Si tratta di un volume tipograficamente elegante, composto di due parti: la prima consiste di una silloge poetica, mentre nella seconda scopriamo l’altro lato della competenza letteraria dell’autrice, e cioè la narrativa, ma più specificamente la fiaba (ve ne sono due).
L’idea di unire insieme, nello stesso libro, la poesia e la narrativa, sembra essere un’esigenza dell’autrice per completare e integrare la sua visione del mondo, sia interiore che esteriore, con entrambe le modalità espressive, laddove alla poesia affida un discorso intimistico ma ricco di simboli e di afflati emotivi, liricamente ben costruiti e pregni di una grande armonia, mentre con la narrativa e le fiabe vuole distendersi e ulteriormente allargare i confini meravigliosi della realtà, includendo attori, personaggi e panorami suggestivi e liberi da ogni stereotipo o costrizione e inquadratura. L’aurea vena, titolo per questi motivi veramente indovinato, è dunque, come anche ribadito nella dotta prefazione di Mariapia Ciaghi, questo anelito urgente dell’autrice a ricercare, ad indagare il segreto filo conduttore che muove gli animi, quei lacerti di luce, di bontà, di schiettezza e di autenticità che abitano nel cuore e nell’animo di ciascuno, e che sovente vengono trascurati se non addirittura rimossi, in una vita materiale che ignora il sentimento, l’amore, la bellezza e il canto del creato.
Ultimo Atto
E lascia che cada questo tempo
nel cerchio muto dell’invisibile
sentire, ove s’infrange la spuma e il sogno,
ove ondeggia l’immeritata assenza.
«Tanto non mi prenderai» – dissi, ridendo.
Non sapevo. E se anche ci riuscissi,
sguscerei dalle coste del tuo
brandirmi, perché forse tu non udisti
(eri troppo lontano) il suono delle mie
membra sciolte. E ti lasciai andare,
ché non ebbi scampo che d’amarti
al di là della soglia della notte
e di restituirti nudo al delirio
del tuo libero, libero arbitrio.
Aurora messapica
E se vedi falare una stella
nella notte sfiorata, non è che
l’aurora che dirige mani
di polline incantato e slarga il
giorno nuovo: lì, tra il cielo e l’infinito
dispare: ancora tutto può accadere,
anima mia, che t’appresti al volo.
Quando più non sarò qui
Quando più non sarò qui e l’argenteo
filo sarà riconsegnato all’etere infinito,
non toccare il mio corpo per tre ore,
che ancora arde nell’anima frastornata.
Aspetta tre dì, poi ridammi a Lui.
Non vestirmi di nero né d’altro colore…
Lasciami andare nuda in un lenzuolo di luna,
l’unico bramato sudario.
Non scarpe, che troppo poco ho indossato e pesano.
Non lasciarmi in pasto ai vermi che spauro:
lasciami divenire fiamma, l’ultimo
volo di una stella stordita.
Rimanga solo cenere d’acquerello
o nei versi smarriti di chi ricorda.
E poi divenni fiamma, guglia di diamante.
Vado scaricando il mio fardello
Vado scaricando il mio fardello
di fili d’erba tra le tempie affaticate.
Le membra ormai si sciolgono ogni giorno.
Ci ho provato a resistermi e
ho fatto quel che ho potuto…
sapevo bene che lentamente me ne andavo
e nessuno mi avrebbe trattenuta.
Eppure io sapevo bene della bellezza
della lucertola che correva distratta tra
i piedi, e del chiacchierare spensierato
delle foglie del susino… Me la ricordo io
la tenerezza gratuita dei miei
compagni di giochi nella terra e nel vento.
Cosima Di Tommaso, L’aurea vena Poesie e racconti,
Edizioni IL SEXTANTE, 2025
Curatela e critica: Mariapia Ciaghi
Ha pubblicato Poesie e racconti (Lampi di Stampa, 2007) e Cantico per chi si ama (Il Sextante, 2010), tradotto in dodici lingue e spesso interpretato in scena. Ha scritto inoltre racconti, fiabe e collaborato con riviste e periodici, tra cui L’Eco delle Dolomiti. Come interprete ha preso parte a diversi progetti musicali, sia come solista che come corista.
Dal 2001 si dedica anche all’acquerello steineriano, studiando con Fiorenza De Angelis, Gabriela Sutter e Stefano Signorin. Oggi conduce una vita più riservata, dedicata allo studio e alla ricerca interiore.

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