martedì 29 giugno 2021

Lo "Sguardo scarlatto" di Raffaella Lanzetta

Sguardo scarlatto è il titolo di questa recente raccolta di poesie di Raffaella Lanzetta, autrice romana molto apprezzata e alla quale le sono stati attribuiti diversi riconoscimenti in ambito letterario. Si tratta di un’opera omogenea nella quale predomina, prevalentemente, una ricerca dell’autenticità e dell’essenzialità nella vita quotidiana e nell’esistenza in genere. Sguardo scarlatto è metafora generalizzata di questa ricerca, di questa visione rigenerante della vita e dei comportamenti umani in un contesto sociale a volte opprimente e subdolo nel suggerire fatui panorami di benessere e di pace. Ma la poesia, e in particolare la poesia di Raffaella Lanzetta, si svincola dal vaglio di una società dedita essenzialmente a perseguire obiettivi materiali e superficiali, tralasciando a volte, anzi spesso, il lato buono dell’uomo, quello dedito alla “contemplazione” e alla ricerca del “chi sono-cosa voglio-dove vado”. La poesia segue una strada parallela, indica obiettivi sani e completi, che includano sì la carnalità, ma anche la trascendenza, il sentimento, l’emotività, la meraviglia, lo spirito. Con il coraggio di uno sguardo scarlatto, colore diretto e intenso, Raffaella Lanzetta affronta dunque questo percorso parallelo, guardandosi allo specchio nel quale la sua anima (e l’anima di tutti), non dipendendo né dalle geografie, né dai colori, né dal tempo, è sempre l’espressione volitiva e creativa di ogni Dio, cioè è purezza essenziale, è verità autentica e genuina.

Ed è con questo asserto che Raffaella Lanzetta ci conduce nella sua visione dell’uomo e del mondo, ci illustra la vita e i sentimenti anche nei più piccoli gesti e nei momenti più precari ma anche più belli, mostrandoci velatamente come siano falsi certi stereotipi e certe situazioni di apparente (o formale) libertà (“Lo strofinaccio parla con il bicchiere di cristallo e / tintinneggia chiacchiericci di ospiti andati”…), dove la monotonia e la formalità, l’abitudine regnano sovrani e gestiscono, opprimendoli, i sentimenti e le velleità di rapporti e relazioni più autentiche e immediate.

Interessante è la struttura poetica complessiva utilizzata da Raffaella Lanzetta in questo libro. La poesia per lei è l’atto conclusivo, è la definizione in sintesi, esaustiva ma mai definitiva, come si conviene ad una buona poesia, è la punta esplicativa di un iceberg che ha bisogno di ulteriori indagini e proiezioni per poter cogliere, almeno in parte, la materia ribollente che urge nel proprio intimo, domande e interrogativi, dubbi, speranze, possibilità… Ma a volte, la sua poesia è preceduta da una sorta di breve introduzione, un invito in prosa, un tentativo di aprire una strada tra e nei versi che si susseguono: per precisare, in qualche modo, per anticipare emotivamente e contenutisticamente ciò che lei desidera esprimere: ma non per spiegare, bensì per offrire altre aperture, altre possibilità di sentire e di riflettere. Ed è, questa, una operazione che denota quanto la nostra Autrice tenga a raccontarsi e a raccontare la vita e il mondo, anche i comportamenti e le piccole cose, ben sapendo che la poesia ha infinite corde e possibilità di sfumature da parte del lettore.

Una poesia armoniosa, propositiva, che induce a riflettere sul senso delle cose, sulla vita, sull’uomo.

Proponiamo qui di seguito alcuni testi tratti dal libro, invitando i nostri lettori ad esprimere ulteriori commenti in merito.


L'anima non ha colore

Una lacrima non ha colore,
né sapore né odore,
il grido per il parto non ha verbo,
il sorriso,
mezza Luna in Occidente ed Oriente.

L’anima ha forma inespressa se non ha voce,
ma l’anima è figlia di ogni Dio.



***


Palazzi

Due trattori arrancano su pendii,
corrono i palazzi in una gara a perdifiato con grattacieli
fino alla vetta su una collina di fiele antico.
Periferie delle coscienze,
tutti quanti siamo, tanti,
senza nome firmiamo sui muri
passaggi clandestini.
L’istinto primordiale non si ferma
chiede al destino il primogenito,
poi un sogno,
poi una dimora
fino al miracolo dell’uomo all’infinito.




***


Vorrei regalare poesia a te che ti nascondi tra i binari di una metro o dietro un pin, vorrei cercare per te l’angolo che non senti più, il mondo che nascondi alla fantasia per non soffrire.
Vorrei avere il potere di sollevarti alla ragione di esistere e non farti dimenticare delle meraviglie che puoi regalare con un sorriso. Posso solo scriverti come posso, solo conoscerti attraverso i versi e dirti che come te non ho storia, per ora sopravviviamo alla fatica di vivere. Respiriamo lentamente e rimaniamo in apnea per paura di perdere l’ultimo treno, quel il treno di cui ti ho raccontato. Non sarà l’ultimo.


Mi chiedi la mia storia?


Mi chiedi: la mia storia?
io non ho storia non ricordo il mio inizio
e non conosco la mia fine.
Nella poesia la volontà
di ordinare la storia dell’anima.
Inizio dal primo amore,
Mio padre,
No. Il primo amplesso.
No. Il figlio.
Non conosco l’ultimo,
l’ultimo è sempre l’ultimo,
nella speranza di fermare il tempo.
Mi chiedi qual è la mia storia?
non ho storia,
non ho droga, non ho alcol, non ho partito,
ma tasse e bollette
quattrini per comprare momenti felici,
nelle ore di poesia non ho storia,
solo poesia.


***


Per non vivere di noi

Lo strofinaccio parla con il bicchiere di cristallo e
tintinneggia chiacchiericci di ospiti andati,
il coltello accompagna la forchetta nell’ultimo acuto,
i piatti applaudono alla fine della giornata,
la tovaglia si raccomanda con le parole della mamma,
la candela fa cenni di non spegnerla,
il vaso sussurra i segreti al fiore per ogni petalo tanti baci
ed un solo boccone.
Parla la tavola, tiranneggia,
ordina un solo abbraccio.
Si perdono le voci, restano tintinnii
le parole non ascoltano,
e l’ascolto non può parlare,
così muti restiamo per non vivere di noi,
non esistere per il Mondo.



***

Regalo la mia libertà

A cosa mi serve la libertà,
se sono prigioniera dell’anima
prigioniera di un sogno d’amore.
Senza te legata a quello che sarebbe stato
e non è.
Non mi serve la libertà
se non potrò guardare con gli stessi occhi la fantasia.
A cosa mi serve la libertà
se sono prigioniera della coscienza,
nei legacci del tempo
che mi lascia immobile nell’anima,
ma porta via il resto.
Regalo la mia libertà
in cambio di un angolo di pace.



***

Scendo qui

Nonno ferroviere
Con un padre figlio del vento
Giocavo con l’aria spostata dalla velocità del treno.
Nell’adrenalina di un transito veloce
Mi sono rifugiata su tram di grandi città,
giostra per occhi ancora fanciulli,
girandola di visi, sorrisi e grugniti,
ad ogni giro la scoperta di saluti teneri o traditi,
case dai soffitti sopraffini,
il desiderio di quotidianità,
lampioni banditi dai sogni
nella fantasia di un lavoro.
Nel tram, speranza di nuovo,
incrocio di occhi affamati di senso
a ciò che corre senza freno,
con la disperazione del nulla determinato.
Scendo qui, la mia fermata: Poesia.



Brani tratti da:

Raffaella Lanzetta, Sguardo scarlatto, Edizioni Libreria Croce di Fabio Croce, 2020; prefazione di Antonio Veneziani.

Raffaella Lanzetta vive a Roma. E' laureata in Lettere classiche presso l'Università Federico II di Napoli. Dal 2001 lavora in Rai, attualmente per RAIPlay, gestione del personale. La sua prima raccolta Fammi diventare poesia (Chillemi), prefazione di Vincenzo Mollica, è stata premiata per la Poesia Contemporanea al Festival di Spoleto nel 2018 e dal Rotary (Abruzzo, Molise, Marche, Umbria) con il “Premio Cultura 2018”. Ha partecipato a numerosi reading collettivi con poeti come Corrado Calabrò, Sandrino Aquilani, Angelo Sagnelli, Giovanna Cristina Vivinetto, Plinio Perilli; inoltre molte poesie sono state inserite in numerose e pregevoli antologie.

 

domenica 27 giugno 2021

Una nota di Margherite Doubois su "Rebecca", di Gerardo Aluigi, RPlibri

Ospitiamo qui molto volentieri una interessante nota critica di Margherite Doubois sulla recente raccolta di poesie di Gerardo Aluigi, intitolata "Rebecca", edita da RPlibri di Rita Pacilio.

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Rebecca è il titolo del recente lavoro poetico di Gerardo Aluigi edito da RPlibri, piccola casa editrice indipendente che cura nei minimi dettagli la qualità della carta e dei contenuti. Rebecca è un nome femminile che ci rimanda immediatamente al personaggio biblico presente nel libro della Genesi. Rebecca è la moglie di Isacco e la madre di Giacobbe ed Esaù, considerata nel Talmud la progenitrice del popolo ebraico (attraverso Giacobbe) e del popolo romano (attraverso Esaù). Il fascino di questo nome ci fa pensare alla bellezza della donna, al simbolismo della sua generosità che, come in poesia, non è mai fine a se stessa. L’ospitalità e l’operosità di Rebecca, infatti, sono leggibili metaforicamente nella raccolta poetica di Aluigi in cui la coscienza del nostro tempo dà fiato alla sceneggiatura della memoria storico/emozionale accogliendo ogni evento nostalgico senza indugio e con ampiezza di movimento metrico per meglio carpire ogni sfumatura dell’animo umano.

Sulla pagina bianca ogni penna dirà

il dolore che non capiranno

l’amore perduto
la riva, il mare e la brezza

che ti avvolge
mentre aspettiamo la parola

per capovolgere il mondo.

 

Sull’aletta di copertina si legge: Rebecca è una raccolta di poesie che custodisce la luce misteriosa dell’alba dopo la lunga notte. L’autore fa fluttuare la parola assoluta e naturale tra sogni e realtà creando un prezioso zigzag tra il tempo perduto, i ricordi e le magiche certezze irraggiungibili. Gerardo Aluigi lega a un unico filo, sia lo strazio dell’esperienza dell’assenza e della solitudine, sia la bellezza della vita abbandonandosi ai bisbigli della felicità passata e vissuta in cui torna l’amore che resta l’unico cardine per orientare il futuro. Questo lavoro, dunque, ha una funzione conservativa che ci consente di stupirci continuamente di fronte al sentimento primario, l’amore, che resiste, persiste e paziente ci tiene per mano tra la veglia e il sogno.

 

***

Le nostre ombre sapevano toccarsi,

nude si baciavano
aspettando che la timidezza sparisse

quando il silenzio ci svestiva

con il solo occhio che aveva.

 

***

Vorrei parlare al mio destino,

sfondare la sua porta
chiedergli di cambiare la mia vita

aspettare giorni e notti

perché lei potrebbe passare.  

 

***

Questo batticuore che non rallenta,

è l’ansia che divora il mio destino

una necessità che ci tiene vivi.

 

Così lottiamo per non annegare

pregando che un fulmine non ci colpisca.

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Gerardo Aluigi è nato nel 1950 e vive a Pagani (SA).

Appassionato di poesia ha pubblicato nel 2008 la raccolta Gli argini del silenzio - LietoColle e nel 2015 Nudi, come il dolore - Guida Edizioni.

È presente in alcune antologie poetiche nazionali.
I suoi testi partono da una profonda ferita, così come lui stesso ama ribadire.

domenica 6 giugno 2021

"Per segni accesi", di Annamaria Ferramosca

Cos’è in fondo questa malinconia, se non la certa e costante consapevolezza delle finitudine?”, afferma Maria Grazia Calandrone nella dotta prefazione a questa recente raccolta poetica di Annamaria Ferramosca, intitolata Per segni accesi (Ladolfi Editore). In effetti è proprio qui, in questo assunto, il nucleo essenziale che ogni buon poeta, e in particolare la nostra Autrice, tenta di penetrare, di indagare, alla ricerca di un senso opportuno da dare all’esistenza, al quel groviglio di domande senza risposte, a quell’inanellarsi di dubbi ad apparenze filigranate e spesso fatue, volatili. Certo, ogni artista, ogni poeta, affronta la vita, il mondo e il complesso dei vari interrogativi che razionalmente risalgono alla mente e che solo in parte vengono chiariti, attraverso la conoscenza e lo studio delle leggi fisiche che governano il creato (o almeno quella parte di creato che rientra nei confini delle nostre capacità critiche e osservative…). Ma resta comunque quel qualcosa, quel quid, quelle luci, quei segni, nell’universo quanto nell’uomo stesso, che ci lasciano insoddisfatti, a dir poco; che ci lasciano delusi, e quindi, malinconici.
Da tutto questo quadro emerge il progetto dell’artista, e nel nostro caso del poeta, volto a ri-costruire, in un certo qual modo, una realtà propria, che sia estrapolata direttamente dalla natura circostante, attraverso i cinque (o più) sensi, in grado di vedere oltre e filtrare esterni ed interni, panorami e anime, flussi vitali e storie intime.
Per segni accesi è un percorso circolare, un itinerario che si snoda attraverso tre principali sezioni (le origini l’andare, i lumi i cerchi, per segni accesi) in un crescendo delicato ma deciso di considerazioni e riflessioni sul senso della vita, ma in particolare su ciò che la natura e l’universo principalmente suggeriscono, attraverso le loro apparenze, all’uomo: prerogativa del creativo, dell’artista e del poeta, è proprio quella innata capacità di soffermarsi sui misteri del mondo, vederli e indagarli sotto una luce diversa, magari parallela al criterio scientifico, scorgervi la traccia di un elemento che trascenda il tutto.
Il confine più o meno lontano, ma sempre percepibile, della conoscenza, la consapevolezza del limite e della finitudine, accelerano nel poeta, ed è così anche in Annamaria Ferramosca, l’impeto poetico, che mitighi almeno in parte questo senso di disagio, “ribellandosi a questa ipnosi della notte”. Ed è proprio questa impellenza a ispirare e a guidare la nostra autrice nella ricerca di un rinnovamento, o di rinascita, partendo dai segni essenziali, dai vagiti, dai sentimenti e dalle emozioni genuine che da sempre hanno costituito il motore evolutivo e conoscitivo dell’uomo verso una possibile meta (anche) escatologica. Il discorso poetico di Annamaria Ferramosca, in questa raccolta che rappresenta, come lei stessa afferma nella nota, un intenso lavoro di agglomerazione e di completamento estensivo, si annuncia delicato all’inizio, quasi sottovoce, per poi esplodere nella piena evidenza sonora e luminosa dei segni accesi: e sono versi intensi, dove la poesia è strada maestra, architettata sapientemente e con grazia, con intelligenza e con scorrevole lirismo, in virtù non solo della parola poetica in sé, ma anche degli echi allusivi, delle pause, dei coraggiosi quanto originali e indovinati nuovi termini costituiti dall’unione di due sostantivi.
Una poesia, quella di Annamaria Ferramosca, che offre molti spunti di riflessione, anche filosofici, sull’interpretazione della vita, sul senso dell’esistenza, sulle possibilità di redenzione e rinascita dell’uomo.


***


si fermano i vortici della notte   si compie il tempo

l’humus prende forma   imita materia d’alba

la morbida piega dei petali

sul petto approda l’arca   il bosco oscilla

e uno stormire basso   quasi un silenzio

permette all’utero l’ultima spinta

dev’essere pace intorno per il primo grido

 

così difficile e pure così gioioso

dire di un movimento che prima non c’era

e pure si predisponeva

con l’impercettibile forza del germoglio

un tendere misterioso del seme

verso un cielo che approva   che chiama

il piccolo corpo a muoversi sul ventre

inesorabile   verso la tepida scia bianca

 

(dalla sezione “le origini l’andare”)

 

***

 

perché sempre ubbidire

perché non nascondere il capo

nel sacchetto del pane

all’accostarsi solenne dell’angelo

a quel suo eterno gesto di creta azzurrina

 

basterebbe arginare le folate del manto

deviare in un crepaccio il soffio ardente

basterebbe cercare una falda vicina alla casa

– acqua di prossimità –

per cementare ogni crepa sul muro

 

chiedere un prodigio diverso se

non i pani ma i muri si moltiplicano

muri a secco

di compassione

non hanno mai riparato

né un rovo né un geco dagli incendi

 

è un fiume amaro a sprofondare

carsico in petto lasciando allo scoperto

sedimenti incoerenti

domandepietre

 

(dalla sezione “le origini l’andare”)

 

***

 

estremo maremistero

ultime colonne a segnalare il passo

per l’infinito scuro

dove si annega di

senso desiderato

senso celato paese

che disconosco   (mai chiesto

di nascere nella casa

dai muri in crollo)

 

e le montagne

attonite imbelli

a lasciarsi corrodere

fino a deserto

le foreste a lasciarsi incendiare

e noi   molecole delusetristi

ad aleggiare   sorridere

della illusione   della nulla luce

 

(dalla sezione “le origini l’andare”)

 

 

***

 

fare tabula rasa dei pensieri

affidarsi al buio

con la sicurezza dei ciechi

 

sostare ad ogni angolo della notte

afferrare i lumi al baluginare dell’alba

sulla bocca delle sorgenti

nel luccichio delle nascite

 

verrà l’oceano

verranno le sue vele

saremo nuovi per nuovi continenti

 

(dalla sezione “i lumi i cerchi”)

 

 

***

 

non siamo nel mondo ma in un presentimento

navighiamo l’ignoto mare di odisseo

per moto impulsivo incontenibile

mentre il petto fibrilla di lampi

quali nodi premono segreti?

 

e ci esaltiamo lungo i meridiani

per ogni lingua viva   come bella s'accende

quando si contamina

e si esulta

nel riconoscere la madre in ogni terra

e fratelli su ogni terra uguali

mentre torri schiantano e ponti

deserti avanzano   s'inabissano rive

 

(dalla sezione “i lumi i cerchi”)

 

***

 

2020 di buio e password

 

lontani ormai quanto lontani

i passi attenti   gli occhi

che cercavano il vero tra le macerie

chiavi per riaprire l’alba

 

non basta più il semplice

meccanismo del ricordo

racconti dell’infanzia amori replay di film

le cose più intoccabili non bastano

per riordinare la materia in disordine

la terra che più non riconosce il suo seme

 

nemmeno io riconosco te   l’altro

nemmeno me stesso   non ricordo

com’ero   come

avrei voluto essere

quali corde scegliere

da far vibrare   quali suoni o grida

lanciare ai quattro venti

 

eppure sento che avrei voluto

vederti correre – tedoforo di Olimpia –

a perdifiato   con la tua torcia di bellezza-luce

attraversare i continenti

 

attesa   ormai soltanto

amara attesa   intanto

dare un nome al prossimo tornado

al prossimo virus

rinchiudersi in casa ad ascoltare

dati norme statistiche

formulazioni entropiche

per un futuro d’ombra

 

preferisco

battere ancora la fronte sui muri

sulle miopi porte sprangate

svestirmi del superfluo   come i nativi

parlare le loro lingue dei fiumi

dai codici leggeri

password del vero

                         per abitare il mondo

 

(dalla sezione “per segni accesi”)

 

 

***

 

salvataggio da babel

 

ascolta ora    questa voce

in mp3 recorded    devi ricordare

come altre voci   a milioni   per il dopo

potrai salvarle? – per il dopo – dico

il dopo del grande sisma   il grande

regolatore   quando

il dio economico sarà crollato

caduto in pezzi pure il dio robotico

torcendosi in sordi borborigmi

                           bor bor bor

 

e noi

presi alla sprovvista

senza nemmeno un ultimo selfie

tornati nel deserto   disorientati

da babel imbarbariti

di nuovo a balbettare

in smozzicate sillabe

                bar bar bar

 

(dalla sezione “per segni accesi”)


(testi tratti da "Per segni accesi", di Annamaria Ferramosca, Giuliano Ladolfi Editore, 2021; prefazione di Maria Grazia Calandrone).

Annamaria Ferramosca è pugliese e vive a Roma, dove ha lavorato come biologa docente e ricercatrice, ricoprendo al contempo l’incarico di cultrice di Letteratura Italiana per alcuni anni presso l’Università RomaTre. Ha all’attivo collaborazioni e contributi creativi e critici con varie riviste nazionali e internazionali e in rete con noti siti italiani di poesia. È stata ideatrice e per molti anni curatrice della rubrica Poesia Condivisa nel portale poesia2punto0. È ambasciatrice di Sound Poetry Library (mappa mondiale delle voci poetiche) per Italia e Puglia.

Ha pubblicato numerosi volumi di poesia. Ha inoltre curato la versione poetica italiana del libro antologico del poeta rumeno Gheorghe Vidican 3D - Poesie 2003-2013, CFR (Premio Accademia di Romania per la traduzione). Sue poesie appaiono in numerose antologie e volumi collettanei e sono state tradotte, oltre che in inglese, in rumeno, greco, francese, tedesco, spagnolo, albanese, arabo.

Un’ampia rassegna bibliografica con recensioni critiche, testi e materiale video-audio è nel sito personale dell’Autrice: www.annamariaferramosca.it

sabato 5 giugno 2021

Fernando Della Posta, "Sillabari dal cortile", silloge vincitrice del 3° premio ex-aequo Transiti Poetici 2021

 

Elementi primari di vita quotidiana, di storie e geografie insolite benché attuali, orlature di immagini inusuali, compaiono in questa silloge originalissima di Fernando Della Posta, dall’indovinatissimo titolo Sillabari dal cortile, meritevole del terzo premio ex-aequo. La silloge, solo apparentemente sembra disarticolata in vari spezzoni autonomi e inerenti a quadri di tematiche diverse, ma a ben vedere esiste un sotterraneo filo conduttore che tiene uniti i vari contesti, e si tratta dell’ambiente romano generico, immerso però in una luce quasi canzonatoria e ironica. La struttura poetica utilizzata dall’autore è poi un secondo aggancio opportuno, un collante eccezionale per dare unità logica all’intera silloge.

Si parte dal basso, dagli elementi primari, come dicevo, e le parole del Sillabario prendono corpo a formare quadri e situazioni quasi surreali, pur rimanendo nel contesto dell’osservazione diretta, molto verosimili se non addirittura effettivi. Certo, la poesia per sua natura dona un velo di mistero o perlomeno di indeterminazione, con il quale riesce ad arricchire di significati e a moltiplicare le interpretazioni degli enunciati, altrimenti sarebbe solo mera cronaca o semplice riporto narrativo. L’enfasi poetica è importante, perché nel detto dice anche altro, vola oltre le dichiarazioni belle e buone, e le parole devono essere aerei che volano oltre le normali costruzioni dell’uomo.

Sillabari dal cortile è tutto questo, rappresenta tutto questo. Muovendosi dalle cose di tutti i giorni, dal cortile dove la vita è, ed è stata, quella più spinosa ma anche più autentica, immediata e senza troppi fronzoli o inutili e sterili sofismi, l’autore tocca il vivo della storia, di quello che era stato uno scenario ben frequentato, un ambiente casalingo, l’interno di un’osteria, adoperando il suo intelligente e sagace sillabario per descrivere, giustamente trasfigurando poeticamente, gli atteggiamenti, le piazze, le situazioni, i volti, i sentimenti.

Ogni cosa è nella giostra della poesia, che ruota attorno alla realtà di un mondo non sempre concepibile con la semplice logica della mente, ma ci vuole il volo descrittivo ed emotivo della poesia per afferrarne appieno i meccanismi, a volte astrusi, che muovono le cose e il mondo attorno a noi, attorno alla città.

E Fernando Della Posta è maestro, nel descrivere questo suo mondo particolare, che è poi il mondo di tutti, con versi che prendono immediatamente, che fanno vedere e sentire ciò che la vita di superficie banalmente e laconicamente nasconde.


SILLABARI DAL CORTILE

 

Gioca per sé, come tutti

un rialzo massimo

la sfinge del convolvolo.

Scommette meno di un soldo

per una vita brevissima,

ma ugualmente sentita.

 

 

***

 

Dalla finestra pendolare si mostravano in cinepresa

di Caravaggio l'alto campanile a lanterna

e quei cascinali riempiti dagli amori tra pari,

tenaci nei gruppi che sceglieranno i sobborghi.

Sanissimi nel corpo e addestrati all’esodo,

hanno affilato le unghie come tigri del Borneo,

hanno addolcito brutture e abbellito le vesti,

hanno cresciuto figli come stolidi cipressi

destinati alla saturazione infine al declino.

 

 

***

 

Quando Roma graziosa sonnecchia,

rumorosa di ninne nanne e arrosti,

anche l’inverno può essere bello,

leggero come un vetro soffiato.

 

 

***

 

 

Cinecittà

 

Cinecittà scimmiotta le città rinascimentali,

ideali, le mura che la cingono sono ponti

dov’è l’acqua che scavalca le persone.

Le torri hanno nomi esattoriali, da solido

apparato assolutistico. Cupole moderne,

caserme, reiterate missioni pastorali e campi

da calcetto, testimoniano un lavoro secolare,

perseverante, di educazione borgatara.

Confinate in un gran recinto di cemento

scenografie mirabolanti giacciono

come un Carnevale permanente.

Zingari e giostrai riempiono gli spazi ai margini.

Sgomberi e bonifiche li hanno ricacciati nel verde,

demolizioni e dismissioni di lussi proibiti.

Al Quadraro, suo nucleo primitivo

il Quadraretto è il cammeo della collana

che va a posarsi tra i seni della dea, Roma!

Don Bosco e padre Sardelli mettono

a segno le cime irraggiungibili, come Rosa e Stelvio.

La materia della più delusa periferia si palesa

schiacciata, in sprazzi di abbacinante

bellezza, i graffiti di quegli adolescenti che hanno

lo stesso stallo di coloro che non hanno

un’identità accettata, una statura riconosciuta.

La paccottiglia benestante invece si accatasta

in palazzi tutti uguali dove si ripetono

storie di vita da catene di montaggio

capillari, fino al più intimo frammento di tessuto

stretto nel proprio incanalarsi regolare.

Ma nel ritmo semaforico, ipnotico del traffico

riconosco volti col mio stesso peso piuma

sul cuore, che un giorno si fa lancia verso il cielo,

l’altro punta ventre a terra la durezza del selciato.

Tra gli antichi acquedotti passa un treno

come un dardo, ma fa un rumore di caldaia,

più che di sfrecciante oggetto dell’aria.

Forse fuori dallo schermo avrà un castone

tutto suo, dove fare da tassello naturale.

Ma passa e va, come tante storie dimenticate.

 

 

***

 


Centocelle

 

Nuova periferia non nasce un poeta

che ti canti, né un pubblico disposto

ad ascoltarti. Se prima una ferita

ti slegava dagli stemmi, oggi una frattura

ti separa dai quartieri identitari.

Penisola che un fragile istmo attacca

a un cuore morto, nel tedio domenicale

il silenzio, un vuoto senza nome avvolgono

i tuoi stradoni solitari. Nell’osteria turca

ben quattro dico quattro signore slave

onorano un pranzo festivo; due ragazzini

guance nodose, tessuti scolpiti nel teak

bevono un espresso nazional-popolare;

la stessa magrezza di mio nonno giovanotto

appare nel levantino che esce dal locale.

Una bambina indù si rassicura sul mio resto,

mi propone stuzzicadenti cinesi. Esco contando

le persone su sei dita. Sui Gerani sta piovendo sole.

 

 

***

 

Fanno chiasso i girasoli sotto il sole,

un parlottare muto nella stessa lingua

della specie, un fragoroso muoversi

di venti, odi bambini gridare fra gli steli.

 

 

***

 

Malinteso?

 

Gli umori dei nostri corpi nudi

dopo che si sono amati sfregati scorticati,

li rimettiamo a concisi lavatoi. Da lì, attraverso

un lungo sentiero di passaggi sommersi,

giungono al mare a diluirsi nel sale.

Ma chissà se tutto questo pudore

una volta posato sulla bilancia del Creatore

salverà questo mondo o se non sia

il principale motivo di questa dannazione

nera che ci mena dentro i nostri

sempre più asettici e solitari appartamenti.

 

 ***

 

Gli aeroporti spediscono lettere alle nuvole.

Il salto metalinguistico è vertiginoso.

Un banco di cirri può essere un nastro

trasportatore, le destinazioni vanno decifrate.

Babele è cresciuta come un intrico nei cieli.

 

 

***

 

Paterson*

 

Il turista giapponese dice che vive di poesia.

È venuto a Paterson per il poeta locale dal nome simpatico

e per il poeta ebreo amico di Dylan.

Sa anche del Bresci, l’italiano che uccise il re,

ma lo considera un fatto secondario. Paterson,

cittadino di Paterson, ogni mattina annota poesie

sul suo taccuino prima di partire con l’autobus

che guida otto ore al giorno per guadagnarsi da vivere,

per sé e sua moglie. Come molti suoi colleghi

di penna condivide il pensiero che tradurre

sia un po’ come smontare i ciliegi.

 

*film di Jim Jarmusch del 2016.

 

 

***

 

Giovani costruiamo un mondo per giovani

illusi di poterci conservare,

ma gli anni ci stringono alle lusinghe

dell’inganno di una stasi felice.

 

Ma torni ogni deluso dalla vita

a chiedere un futuro che non sia

rovina di un cortile abbandonato!


Fernando Della Posta è nato nel 1984 a Pontecorvo in provincia di Frosinone. È laureato in Scienze Statistiche, vive a Roma e lavora nel settore informatico. Numerosi sono i premi letterari ottenuti e numerose sono le sue recensioni e le sue sillogi reperibili su diverse riviste e diversi blog letterari, come Neobar, Poesia del Nostro Tempo, Words Social Forum, Viadellebelledonne, Poetarum Silva, L’EstroVerso, La poesia e lo spirito, LaRosainpiù, Perigeion, Poesia Ultracontemporanea e Il Giardino dei Poeti. Ha pubblicato le raccolte di poesie L’anno, la notte, il viaggio per Progetto Cultura nel 2011, Gli aloni del vapore d'Inverno per Divinafollia nel 2015, Cronache dall’Armistizio per Onirica nel 2017, Gli anelli di Saturno per Ensemble nel 2018, Voltacielo per Oèdipus nel 2019 e Sembianze della luce per Giuliano Ladolfi nel 2020.

 

Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà