella testa delle parole
siamo mercurio, intimità.


*** 

Parole della morte a sua madre

Vivendo, ci si rovescia per terra. Angiola
sta legata per terra – ha detto; è pronta almeno
quanto una testa impazzita a causa
dei ricordi. Di nuovo, poi, l’azzurro esortativo.
Diventiamo una balbuzie mondiale.

Che fare allora, di questi verbi? Il nome c’è,
così allarmato da venirgli addosso. Ma credo proprio
che sia di un altro.

Uno straccio, le ripeto,
dipinto per sventura. Il salto dal balcone.


(Testi tratti da “Bestia divina”, di Mario Fresa, La scuola di Pitagora Editrice, Napoli, 2020; prefazione di Andrea Corona).


Mario Fresa è nato a Salerno nel 1973. Tra i suoi libri di poesia: Uno stupore quieto (Stampa2009, con prefazione di Maurizio Cucchi, 2012; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); Svenimenti a distanza (Il Melangolo, 2018, con una riflessione critica di Eugenio Lucrezi; Premio Internazionale Cumani Quasimodo). Ha tradotto poeti latini e francesi e ha collaborato a “Paragone”, “Caffè Michelangiolo”, “Il verri”, “Nuovi Argomenti”, la “Revue des Archers”, “L’Almanacco dello Specchio”, “Recours au Poème”, “Nazione Indiana” e “Poesia”.



Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà