sabato 29 febbraio 2020

Silvia Bove: Poesie di assoluzione e altri inediti


Silvia Bove, poetessa romana molto apprezzata, autrice di diversi testi come si evince nella nota biografica riportata in calce, manifesta la sua poesia attraverso testi brevi ma pregni di significato, come del resto accade sovente, in tante produzioni poetiche di pregio: l'essere capaci di sintetizzare il concetto, il nocciolo essenziale del dire senza dispersioni e senza divagare, è prerogativa di tanta buona poesia. E Silvia Bove rientra senz'altro in questa categoria. Ma la sintesi non deve penalizzare la profondità del discorso poetico, e Silvia Bove ne è consapevole, tanto che nei suoi testi, ovunque si vada a leggerli, traspare subito il moltiplicarsi dell'idea di base, come se da una matassa ben stretta ne venissero dipanati i molteplici fili; è il cuore che parla e va ben oltre il confine dei primi enunciati, fino a estenderli e a "risuonarli" per tutti.
Silvia Bove parte dalla conoscenza di se stessa e della terra a cui appartiene, terra non in senso geografico ma in senso naturale, determinando con i suoi versi una sorta di distacco, un tentativo di astrazione per ambire a luoghi e momenti più alti, forse più puri. Per questo, le poesie dell'assoluzione, ma anche in altri inediti, rimarcano un fervore particolare di libertà, di estraniamento, di genuinità al quale il corpo, legato alla materia, non sempre può aspirare: "Se, oltre questi luoghi di ristagno / lascio andare il mio corpo / una premonizione / d'amore mi porta lontana". L'assoluzione, o anche la redenzione, avviene mediante la parola poetica, una confessione intima ma anche testimonianza per gli altri, indicazione salvifica del percorso di realizzazione del proprio essere, che ognuno dovrebbe compiere. La poesia, come pure la poesia di Silvia Bove, così perentoria e illuminante, ha dunque anche questa funzione ontologica, traendo l'uomo dalle mere sorti di una quotidianità troppo spesso vassalla della materia, inconsapevole del cielo e dei puri sentimenti, come l'amore.
Nel proporre qui di seguito alcuni testi (editi e inediti) della nostra Autrice, invitiamo com'è consuetudine gli affezionati lettori ad esprimere ulteriori graditi commenti.




Chiaroveggenza

Se non penso mi accade
perfino la chiaroveggenza.

Se, oltre questi luoghi di ristagno
lascio andare il mio corpo

una premonizione
d’amore mi porta lontana.


***

Varco

L’anima mia selvaggia
porte spalanca e mie finestre
a ridere d’una donna che ondeggia
bambina e Circe. Chiede acqua
a lenire la rabbia, pane
a sedare astinenza, ad invocare
riposo un letto.


*** 

Ragione naturale

Piangono le poesie la dipartita
della natura, l’abbandono
di un candido pensiero.

Ci attardavamo bambini nei campi
usi all’inconsueto paghi e di questo
frementi, tu che tendevi le mani
ed io a raggiungerle, poi d’altalena
un cambio, e ancora tesi all’infinito
gioco di vita massimale mai
profanata: Nuova t’attendo
sul prato. Forse non è ragionevole

adesso raggiungermi?


***

Ad un’amica

Quando io ho te che mi riveli affreschi e
mi annunci le poesie che non conosco,
e m’offri quel mondo che è tuo

poi mio, poi nostro,

quando incompleta ti pensi, ma
sveli le tue vere parole,
tu non sai che il tuo intelletto in me

si riversa pieno, e mi nutri
come una vera madre
mai fu feconda.


***

Nei miei versi

Qui nei miei versi rovinosi accade
la Rivoluzione, l’incontro
fatale col mio volto.

Paradisi infantili e sogni orfani
qui, in attesa m’adagio in comoda
distesa e dichiaro le libertà.

In musica ricanto i miei
giorni, qui incontro l’anima
fedele dei miei amori, alzo il velo
e ne rischiaro i volti.

Qui sono madre e qui
non perdo, vinco certe verità,
Qui sono quella prediletta.

Ritaglio frazioni d’amore
e innalzo alti rituali.
Non soffro se mi accade Conoscenza.


(Testi tratti da "Poesie di assoluzione", Onyx Editrice, 2011)

La parola.


Non so dove vada la parola sgusciata
sembrerebbe restare quando è muta
e tu la dici per altro non dire.
Non so al contempo come fare a restare,
mia ondeggiata straripata e illusa.
Quali mani nel sesto giorno dovrò toccare.
Non so l’asfalto, necessita le mie memorie
a piombarmi infinita.
Non so infine quale bersaglio abusare perchè termini la notte,
sul confine.

(inedito, 2018).


***

La mezzaluna

Portando al mondo le mie  braccia
e le mie galere
ho una mezzaluna sulla testa
per essere stata io deviata
ad Oriente.
I miei cento poemi
li ho enunciati alla polvere
del tuo nome.
Così ad  infiammare la cortesia
del mio volto riarso, resuscitato
a volte il riso difende la
mia statura.
Nel riflesso del
vino non riconsegno
il tuo volto a Dio,
i tuoi baci inviolati.
Per render trono il mio racconto
di fiele, cerco un fiore,
che ribattezzi gli altri rei
che non si sono dati al tempo.

(inedito, 2018)


Silvia Bove è nata a Roma dove vive e lavora. Laureata in Antropologia Culturale presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Studi Glottoantropologici della stessa Università.

Nel 2005 pubblica la sua prima raccolta Anima Sottile (Edizioni Graphisoft), cui segue Immaterialità, (Edizioni Graphisoft) nel 2007, con prefazione del poeta Vito Riviello.
Nel 2008 partecipa col gruppo “Le Donne della Stanza” alla silloge poetica SvolgiMenti, Ellegraphica, Gaeta.
Nel 2009 esce la plaquette Sette (Edizioni Signum, Milano) e partecipa all’opera della fotografa Vincenza Salvatore Portaits, ritratti foto-poetici. Sempre nel 2009 è corale protagonista del film Poeti, di Tony D’Angelo, presentato alla 66a Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “Controcampo Italiano”.
Nel 2010 pubblica la plaquette Rapida ma floreale, (Edizioni Signum, Milano).
Nel febbraio 2011 esce la raccolta Poesie di assoluzione (Onyx Editrice), con postfazione del poeta Dante Maffia.
Nel 2018 esce la plaquette poetica Discreta la lontananza, edita da EscaMontage.
Sue poesie sono presenti in antologie poetiche, come ad esempio Poeti e Poesia curata da Elio Pecora; l’Isola dei Poeti, a cura di Francesca Farina e Roberto Piperno; Oltre la coltre del silenzio, con il movimento Poeti Viandanti; Il sole nero di Auschwitz, Editore Bertoni; e su riviste d’arte come EQUIPèCO.

mercoledì 26 febbraio 2020

Antonella Bianco: “Il risvolto dei volti”


Pubblichiamo qui di seguito una interessante e approfondita recensione dell'amico poeta e critico letterario Salvatore Violante, sul recente libro di poesie di Antonella Bianco, "Il risvolto dei volti", italic Edizioni.

Antonella Bianco: “Il risvolto dei volti”

Già dal titolo Antonella Bianco, poeta in esordio, pare volerci indicare la piega che i volti debbano prendere in itinere: sembra che intenda, cantando e certe volte persino lasciandosi incantare da giochi sonori, mostrarne la fenomenologia disponendoli in chiaroscuro con il quotidiano, con le attese dal quotidiano. “Il risvolto dei volti”, questo è il titolo con cui la Nostra ha pubblicato per i tipi di Italic, nell’ottobre del 2019, recita nel testo-dedica d’introibo: - Ai 1000 volti incontrati una sola volta, / a chi per volere o per destino è dietro l’angolo capovolto, / ai voltafaccia della vita e alle facce rivolte alla vita, / a chi fa del giorno nuovo la propria svolta. – (pag. 5).  Sembrerebbe indicare una via al vivere: quella di non sottovalutare gli scarti tra i neuroni che generano empatie e quelli che invitano al prudente buonsenso, tra l’intelletto d’amore e quello di ragione e di accettare l’interscambio come un insieme di uguali fra uguali: - Tutto ti appartiene tutto è parte di questa vita di questo/ mondo: vivi e sii intero – (pag. 7). C’è tutto questo certo ma c’è anche, di fatto, che questo libro viva di vita propria palesando, in generale, una poesia delicata, sussurrata in confessionale, dove non c’è suono ma risuono, non pianto ma rimpianto, dove l’amore è presente come assoluto nelle cose, è un bisogno, una tensione, una energia che per sua natura provoca combustione e cenere, freddo e tormento, melanconia per la perdita, e urgenza di ritrovarlo. -Non ti conosco ma ti amo/ con l’esperienza della fine. / in un’altra vita / -ti giuro- / avremo altri volti da iniziare. -   Vedete, qui c’è l’esperienza della fine ma anche la promessa e la premessa del cambiamento: ansia di vita nuova e di nuovi portamenti, e, finanche, l’iniziazione di volti nuovi. A guardar bene, l’amore rappresenta l’arco voltaico da cui esplode la poesia di Antonella Bianco. Ѐ lo scarto che in questo libro si configura tra il fenomeno in fieri e l’aspettativa vagheggiata, tra l’amato toccato e l’amore mitizzato. Poli opposti: c’è tutta l’energia che si configura in fantasmi sempre in moto, un andare e venire tra cielo e terra, uno sfiammare simile all’arco di liceale memoria. (…) nel nostro amore al buio / Ci tocca mettere le mani sui volti / Per riconoscerci ad ogni appuntamento. (… / Ci sembra quasi un sogno finito / male, questo bellissimo incubo / di noi girati di schiena a guardarci. (…) (pag. 21). In questo guardarsi senza vedersi, stando di schiena, si coglie la struggente angoscia per la caduta del mito. Nella quarta di copertina, anch’essa scritta dalla Bianco, si legge: -Ѐ la paura di invecchiare a mischiarsi alla paura di non essere riusciti ad amare. Esplode. C’è un sogno cattivo che non mi abbandona: il perderti e il perdermi. Se io non ci sarò quando tu verrai e se la corrente mi avrà condotto altrove. (…). - Ovviamente, con queste frasi, la Nostra dialoga con “Amore”. La Bianco è terrorizzata dallo scarto che sempre trova tra le storie reali e quelle sognate. In questo scarto c’è l’esplosione che si trasforma in malinconico tormento: da qui la figurazione di Amore che arriva mentre Lei sta per perdersi non sapendo amare, confusa dal fluire della storia (con la lettera minuscola) sua e del mondo, facendo così ontologico il suo disagio.


Salvatore Violante
25 / 2 / 2020

martedì 25 febbraio 2020

Maria Benedetta Cerro e le sue "Parole solidali"


"Nel giorno della racimolatura / parlami / con la sapienza di tutte le morti." Sono riassunti in questi tre versi di Maria Benedetta Cerro, i motivi profondi au cui si fonda, a mio avviso, il progetto poetico della nostra autrice del frusinate, almeno in questi sette brani che qui di seguito proponiamo. Il legame fondamentale tra la terra, generatrice di frutti da raccogliere, da "racimolare", con fatica ma anche con la consapevolezza della genuinità, e il sogno da lavorare, da progettare, da realizzare nell'immediato, risulta qui indissolubilmente valido e costruttivo. Si tratta di un recupero di valori fondamentali che la società moderna ha relegato in ambiti di trascurata e indolente quotidianità, sopraffatta com'è da altre incombenze più immediate e superficiali… Ma qui il discorso si potrebbe fare più lungo e articolato: la poesia non sempre è compagna del profitto e della materialità, anzi spesso ne è canto di denuncia. Quello che traspare dai versi della nostra autrice, dicevo, è questo sentimento della natura, in quanto origine della vita, intesa nel suo ciclo completo dalla nascita alla morte… È dunque una poesia che si contraddistingue per il suo anelito di autenticità, in una visione di mondo in cui sia importante, se non proprio fondamentale, l'estensione e l'integrazione della propria umanità allo spirito che sempre l'alimenta. Ed è proprio tramite i suoi versi, le sue "parole solidali", che la nostra autrice tenta, evidentemente con successo, di operare questa mediazione tra uomo cosiddetto tecnologico e uomo della terra, della natura.
I versi di Maria Benedetta Cerro sono esemplificativi in questo senso, scorrono fluidi e incisivi, diretti al cuore d'ognuno.
Invitiamo gli amici che ci seguono ad esprimere altre gradite considerazioni, dopo aver letto questi sette brani poetici della Cerro, che ringraziamo per averceli affidati.


Prologo

Le labbra che parlarono in segreto dissero le parole solidali.
Dissero il colpo d'ariete che spalancò la porpora.
Baciarono i suoni narrativi e piani del libro anteriore
cantabile e solo.


***

I

Avessimo fiori e neve fresca
alla nostra ultima morte
mancherebbe l'odore della vita
       nonostante le parole
che si ascoltano
                  che si leggono
che si offrono nude di suono.
Pagine feriali per giorni festivi
che non esistono.
Parole mentali che risuonano
                   o non risuonano.

                                                                               
***

II                                                           

Nel giorno della racimolatura
               parlami
con la sapienza di tutte le morti.
Con una sola mano
             sostienimi.
Basterà un palmo a farsi calamo
un occhio a badare al passo incerto.
Volgi il discorso pretenzioso:
con la parola semplice
      accarezzami i capelli
che parlano la lingua della cenere.    


***

III

Nel giorno della desolazione
                hai puntato l'indice.
Nel dizionario dei tempi
nell'alfabeto degli ossi senza nome
con lo spillo del grido
                      hai fissato le mie ore.
Nel buio delle radici
le guarnigioni balenanti degli affetti
le talpe nascondine
                     dei perfetti amici
mi hanno fatto polvere.
Ed ora non ho più tempo
di inseguire parole ancora generanti
          – ora sono altro -  
Nel tardi spalancato
ho un alloggio stretto.                                                   


*** 

IV

Ci sono elementi/ ci sono luoghi
nei quali è impossibile sostare
               ma tu rallenta
        anche per te sia tregua                                                  
Tu che sei morte onnipotente                                                                                
                      all'altro capo di Dio.                                                    
Un'ora per vagliare/ una per riprenderti
ciò che hai dato in prestito alla vita.
               Non fingerti folle
nessun calcolo è più infallibile
del tuo giungere ad arte
e far credere che sia del caso l'assalto.
                

***

V

Qualcosa all'improvviso
ci si accampa dentro
        che non è visione
che non ci fa provare meraviglia
qualcosa di violento
che scardina la nebbia dell'abitudine
e leva in alto il suo urlo d'inchiostro
il pugno che si vergogna
                                  dell'impotenza.
Il luogo dove il progetto ardeva
                 nella sua audacia
è uno specchio appannato
che vede finalmente dietro di sé
         l'inconsistente ordito.
Contro l'imperturbato nulla
             a vuoto
un dolore di guscio capovolto.


***

VI

Il mattino/ col suo incolpevole inizio
con i suoi versi ancora sigillati
prima che il cuore stremato dalla notte
eserciti il compito del fare
contempla l'aggettivo che martella
che gli si dia un nome
– una stampella di nome -                                               
che faccia il suo dovere
                        di trovarsi un verbo
e canti l'impossibile ritorno
alla vocale albeggiante
scaraventato nella vastità della nota
                       che aspetta la sua musica.



***

VII

In sogno – cara –
vedo le tue braccia polifoniche
levate alla descrizione
                     estrema del canto.
La fissità del mondo 
e la normalità rovescia delle cose
        la tradizione universa
ricacciata nel suo oscuro inferno.
Tutto il canto ibrido mi porta
con la fraternità
                 del giorno della grazia
col ripensato assedio della pena.
Dove andiamo – mi chiedo –
Già confondo il sogno col vissuto
e non so quale fuoco preferisco.
     Ché sono carta bruciata
dove ancora qualche rigo si legge
      prima della cenere
prima del poema che di me si disfa
e una sua vita acquista nell’opaco.




Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo e risiede a Castrocielo, in provincia di Frosinone.
Ha pubblicato: Licenza di viaggio (Premio pubblicazione, Edizioni dei Dioscuri 1984); Ipotesi di vita (Premio pubblicazione “Carducci – Pietrasanta”, Lacaita 1987); Nel sigillo della parola (Piovan 1991); Lettera a una pietra (Premio pubblicazione “Libero de Libero”, Confronto 1992); Il segno del gelo (Perosini 1997); Allegorie d’inverno (Manni 2003); Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012); Lo sguardo inverso (Lietocolle 2018); La soglia e l'incontro (Edizioni Eva 2018).
È presente in diverse antologie, tra cui: Poeti del Lazio, a cura di R. Pellecchia, Forum Quinta Generazione 1988; Melodie della terra, a cura di P. Perilli, Crocetti 1997; Farmaco d’Amore e Seno Amaro,Volturnia Edizioni, 2018-2019.
Interventi sulla sua poesia sono apparsi su testate giornalistiche, riviste e testi critici, quali: Frammenti di un discorso amoroso nella scrittura epistolare moderna, a cura di A. Dolfi, Bulzoni 1992; La parola ritrovata. Ultime tendenze della poesia italiana, a cura di M. I. Gaeta e G. Sica,  Marsilio 1995; G. Linguaglossa, Appunti critici, Edizioni Fabio Croce-Edizioni Scettro del Re 2002; La Ciociaria tra scrittori e cineasti, a cura di F. Zangrilli, Metauro 2004; Amerigo Iannacone, Nuove testimonianze. Interventi critici, Edizioni Eva, 2005; R. Pellecchia, Con le parole/Oltre le parole. Saggi di letteratura contemporanea, Metauro 2007; R. Scrivano, Letture e Lettori. Appunti di critica letteraria, Metauro 2010; R. Pellecchia, D'Annunzio musicus (ed altri saggi con appendice leopardiana), Sciascia 2018; Lettera in versi, Bomba Carta n. 69, numero dedicato, marzo 2019.

mercoledì 19 febbraio 2020

La metafora "del deserto" in Lina Salvi


Non sono mai stata per davvero in un deserto, scrive Lina Salvi nella nota al termine della sua raccolta "Del deserto", salvo alcune puntate a Petra, in Giordania, e in altri luoghi dove è possibile incontrare la civiltà beduina. Ma qui il "deserto" è prevalentemente una metafora esistenziale, una lunga e sofferta osservazione o per meglio dire riflessione, sul proprio intimo stato esistenziale. Un attraversamento del "deserto" in quanto zona di nessuno, parte neutra del mondo e della vita, dove è possibile l'espiazione ma anche la crescita di una speranza verso un confine nuovo, più realizzante e completo. Nel deserto si incontrano i morti ma anche le oasi alle quali è possibile ristorarsi e ripartire con maggiore lena ed entusiasmo. Viene subito alla mente il peregrinare per quaranta giorni e quaranta notti del Cristo nel deserto, ambiente ideale per meditazioni profonde, lontano dalla confusione e dalle distrazioni di un mondo sovente falso, superficiale, scolorito, e dove i valori hanno perso gran parte della loro consistenza e importanza.
Il "deserto" considerato in questo modo, area indifferente e impermeabile, quasi un limbo, non poteva non essere al centro di un discorso poetico che, in un certo senso, riesce anche ad armonizzare e a raccordare, pur nella sua gravità, lo stato di profondo sconforto di fronte alle cose degradate e degradanti del mondo, specie della società cosiddetta civile; e il poeta lo sa, ne è consapevole, perché vede tutto con gli occhi del cuore e trasforma l'abbandono in opera d'arte, le devastazioni in immagini salvifiche, le diavolerie e le nefandezze in versi di assoluta solarità e melodia. È compito del poeta assumersi la responsabilità di indicare e denunciare lo stato delle cose, l'uomo in tutta la sua bestialità ma anche nella sua grande umanità, adattando la sua voce, il suo canto lirico, a quello stato, innalzandolo a Poesia, miracolo della parola!
Lina Salvi è così. Lei, la poetessa, non ha bisogno di sperimentare la realtà materiale e fisica del deserto, non ha necessità di toccarlo con mano o di percorrerlo a piedi: il suo è un deserto figurato ma altrettanto plausibile ed effettivo, perché la poesia, la sua poesia, ha appunto la capacità di evocarlo, di mostrarlo nella sua piena autenticità, come fase di passaggio e di purificazione verso confini e obiettivi che rafforzino il senso da dare a questa nostra esistenza in transito.
Il deserto dunque come espiazione e recupero di verità profonde, necessarie all'io e all'umanità: "Del deserto non ho che strani fiori / esseri dai nomi impronunciabili, bacche / rare, magre, secche d'acqua, / ogni sguardo non svela presenze / tracce di incenso, accumulo, scoria / ogni indagine provvisoria." Un discorso poetico essenziale, quello di Lina Salvi, basato su testi brevi, fluidi, ricchi di allegorie.
Ne riportiamo qui di seguito alcuni, tratti appunto dal libro "Del deserto", affinché gli amici lettori che da tanto ci seguono, possano aggiungere altre gradite e interessanti riflessioni in merito.




Del deserto non ho voglia
della sua violenza calma
cavalcate ai margini del cielo,
nel deserto già ci sono:
ahlan wa salan*,
nel deserto popolato di uomini
buie città, annuvolate,
assediate di ogni specie animale,
alberi con rami tondi, bocche infuocate.
Della tundra, nel polare,
che dico? Se non quel volteggiare
in aria, terra, affondare
il piede in una zolla
del viaggiatore la sua ombra
così lunga, così distante.

* (saluto di benvenuto)


***

Del deserto l'ombra a un passo,
meglio vivere in uno stagno
montagna a scavalco per un gallo
che canta la sua immortalità, un corvo
nero svolazza sulle creste,
la sabbia muterà in tempesta,
muterà la pianura, respiro fluido
del corpo che non mente ripari:
un pioppo sul sentiero si espande,
trafitto all'ultimo sangue,
istante.


***

Dialoghetto pomeridiano

Prendo volentieri un caffè, se lo paghi tu
lasciate un messaggio, sarete richiamati,
richiamando per una lettura, una qualsiasi scusa,
una poesia per cercatori di funghi: noi dieci
per metà porcini! E tu, sei riuscita a non prendere l'acqua?
Guarderei in faccia la vita, a saperla guardare,
ogni cosa che dicevi tanto bella: quel bosco
inghiotte il respiro, mi squama la pelle,
rifiorisce in un assurdo.
E lì, nel freddo che credevo di temere, aspetto.


***

Guardo per chi non può guardare
un sentiero luminoso, offuscato,
la favola delle stelle, dei morti,
ad uno ad uno infilati tre metri
sotto terra, tre metri. Guardo
nel campo delle meraviglie un fiore
che esplode, uno stupido croco.
Sulla strada battuta dalle case,
un passo incalza in zona franca,
azzoppato.


***

Guardo per chi non può guardare
la distanza immutata, dalla gola profonda
del lago, l'inverno che non vuol morire
l'inverno, isterico tartarughino,

sul ponte inseguo una scena
della geografia cartina muta,
deserto, doppia assenza.


***

L'ultima volta che era inverno
sono andata nella strada dell'ospedale,
un grande cubo bianco, dove prima c'era un prato,
altre volte con più coraggio sono salita,
ai vari piani, a quell'ultima stanza in fondo,
per gli ammalati gravi. Sono stata in quella luce
opaca, senza mai il coraggio di entrare,
prima o poi ti avrei salutato,
con il bacio che non c'era più da darsi.


***

Non mi staccherò dalle cime granitiche,
regine, non mi staccherò dalla
finestra del Rifugio Re Alberto,
nella valle il deserto si ostina.
Non mi staccherò da ogni turbamento,
discesa sul fiume ad aspettare
che l'acqua si placasse e il vento,
il vento tutto, onda, onda d'urto.

(Testi tratti da "Del deserto", di Lina Salvi, puntoacapo Editrice, 2017; postfazione di Elio Grasso).

Lina Salvi è nata a Torre Annunziata (Napoli), attualmente vive e lavora in provincia di Lecco. In poesia ha pubblicato, oltre che su varie riviste letterarie (La Mosca di Milano, Il Segnale, Gradiva, ecc.), le seguenti raccolte: Negarsi ad una stella (DialogoLibri, Olgiate Comasco 2003, prefazione di Giampiero Neri); Abitare l'imperfetto (La Vita Felice, Milano 2007, prefazione di Gabriela Fantato, Premio Donna e Poesia 2007, finalista al Premio Baghetta 2008); Socialità (Edizioni d'If, Napoli 2007, Premio Miosotis); Dialogando con C.S. (Premio Sandro Penna 2010 per inediti, pubblicata a cura del Premio, Edizioni della Meridiana, Firenze 2011, prefazione di Elio Pecora); Lettere dal deserto, con un'incisione di F. Giudici (Fiori di Torchio, a cura del Circolo Seregn de la Memoria, Seregno 2014).

È presente in diverse rassegne antologiche, tra cui la più recente, Il Rumore delle Parole, a cura di G. Linguaglossa, Edilet, Roma 2015. Sue poesie sono state tradotte in lingua rumena e pubblicate sulla rivista Poezia di Bucarest. È vincitrice del Premio Astrolabio 2016 per la sezione inediti.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà