mercoledì 26 dicembre 2018

Il "Plasmodio" di Antonio Vanni


Plasmodio è il titolo di una raccolta di poesie, l'ultima in ordine di tempo, di Antonio Vanni, impegnato autore iserniano e noto per la sua attività letteraria non soltanto nella sua città e nella sua regione, ma anche in ambito nazionale. Ebbi il piacere di conoscerlo in occasione di un premio letterario che si svolse a Sant'Elia Fiumerapido, alcuni anni fa, e da allora i nostri incontri sono abbastanza frequenti, anche perché manteniamo entrambi rapporti costanti con realtà letterarie della zona, tra cui i vari eventi organizzati dal compianto Amerigo Iannacone, di Venafro, solerte promotore culturale, nonché poeta, giornalista e direttore della nota rivista letteraria "Il Foglio" (ereditata ora da Giuseppe Napolitano che già gli collaborava da tempo).
Plasmodio vede la luce dopo numerose pubblicazioni di testi poetici; la raccolta, infatti, è recente, del 2017, per le Edizioni EVA di Venafro. Titolo veramente singolare ed emblematico, che prende spunto dal fenomeno biologico della divisione delle cellule a partire da un solo esemplare. Applicato al mondo poetico di Antonio Vanni, in questo suo libro, il concetto della divisione cellulare può aderire benissimo all'idea dell'autore di sviluppare una catena poetica continua, a partire da un testo originale, primario: come il nucleo della cellula, contenente il DNA programmatico, si apre suddividendosi in altre cellule dello stesso tipo, così la poesia di Antonio Vanni si espande nel libro, dando vita a testi poetici autonomi ma sempre legati all'idea originale: Plasmodio. Ma qual è poi questa idea originale?
In effetti il nostro autore parte da una situazione primaria in cui il Mondo si anima e assume identità propria, e il soggetto nel tema delle varie poesie, è spostato dall'uomo al Mondo: è questo, infatti, e non l'uomo, a "guardare", "sentire", "sperare", "provare sentimenti"; è il Mondo, impersonato di volta in volta dalla natura, dal cielo, da un animale, a vivere le vicende e le storie, le sofferenze e le bellezze, il mistero. "Che occhi grandi che hai / fragile Mondo, / con essi osservi tutto ciò / che è profondo". Con questo "rovesciamento" del punto di vista, Antonio Vanni "fa parlare" direttamente le cose e le anima, sviluppando via via la sua teoria nei vari componimenti, i quali alla fine rappresentano un organismo unico e macroscopico: ecco dunque il Plasmodio!
Come poi afferma Giuseppe Napolitano nella sua puntuale prefazione al libro, il lavoro di Antonio vanni si presenta compatto, denso, proprio come un nucleo cellulare pronto a generare altri elementi, identici per carattere ma non per contenuto: insomma, quella di Antonio Vanni è una poesia che ha una potenzialità intrinseca molto alta, e cioè quella di dar vita a successive considerazioni e riflessioni, abbracciando temi usuali, come storie di persone, amici, familiari, ma anche argomentando di cieli, mari, confini, nature: il tutto con una certa dose di simbolismo, che non guasta, ma rende la sua poetica alquanto mistica e trascendente, in molti casi.
Ma, come sempre, lasciamo ai nostri amici lettori che ci seguono il compito di aggiungere altre gradite riflessioni in proposito, se lo vorranno. Abbiamo quindi tratto dal libro alcuni testi, che volentieri sottoponiamo alla loro attenzione.




Plasmodio

Il lago e il mare.
Che occhi grandi che hai
fragile Mondo,
con essi osservi tutto ciò
che è profondo.

- Oh mare, odimi, ch'io ti sto parlando.
Vorrei saper bruciare
da osservare il mio scheletro
incastonato nel paesaggio
come silenzio tra le voci degli innamorati
mentre si baciano.

- Dolce lago che in lacrime torni,
mai nessun fuoco o pallidi trapezi, le ossa,
sapranno di noi le piogge parole.
Lancia le tue braccia a trafiggermi il cuore
così da specchiare, per sempre, la tracciante cometa
che ride, ed il piccolo sole che acceca.


***

Il cremolare

Ti offro un viso in plastica,
attonito,
perché la bellezza del mattino
è nei ruscelli innevati.
Il cervo colpito al cuore
si è nascosto, dignità e paura,
annusa gli ultimi minuti di un fiore,
lo riscalda, è nato per questo,
per la bellezza del mattino
e i fiori innevati.
Al cacciatore dico che è lontano il suo amore,
dietro quel colle leggero e dorato
pare l'ho visto cadere
l'aquilone tra i ginepri.
Ai cani però fra un po'
non saprò mentire,
stracceranno con rabbia Dorian Gray
e il suo pianto, le bacche vuote sanguinanti
tra i rami, la gelida clessidra che mi abbraccia
perché la sabbia non ha famiglia ed orme
per assestarsi,
non conosce quanto tempo è un addio.
Allora porto via il tuo cuore nel mio
perché la bellezza del mattino
è dignità e dolore.


***

La fragola e il moscerino

Il moscerino scalatore
nel plasma dal gusto fragola
è corteggiato.
Il fanciullo, officina dell'amore,
apertura celestiale, alita sul
cristallo, e ne fraziona
gli organi vitali, oltraggiato
puntino che si addormenta
in vetta, da poco composta la cuccia.
Ne raggiunge le profondità,
il silenzio delle ali.
- Un cono di gelato, per favore,
un trono di limone
e cioccolato.
Niente malinconia, per favore.
Non mi appartiene.
- Quanti sorrisi
per un soldino dimenticato.
Ma come
sei triste
piccolo bacio
caduto da una stella.
Corro ai tuoi occhi
ma già ti ho perduto.
Avrei dovuto esserci prima,
e solo per te.


***

Luciano

Il sepolcro di Luciano è un ruscello di ortensie.
La sua mamma, ogni giorno,
dalla poca assenza del dolore
fa sbocciare un fiore, che adagia accanto
al suo bellissimo sguardo in bianco e nero.
Forse perché non vuole lasciarlo cadere
da solo nell'acqua, ma insieme ad un fiore
sì. E' obbligata a lasciarlo andare via
ogni mattina. Ma fino al tramonto,
poi torna e sorride.


***

La fontana e la luna

Mi rendi possibile l'immobilità
in questo luogo,
amore riflesso amore profondo,
e son felice d'attendere il giorno
poiché io chiamo chi disseto
e ne raccolgo gli sguardi,
vicinissimi gli occhi e l'oleandro.


***

Storia di Edwin
(a David)

Edwin, re di Deira,
la falce contro la quercia. Deve poter passare.
C'è un bambino nato di fango che l'abita di notte,
la quercia, così chiara alle stelle.

- Non farmi cadere, Edwin, non toccare l'albero.

Edwin, re di Deira,
alzò lo sguardo verso l'alto,
così chiaro alle stelle il dolce viso tra i rami.

- Forse posso passare di fianco alla quercia,
bambino impertinente,
sì, forse posso farlo.
Ma tu, essere di fango,
cosa saprai di me se ti passo accanto?
Sei privo degli occhi e ti ostini a fissare il cielo.

- Non farmi cadere, Edwin, non toccare l'albero.

Così chiaro alle stelle fu il dolce pianto.


***

Lingua volgare la pianura

Dall'abisso dove t'incatena il sonno
Teodicea, lingua volgare la pianura.
Plani sulla nave di Teseo
alla secca, circondata da alti lampioni.
Dei mercanti d'aquile separano le dune
e ti segnalano quei visi d'angeli corrotti
dal compleanno delle strade inglesi,
il villaggio che vive raccolto
nella cupidigia
e il sole seminudo.
Il vecchio pescatore seduto,
le perle perdute negli spazi.


Antonio Vanni, Plasmodio, Edizioni EVA, Venafro (Is), 2017; prefazione di Giuseppe Napolitano; Collana "La Stanza del Poeta", diretta da Giuseppe Napolitano

Antonio Vanni è nato a Isernia nel 1965. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni di poesia.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà