È interessante notare come la trama e la struttura poetica della nostra autrice non sia cambiata, nelle due raccolte prodotte, e questo è indizio della sua considerevole maturazione, fino ad ora, avendo ormai affermato il suo progetto propositivo e ricavandosi così uno spazio importante e meritato nel panorama della poesia italiana attuale. Ciliegie, dunque, in qualche modo costituisce la naturale continuazione della silloge precedente, come se l’autrice avesse ancora qualcosa da dire, come se il suo discorso e le sue riflessioni poetiche sul mondo non si fossero del tutto esaurite o prosciugate, ma ancora urgenti da esporre. E in realtà penso che sia proprio così. La poesia può avere un flusso inarrestabile, il poeta può continuare a lavorare sugli stessi temi esprimendoli in versi sotto infiniti aspetti, angolature e prospetti, ampliando o restringendo, alludendo o significando in altri modi e dimensioni. E sempre mantenendo il proprio stile di scrittura, la propria impronta formale.
Qui Ciliegie è la verità in tempo reale di un’osservazione a tutto tondo della realtà circostante, narrata al presente (“Nonna mi porta le ciliegie appena lavate”) ma evidentemente riferita ad una realtà nostalgicamente trascorsa, più genuina nelle intenzioni e nelle azioni. L’immediatezza del dire della nostra autrice non fa che denunciare ancora di più un sistema di vita, personale, familiare e persino sociale, frantumato e banalizzato, come quello attuale. Il rammarico, seppur lievemente velato dai versi intelligentemente metaforici, si evidenzia nella chiusa: “ma chi lo dice ora a nonna / che io con quest’occhio non vedo più / la ciliegia, / né la testa sua grigia.”
E così la poesia di Francesca Romana Rotella in Ciliegie prosegue nell’attenta osservazione del tutto, dalle strade di Roma all’amore, al desiderio di svincolarsi da una realtà ingombrante per vivere una serenità di cieli azzurri, dalla consapevolezza della fragilità dei castelli di carta, dei sogni e delle illusioni, all’amarezza delle tragedie e dei drammi. Ma il suo dire non è mai mesto, semmai adombrato lievemente di tristezza nei punti in cui esprime maggiore nostalgia. Comunque è un dire poetico fluido, continuo, a volte ironico, in cui riesce a indicare e a far risaltare anche le minime cose, in una quotidianità che va evolvendosi forse senza controllo: la poesia di Francesca Romana riesce magistralmente a fissarla e a rivalutarla, ed è questo uno dei tanti pregi della nostra brava autrice.
Ciliegie
Nonna mi porta le ciliegie appena lavate
è arrivata l’estate
e con lei le finestre sempre aperte
l’azzurro prepotente
le luci a casa spente
il sole
il primo amore
le belle di notte
le gonne corte
il frinire delle cicale
le lucciole al Gianicolo
le lunghe giornate al mare
il gelato leccato, caduto e spiaccicato
Trastevere in festa
la granita al limone, all’amarena,
a quel che resta.
La mia mano tiene la ciliegia bagnata
appena lavata
nell’estate che è tornata,
ma chi lo dice ora a nonna
che io con quest’occhio non vedo più
la ciliegia,
né la testa sua grigia.
Strade di Roma d’estate
Camminando per le strade di Roma
d’estate, sento l’odore del ferro
dei binari che sono caldi
e sanno di sangue.
Sapete che il sangue sa di ferro
e il ferro sa di sangue?
Su queste strade di Roma d’estate
trovo mazzi di fiori secchi
sciarpette colorate, orsacchiotti
e nomi scritti
elenco di chi ha visto come ultima cosa
una strada di Roma
sono Mauro, Stefano, Giulia
e continua…
Figli, fratelli, amici e compagni scomparsi
su queste strade di Roma che ora
d’estate, non sono più affollate
ma rubano vite e inghiottono singhiozzi
strozzano i respiri e perdono i battiti.
Queste strade di Roma vecchie, rotte, bucate
d’asfalto, sampietrini, tombini,
voragini e geyser
strade che ingoiano carne giovane
che mai più sarà restituita.
Per questo le strade di Roma d’estate
hanno l’odore del ferro
che è l’odore del sangue
che è l’odore di
Mauro, Stefano, Giulia
e continua…
Gli amanti
Cosa si dicono di notte gli amanti,
cosa si dicono prima di addormentarsi?
Si promettono fughe
si confessano fantasie
con le quali vogliono sporcarsi.
Bisbigliano alla luna,
sussurrano al cuscino
parlano a finestre
da cui non possono affacciarsi.
Castello di carte
Si può biasimare un castello di carte
per essere ciò che è?
Il temporaneo
miracolo equilibrista
di carte da gioco,
sapientemente adagiate
da abili mani d’artista.
Non è in fondo colpa sua
se illude e incanta
per ciò che non è,
l’immagine di un’imponente fortezza,
messinscena dell’umana destrezza,
poiché basta un soffio di bimbo
un’insignificante brezza
ed ecco che traballa, rovina, crolla
e, infine, si spezza.
Per volare
Per volare è necessaria leggerezza
e io ne ho molta
per questa felice coincidenza
mi trovo spesso a decollare.
A volte raggiungo altezze maestose
vedo aquile in picchiata
puntini anziché persone
ma arriva poi la delusione
la notizia, l’assenza
mi ricordo che non c’è paracadute.
Spiaccicata in mille pezzi su un prato brutto
riacciuffo frammento per frammento
ogni mio minuscolo pezzetto
e riprendo bipede
in silenzio
il mio cammino.
Francesca Romana Rotella, Ciliegie, Edizioni Ensemble, Roma,
2025. Postfazione di Anna Segre
Francesca Romana Rotella (Roma, 1975) si è laureata in lingue e letterature straniere con una tesi sullo scrittore e poeta spagnolo José Jiménez Lozano. Partecipa a poetry slam in locali dei circuiti romani. Con Ensemble ha pubblicato Un rossetto e un taccuino (2023), la sua prima raccolta poetica
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