E così, prendendo a prestito un termine desunto dal linguaggio scientifico, “sedimentare”, ma anche sociale e psicologico, la nostra Autrice costruisce un intero progetto poetico fondato e caratterizzato dall’invito a lasciar cadere l’inarrestabile flusso del tempo in una sorta di recipiente immaginario, dove possa “sedimentare”: sedimentare non per estinguersi, per morire, per annullarsi, bensì per essere pronto, al momento opportuno, di essere “colto”, di essere riproposto alla mente e al cuore dell’autrice e di tutti. Si tratta dunque di prendere una pausa, di aprire una parentesi di pace nel trambusto della vita quotidiana, di respirare per un po’ un’aria più limpida, per tornare a qualche sogno, per considerare con nuovo sguardo la realtà che ci circonda: “Accompagnami ancora, bellezza della vita, / incalzami con le voci che infrangono l’oblio / deposto tra valve di memorie senza suono…”, canta Emanuela Dalla Libera in una sua lirica iniziale, che è quasi un proemio a tutta la sua opera.
La poesia è in fin dei conti anche stato di grazia durante il quale il poeta esprime finalmente le sue sensazioni, le sue motivazioni, le sue idee e la sua filosofia di vita dopo aver osservato attentamente in sé stesso e nella realtà circostante i “segnali” e i messaggi ricevuti: ciò non è possibile realizzare nel trambusto piuttosto continuo del giorno, ma è necessario fare “sedimentare” questi messaggi, questi impulsi, per poter poi meglio indagarli ed esplicitarli, artisticamente e, nel nostro caso, poeticamente.
Per giungere a tutto ciò, Emanuela Dalla Libera si svincola in qualche modo dal flusso tempestoso e irruento, spesso spigoloso, della quotidianità, e lascia “riposare”, decantare, il groviglio emotivo che energicamente alimenta il corso della nostra vita, fatto di attese, gioie, dolori, speranze, impulsi emotivi, dubbi, incertezze, progetti. Il risultato di questa intelligente e soave “sedimentazione” è una poesia altamente lirica, di tono elegiaco, che procede con una delicata e amorevole solennità: una leggerezza che non è affatto superficialità ma piuttosto il simbolo di un tentativo (riuscitissimo!) di innalzamento delle cose e dei cuori a livelli superiori se non proprio eterei e trascendentali.
Accompagnami ancora
Accompagnami ancora, bellezza della vita,
incalzami con le voci che infrangono l’oblio
deposto tra valve di memorie senza suono
e le nebulose dissolvimi gravide d’ombre
negli angoli insonni di giorni immeritati.
Paziente, attenderò alle sillabe pudiche
delle domande grevi in mezzo alle pietraie
aguzze, dove si accecano i passi della sorte,
e alle risposte mute dei sogni sulle soglie
aperte all’eterno ingannevole del tempo.
Altre storie ascolterò dalle tracce emerse
sul ruvido fondale del passato, tra le mani
terrò la loro bava di lumaca luccicante
sotto i palpiti silenziosi delle stelle,
mentre nel ventre trasognato dei tramonti
addormentati sopra il mare, un canto quieto
scivolerà sull’onde e tra rimpiante forme
ormai svanite un’eco amara sentirò di pianto.
***
C’è nei luoghi dell’anima
C’è, nei luoghi dell’anima, un posto
in ombra dove cantare gli assoli
della vita, e lasciar scorrere, tra le pieghe
della notte, parole rimaste a mantener
la luce su voragini scolpite nel silenzio.
C’è un posto dove le voci dei pensieri
fluttuano come chiglie sulle onde,
o al vento si annodano nei sentieri
solitari, quasi viandanti in cerca di riposo
dagli echi polverosi dei giorni dileguati,
ai bivi si arrestano della sera a contemplare
l’azzurro sazio dei cieli all’orizzonte
e negli occhi trattengono il respiro delle aurore.
Si allenta in essi il peso delle ore incatenate
all’incerto esistere nel mondo, e in volo,
come rondini di mare, se ne fugge
il tempo, lieve oscillando per gioco
tra le fronde, a cercare, tra le nubi, varchi
di innocenza nel procedere degli anni,
clemenza al suolo che altri passi attende.
***
È venuto il tempo
È venuto il tempo in cui il tempo
ci è scivolato dalle mani, come acqua
precipitata da una diga nel fondo
del destino, e noi con occhi increduli
lo inseguiamo, e al ramo che sporge
sulla cima vorremmo averlo quieto.
Ali gli diamo per tornare indietro
ma in frammenti esangui si perdono
le cose che abbiamo conosciuto,
parole senza accenti rimangono all’incanto
dietro sporgenze cariche d’ignoto.
Solo rimane nell’incavo dormiente
dei giorni germoglianti nel futuro
un sorriso grato di rimpianto, la spenta
voce di una felicità ignorata e poi perduta.
***
Madre
Ho le tue mani, adesso, sgualcite
come un’erba calpestata, i tuoi gesti
arresi alla voracità del tempo, nei miei passi
sono i tuoi quando salivi lenta le scale
sperando un domani ancora nei resti
dei tuoi anni, e mi prende il tuo silenzio
che un tempo non capivo. E pure, è vicino
il tuo parlare, risuona sulle foglie
secche che emendavi dai gerani, sui panni
stesi nell’aprile che garrula ti sapeva
quando non greve ancora ci circondava
il mondo e sapeva di terra e di stagioni
il tuo pensare, ed era di altri tempi
la tua pazienza accesa. Io so dov’è la casa
adesso, è dentro le stanze dove il tempo
mi è sfuggito e tu ancora vieni, l’alba
è il tuo apparire tra gli effluvi del risveglio,
la sera nelle ombre dolci a coprire la fatica,
e tu ancora vieni e riempi il mio destino.
***
Nostos
primavera 2020
Ci sarà ritorno da questa primavera
naufraga, e avrà un’altra luce il sole
poi che dalle ombre ci risveglieremo,
un altro canto il vento, voci inascoltate
emergeranno dai giacigli per riempire
le albe di calore, e torneranno
i nostri passi tra i silenzi della luna
a respirare il cicaleccio fitto delle stelle,
il riso della risacca in braccio al mare,
parole nuove sentiremo bisbigliare
agli angoli delle strade, la sera,
e in altri angoli nasconderemo la colpa
di non aver capito quanto può essere
grande il cielo dentro le nostre ore.
***
Silenzio
Se troppe parole mi opprimono di vuoto,
se tra le sillabe amari suoni sento stridere
di sera e di scontento, o l’inquieto vento
di un ricordo mi turbina alle spalle col rumore
di un rimpianto, salgo alla macchia mia
selvaggia dove gli ulivi cedono morbidi
il passo alla natura, e, in una solitudine
senza pianto, dei boschi miei sodali
con sguardo lento penetro l’anima silente.
Mi si spoglia il tempo dell’acredine
dolente che i solchi percorre dei passati mali
e nudo intreccio il mio respiro alle lustrali
ombre che riparo danno al mio patire,
nelle fronde ritrovo teneri gli abbracci
e i canti di una madre, e un regno
di silenzio riempie la cavità senza pareti
dei pensieri andati a fondo, tra i rovi
incaglio le note scordate dei miei anni
come effigi d’autunno cadute in abbandono.
Emanuela Dalla Libera è nata a
Vicenza, dove ha condotto i suoi studi. Si è laureata a Padova in Lettere e
Filosofia. È stata docente nelle Scuole Superiori. Per ragioni familiari ha
vissuto per lunghi periodi all’estero, in India e negli Stati Uniti, esperienza
che le ha lasciato tracce profonde e l’ha resa cittadina del mondo, aprendole gli
occhi sulle multiformi realtà della vita e della storia. Da qualche tempo si è
trasferita in Maremma Toscana, dove trascorre la maggior parte dell’anno e
dove, spinta dalle suggestioni della natura e del silenzio, ha iniziato a
dedicarsi alla scrittura poetica. Ha pubblicato due raccolte di poesie,
entrambe edite da Gilgamesh: Lo sguardo altrove, ed ἡσυχία
Sedimentare il tempo, opere che hanno ottenuto premi e riconoscimenti in
concorsi nazionali ed internazionali.
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