lunedì 30 novembre 2020

Federico Pinzetta, "Il travestire dei geli", RPlibri


Nel rileggere i versi di questa raccolta, dal titolo originale e spiazzante, mi sorprende la laconicità con la quale il giovane autore, Federico Pinzetta, riesce a sintetizzare i concetti e le riflessioni sull’esistenza, sulla vita, sui rapporti con gli altri e in special modo con coloro che ama, in un modo davvero efficace, anche dal punto di vista stilistico e formale. Laconicità che non è semplificazione o scarnificazione del dettato, bensì al contrario, è potenziale profondo e denso di enunciati e di idee che sottintendono, alludono, allargano ad orizzonti di significati più ampi. Come ad esempio proprio nei primi versi della raccolta, che dicono così: “Una casa in mezzo a un giardino, / le tegole lucenti sotto la luna, / la luna”: quasi un sillogismo, un concetto che ne richiama un altro, fino ad estendere la visione ad uno scenario universale.

Si tratta dunque, a mio giudizio, di una poesia davvero essenziale, dove non c’è posto per fuorvianti giri di parole, ma in cui proprio da questa perentorietà scaturisce fatalmente e sorprendentemente tutto un mondo altro, custodito e misurato sapientemente nel cuore dei versi del nostro ottimo autore.

Lasciamo ora ai nostri amici la possibilità, se lo vorranno, di aggiungere altri graditi commenti, dopo aver letto i brani che seguono.


Se tu non fossi
per questi interni mari ruggine
senza verso verrebbero
navi e
poesie bianche.


***

Negli occhi chiusi di mia madre
riconobbi il sonno del mondo,
poteva essere ognuno,
all’eternità di una memoria
sopravviveva un tramonto
dopo l’altro.
Di nuovo le foglie respirano
non sapendo di nascere
ancora.


***

Nel giro di boa delle mattonelle
sospirano le miserie,
in confronto allo stare
arboreo delle leggende
la botta del supermercato
spalmato sul cemento
raccoglie il ridicolo.
A volte è piangere un pilastro
per il gelsomino o
sputare se stessi.
Nel loro preciso essere nulla
i geli travestono.


***

Aprire le porte,
verso ogni dove spalancate
arie di sensualità odorano
nei miei capelli, le bave della notte
e aldilà di ogni ebbrezza
quella della carne cola
viscidamente dalle serrature, sebbene aperte
non ne arriva mai abbastanza
da entrambi i tropici, a vela
o a nuoto in ogni sogno essi
mi avvengono inesorabili
a seppellirmi in fosse di pelle.


***

Non si può cogliere la pioggia
la vita di questa cosa che cade
è solo nel momento in cui cade
che la goccia è goccia
intanto che è nell’aria.

Federico Pinzetta, Il travestire dei geli, RPlibri, 2020, prefazione di Antonio Bux

Federico Pinzetta è nato a Mantova nel 1996 e studia Filosofia a Verona. Collabora con la rivista di filosofi a “Sovrapposizioni”. Il travestire dei geli è la sua prima pubblicazione.


sabato 28 novembre 2020

Il "Sillabario senza condono" di Giorgia Deidda

 

Di questa silloge della giovane poetessa Giorgia Deidda, i versi che maggiormente desidero prendere come sintesi dell’intera architettura poetica, sono i seguenti: ... perché il dolore ti circoscrive e ti vuole far rimanere / solo, / no, nessuno, solo tu e lui, / compagni di vita, a braccetto come Montale / su un milione di scale / e ad ogni scala una fitta al petto, / e tu cerchi di spiegare ma sei solo, / sei solo, /sei solo. Sono versi tratti dal libro “Sillabario senza condono”, edita da Amazon nel corrente anno, e che segna l’esordio poetico della nostra autrice pugliese. Dicevo, sono versi importanti e significativi, in cui la Deidda concentra, a mio parere, la sua linea poetica, incentrata sulla consapevolezza di essere immersa in un mondo essenzialmente pervaso dal dolore e in cui lei stessa si vede anima e corpo minimi rispetto alla complessità dell’universo; una consapevolezza che denota la sua indubbia maturità ma anche la sua volontà di confutare questo dolore attraverso la poesia; si tratta, beninteso, di un dolore esistenziale, affettivo, il quale però può persino interessare la fisicità del corpo, tanta è la sua intensità. La nostra giovane autrice ha voluto dedicare la sua poesia al fidanzato, Gabriele Galloni, che, come è noto, è venuto a mancare proprio quest’anno. Mai dedica è stata più appropriata, per la coincidenza dei contenuti poetici dei due autori, per la medesima serietà e consapevolezza profusi nel loro percorso creativo. La Deidda aveva nel classico cassetto questo “vulcano” letterario che ora erompe come lava di fuoco dal suo cuore, ma con una misura ben controllata delle parole e dei versi, già da esperta conoscitrice di quella materia lavica che è, in fondo, la poesia.
In “Sillabario senza condono”, titolo alquanto esplicativo, la Deidda sceglie con coraggio da eroina le posizioni e i comportamenti più adeguati per “stare” nel mondo, accettandone, senza condono, tutti i frangenti dolorosi, le perdite, le mancanze, le negatività ma anche segretamente accendendo qualche lume di speranza: "C’è una vita dentro di me. / È l’assenza, non preghiera, delle cose lontane".
È un libro molto denso e articolato, a testimonianza di un percorso affettivo e psicologico maturato da lungo tempo, nonostante la giovane età, e che la nostra poetessa è riuscita ad incanalare nella sua originale espressività poetica con particolare veemenza e determinazione. Anche il suo dettato poetico si mostra deciso e variamente configurato a seconda dello stato d’animo contingente, del tema, del ricordo, della riflessione, e quindi si struttura su brani poetici succinti, a volte allusivi, mentre in altre parti della raccolta i testi sono più lunghi e discorsivi.
Nell’augurare alla nostra brava e giovane autrice Giorgia Deidda gli apprezzamenti che merita nel suo procedere lungo le luminose vie della poesia, proponiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal suo recente libro; i lettori che ci seguono potranno aggiungere ulteriori graditi commenti in merito. 



Radici

Io avanzo perfino immobile
sopra la terra aperta e scopro
che son tutta lavorata e ugualmente
ricca di pioggia.
Non faccio che osservare
dentro la scintilla e nelle cose
che occupano uno spazio
tra le fratture
la gente nuova e quella perduta.
Buona la terra e buono il mare
se oltrepassa la frontiera
o quando – come me –
si lascia attraversare.


***

Tessuti

Da oggi il bianco si riaccende
afferra la spina dell’inesistente,
il mio sillabario senza condono
con abiti uguali tutti gli anni,
ci svia mentre parliamo del vulnerabile
che formiamo.
Specialmente se il vento con dita gelate
mi accarezza il viso.
E lancio un grido d’ombra che il mare,
udendo,
tossisce e trema.


***

Assenza

C’è una vita dentro di me.
È l’assenza, non preghiera, delle cose lontane.
È il guardare la pellicola da vicino
e toccarne gli arabeschi e le intarsiature,
è godere della bellezza nascosta
nelle cose dimenticate,
è guardare
senza rimpianti i propri occhi, è guardare
quelli degli altri senza più paura.


***



A volte vorrei che il mio pianto fosse rispettato,
perché ha una dignità e cresce alimentandosi con le lacrime,
una radice da giardino, si innaffia ogni tanto,
gli si parla vicino per farlo crescere in torrenti mostruosi,
e poi si aspetta che plachi le bufere e i maremoti,
che si dissolva come gocce bagnate uniformate sulle guance,
il viso tutto spettinato, le ciglia pini grondanti d’acqua che ancora scrollano via l’acqua rimasta putrida.
A volte vorrei che si rispettasse il dolore,
che è un semino in potenza ma che spazza via tutto,
anche il respiro
- mamma non sento più niente -
e ti anestetizza il lugubre appiccicaticcio
sulle fronde del cuore, incurante delle carezze
ti butta a terra e gridi strilli
- Signorina la smetta si rialzi -
mi diceva la guardia in ospedale, come se fossi
una bambola da buttare via, o una malata senza speranza,
io vi chiedo di non calpestarlo questo dolore,
che brucia le viscere e buca i polmoni,
così che tu non possa più respirare,
e neanche dire addio,
perché il dolore ti circoscrive e ti vuole far rimanere
solo,
no, nessuno, solo tu e lui,
compagni di vita, a braccetto come Montale
su un milione di scale
e ad ogni scala una fitta al petto,
e tu cerchi di spiegare ma sei solo,
sei solo,
sei solo.

***


Le rotaie sono il mio prossimo treno
rigore del tempo cronometrato nei
segnali orari. Hanno memoria
di un vecchio appuntamento,
un lavoro continuo per pagare
false risate, un pomodoro a fette
sul pane come soglia del mio sguardo,
una domanda lontana si impossessa
di me, sonnambula e trasparente
attorno a questo mio corpo in tante
schegge. Un doppio effetto a cui
non posso pensare, dovevo perdere
prima con un nervoso silenzio.


(Brani tratti dal libro "Sillabario senza condono", di Giorgia Deidda, Amazon ediz., 2020)

Giorgia Deidda è nata a Orta Nova (Foggia) nel 1994. Ha studiato Lingue presso l'Università di Bari.

1994 Orta Nova (Fg) studiato lingue all’università di Bari

sabato 21 novembre 2020

Simone Principe: "Aria pulita al risveglio"

 

Per la rubrica “Proposte in transito”, ho trovato molto interessante un giovane poeta molisano, Simone Principe, seguito ottimamente nel suo percorso letterario dalla compagine di scrittori e poeti che faceva capo ad Amerigo Iannacone, fondatore e direttore della rivista letteraria in lingua italiana ed esperanto “Il Foglio Volante – La Flugfolio” e recentemente scomparso ad Isernia, nel 2017. La particolare dedizione alla realtà poetica molisana ora viene ripresa e continuata da altri amici illustri, come Antonio Vanni, Giuseppe Napolitano, Ida Di Ianni. Le pubblicazioni della EVA Casa Editrice di Venafro continuano ed è appunto questa recente pubblicazione del bravo Simone, inserita nella collana curata da un’altra giovane poetessa di Venafro, Chiara Franchitti, l’oggetto della nostra proposta.

Riportiamo dunque alcune poesie tratte dal libro Aria pulita al risveglio, in cui risalta subito evidente la vena sentimentale del giovane poeta, dichiarata con enunciati poetici sinceri e addolorati. Nei suoi versi riecheggia l’amarezza del distacco, dell’amore ancora rovente, del pudore misurato eppure coraggioso nel tentare di riprendere un nuovo contatto, una nuova relazione: "Io sarò sempre lo scoglio, pronto ad accoglierti in qualsiasi momento nel tuo mare della vita", afferma il nostro autore, con una nota di leggera amarezza, ma con il cuore sempre aperto alla speranza. Una speranza che la sua poesia rende luminosa e colma di attese: il risveglio avrà aria pulita e tersa da offrire al mondo, al poeta.


Radice inestricabile

Chissà quanto dolce sapore
d’aria pulita al risveglio,
quante carezze di sole
dallo spiraglio di una finestra,
che quell’etere puro di te
non lascia passare,
vorrei incantarmi tutta la notte
aspettando la stella
incandescente,
fumo vedo
e penso in un istante a te,
tra le dita lei droga affascinante
quanto mortale,
seduto su di una sedia
vicino alla finestra
ti cullavi portandola alla bocca,
bruciava quanto ora brucia
il mio ricordo di te,
fumo è, ma cenere come concime
il sentimento,
ogni piede messo in quella casa
è un passo di tempo fulmineo
nei ricordi,
udire per poi sfociare
nel buio della mia anima,
bagnato da lacrime
di pura amarezza,
nel comprendere di quanta strada
della mia vita senza te,
per poi trovarmi in quel tempo
voluto da Dio,
stare lì e udirti senza battere ciglio,
neanche una folata di vento,
il cielo tremare
e la pioggia a bagnarmi,
io sarò lì, guardarti in viso,
gli occhi di un sincero bene,
di sofferenze e libertà,
il ramo secco del mio albero
si è fatto polvere,
come fenice che risorge
si è fatta radice inestricabile,
nel mare le onde in tempesta
si infrangono contro uno scoglio,
così il mio ricordo
contro il cuore
che un’emozione ha da provare.


***

Vago

Vago in me,
a cercar modo di cacciarti
e nel pensiero ti infiammi.
Da cocci taglienti,
cola sangue freddo
che dal tuo respiro veniva scaldato,
ed ora si impregna
di lacrime di un blu corallo,
ove sta riposando
sul fondale della nostra età,
un pezzo di noi.


***

Il tramonto nei miei occhi

Il tramonto nei miei occhi
è l’alba nei tuoi.
I tuoi occhi sono primavera,
le tue labbra petali di rosa,
il tuo amore è come il mare,
ove il mio è lo scoglio
su cui ti puoi aggrappare. 

(brani poetici tratti da "Aria pulita al risveglio", Edizioni EVA, Venafro, 2020; prefazione di Antonio Vanni)

Simone Principe è nato ad Isernia nel 1998. Ha frequentato il Liceo Artistico “Giuseppe Manuppella” di Isernia. Sue poesie sono apparse sul mensile letterario “Il Foglio Volante – La Flugfolio”, Ediz. EVA, nella rubrica “L’aquilone” a cura di Antonio Vanni. Aria pulita al risveglio è il suo esordio poetico.


lunedì 16 novembre 2020

DANIELA MATRONOLA, MELAMANGIAI, RPlibri

 



Una forma – la sua simmetria / – appare solo una volta compiuta. / Il coraggio sta nell’incamminarsi / lungo le sue linee”. È il testo poetico che appare in quarta di copertina del libro “Melamangiai”, di Daniela Matronola, pubblicato da RPlibri nel 2018. Un brano poetico breve, quasi un aforisma, ma intenso e, come ogni buona e vera poesia, indicatore/rivelatore di un concetto originale e propositivo.

Mi piace iniziare questa nuova rubrica di segnalazione di testi poetici e di altra natura letteraria, per il sito “Transiti Poetici”, con questa raccolta della poetessa e scrittrice Daniela Matronola, riportando qui di seguito tre brani poetici tratti dal libro, e dai quali già è possibile confermare la grande cura che l’Autrice pone nel fare poesia e l’importanza che la parola poetica deve assumere nel progetto poetico complessivo.


Questo fruscio nei rami
questa mano lieve sui fiori
questo soffio leggero
questa carezza dolce
questo sguardo delicato
questa tenera accuratezza
questa cura di noi

è la parola dei poeti

la parola dei poeti

è piana e lineare
è come un respiro
è una boccata d’aria
è fiato fresco
è vento pulito
è ruscello e corrente
è capovolgimento


***

Detesto chi declama i poeti a memoria,
chi si fa scudo delle parole dei poeti

per dare a intendere che per osmosi può
calarseli addosso come mantelli di gloria.

Mi urta la prosopopea dei soloni vanesii
che sproloquiano come testi ambulanti.

Versi a memoria ne ricordo pochi, e sono
a corto anche di parole di canzoni.

Mi muovo per approssimazioni, però poi so
dove andare a ripescare. Preferisco rileggere.

E lo dico proprio a te, poeta invernale eppure
non gelido: ingenuamente, col candore di

un bambino, ti riempi la bocca del blank verse
dell’anglo-bardo, dicono siciliano, eppure

non hai visto la mia poesia


***

Dalla lingua della Legge
ho imparato un trucco:

tutte le parole dette, le cose nominate,
sono tutte indicate perché mancano.

Il Preambolo toccante della Dichiarazione
di Indipendenza tocca tre punti: vita, libertà,

e la ricerca della felicità. La vita non era
assicurata, la libertà non era scontata,

la felicità è la chimera d’ogni essere vivo.
Dirlo è porlo come questione, vitale bisogno.

Opere omissioni parole e pensieri.
Auguri sinceri uguale falsi auguri

Daniela Matronola, nata a Cassino, lavora alla propria letteratura da molti anni, su quasi tutti i fronti: racconto, romanzo, traduzione, critica su rivista, poesia. Ha anche tenuto corsi sulla poesia italiana a studenti americani alla LUISS e di scrittura in versi per la Scuola di Scrittura Creativa OMERO, prima in Italia (a parte le lezioni milanesi di Giuseppe Pontiggia). Ha vinto qualche premio, per il racconto, per la poesia e per il romanzo.

Daniela Matronola, Melamangiai, RPlibri, 2018

 https://rplibri.com/




sabato 14 novembre 2020

Le poesie "controcorrente" di Fabio Dainotti

Poesie controcorrente è la recente raccolta poetica di Fabio Dainotti, pubblicata dalla Biblioteca dei Leoni lo scorso mese di luglio, con prefazione di Paolo Ruffilli. Partendo dall’assunto che il titolo di una raccolta è, in qualche modo, già molto indicativo riguardo al tema dell’intera opera, mi sono chiesto cosa l’Autore volesse significare con il termine “controcorrente”. Si tratta di una presa di posizione poetica, filosofica, comportamentale? Si tratta di una poetica che, in un certo modo, esula dai canoni convenzionali in base ai quali una poesia può definirsi tale, per forma, stile, struttura e persino per contenuti?
Ma leggendo, anzi “osservando” più attentamente la copertina del libro, ho notato subito che, sotto al titolo, il termine “controcorrente” è riscritto come se la parola fosse stata riflessa da uno specchio. Concentrerei quindi su questo particolare del libro la mia breve attenzione, in quanto mi piace ritrovare “tra i versi” di un autore, lacerti di idee e di figurazioni che a volte esulano dal discorso principale proposto: la poesia, specie quando è intensa e propositiva, offre sempre diversi spunti di riflessione, diversi percorsi da seguire partendo dalla cima, cioè dalla apparenza più significativa e ovvia che si può evincere dal testo, fino a specificare linee parallele di intendimenti: un po’ come scendere dalla cima di una montagna percorrendo i vari sentieri lungo le pendici fino a valle.
In questo senso, vedo in questa recente raccolta di Fabio Dainotti un tentativo ben riuscito di fondare il suo discorso poetico su un accentuato andamento dal grande al piccolo evento. Controcorrente, appunto, perché di solito la poesia parte dall’elemento minimo per poi giungere ad una generalizzazione del concetto o dell’argomento trattato. Qui invece Dainotti si “addentra” nella poesia, come aprendo di volta in volta le fatidiche scatole cinesi, verso dopo verso, fino a raggiungere un minimo elemento, il granello di verità o di novità finale. Ad esempio, nella poesia “La passeggiata”, a pag. 29, il poeta parte da un panorama ampio come può essere un viale alberato di Milano, inondato dalla luminosità di una giornata di giugno, per terminare con il particolare dell’immagine delle signore che sfilavano eleganti / con ombrellini al braccio: il tutto si concentra in questi due versi finali, tutto il mondo sembra puntualizzarsi nella stereotipia e nell’ovvietà di gesti e abitudini formali, che davvero sembrano prendere il sopravvento sugli aspetti più sostanziali e urgenti, meritevoli di maggiore attenzione al fine di dare un senso alla nostra esistenza. Ma tant’è! Il discorso esistenziale, in Fabio Dainotti, è appunto evidenziato ottimamente, quasi per “contrappasso”, “controcorrente”, se vogliamo, quando il poeta ci mostra, tramite i suoi versi, un mondo minimale, ridotto a pochi tratti essenziali, quotidianamente ripetitivi e ovvii, specie nell’ambito affettivo: “… Il giorno dopo udii cigolare / il divano di là: qualcuno forse / tentava di abbracciarti. / Ti sentivo ansimare, / ma poi: C’è lo studente! mormorasti. / Certo non ero l’unico / uomo della tua vita” (pag 54). Ma la potenza della poesia di Fabio Dainotti sta proprio in questo segreto nascosto generalmente negli ultimi versi: uno stato piatto, usuale, consono alle prospettive di una società omologata e omologante; ed è da questo stato minimo, visto “controcorrente”, che è possibile, una volta provato e vissuto, il riscatto e la riconquista di cieli più elevati, la riconsiderazione di una mentalità e di una esperienza più ampie, partendo dalle piccolezze e dagli errori che la società consumistica a volte induce a commettere. Fabio Dainotti è dunque testimone di questo stato minimo, come afferma anche Paolo Ruffilli nella sua dotta prefazione, e la sua poesia ne è cartina al tornasole, indicandone e quasi denunciandone le particolarità, ma nello stesso tempo, come ho già ribadito più sopra, ne indica l’uscita verso orizzonti più vasti. E dunque il dettato poetico di Fabio Dainotti, in questa raccolta, è aderente a tutto ciò, mostrandosi essenziale e diretto, non privo di una certa ironia.
Ma lasciamo ora ai nostri lettori il compito di aggiungere, se lo vorranno, altre gradite riflessioni o commenti in proposito, dopo aver letto il libro o anche i brani che qui di seguito proponiamo.


In visita

Quasi ogni giorno venivo a trovarti
nella casina bassa,
affondata tra il verde dei cespugli;
legavo il mio cavallo
alla grata di ferro del giardino.

Tua madre ti adorava,
impressionata da tutti i tuoi libri
colorati sopra gli scaffali;
tu, però, la trattavi sempre male.

Rimaneva stupita del mio arrivo.
“Quest’umile casina, disse un giorno,
non è adatta nemmeno come stalla
per il cavallo del tuo amico Fabio.”

(dalla sezione “Strani amori”)


***

La passeggiata

La littorina fermava
in un viale alberato di Milano;
era giugno, la luce dilagava.

Vimercate: fermata in pieno centro,
tra un’edicola in fiore di giornali
e il chiosco per la musica d’estate.

Le signore sfilavano eleganti
con ombrellini al braccio.

(dalla sezione “Figurine”)


***

Vittoria o della gelosia

Si chiamava Vittoria: lui non so
più. Venivano i due da Milano;
lui smilzo e alto, lei con un bel seno
sotto il succinto costume da bagno.

Così la trassi dietro una cabina
e l’abbracciai. La spiaggia era dorata.

Ma non gradì per niente la mia fidanzata,
che, furibonda, parlava di un torso.
Il forestiero non la comprendeva,
la guardava, la bocca semi aperta;
allora lei, nervosa: “Il torso, quello
che… si mangia la mela e poi si butta”:

(dalla sezione “Un amore”)


***

Una chiesa laggiù

C’è una chiesa laggiù, ci si arriva
da un vicolo in discesa, che costeggia
un giardino alberato con le aiuole.

C’è uno zampillo chiaro nel giardino,
che canta una sua canzoncina,
di sole quattro note,
ma vorresti ascoltarla sempre, sempre.

È l’acqua primordiale della nascita,
che ti culla e ti invita ad annullarti,
come una macchia, nella nuda terra.

(dalla sezione “Amor sacro”)


***


Dopo l’amore

“M’hai svegliata”, dicesti, dilatando
gli occhi, dopo l’amore.
“Ti amo”, dissi io, studentello inesperto;
ma tu, diretta, senza orpelli: “Io no!”

Il giorno dopo udii cigolare
il divano di là: qualcuno forse
tentava di abbracciarti.
Ti sentivo ansimare,
ma poi: “C’è lo studente!” mormorasti.
Certo non ero l’unico
uomo della tua vita.

(dalla sezione “Racconti in versi”, dittico per Agostina locandiera)

Brani poetici tratti da Poesie controcorrente, di Fabio Dainotti, Ediz. Biblioteca dei Leoni, 2020, prefazione di Paolo Ruffilli.

Fabio Dainotti (Pavia 1948), presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana, di cui è stato per anni presidente e direttore, condirige l’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Ha pubblicato di poesia: L’araldo nello specchio, prefazione di Francesco D’Episcopo, Avagliano editore, 1996; La Ringhiera, prefazione di Vincenzo Guarracino, Book, 1998; Ragazza Carla Cassiera a Milano, Signum, 2001; Un mondo gnomo, Stampa alternativa, 2002; Ora comprendo, prefazione di Luigi Reina, Edizioni Scettro del Re, 2004; Selected poems, Gradiva, 2015; Lamento per Gina, prefazione di Sandro Gros-Pietro, Genesi, 2015 (Primo premio “I Murazzi” con pubblicazione premiale gratuita); in edizione bilingue Requiem for Gina and other poems, prefazione di Enzo Rega, Gradiva, 2019.  Ha collaborato a numerose riviste di settore (tra cui “Capoverso”, “Misure critiche”, “Gradiva”) ed è presente in molte antologie. Ha tenuto reading di poesia in Italia e all’estero. Come conferenziere, ha parlato su argomenti di letteratura e di interesse dantesco e commentato canti della Divina Commedia. Il mensile “Poesia” si è occupato criticamente della sua opera e su RAI TRE sono apparsi servizi su eventi da lui promossi. Ha curato la pubblicazione presso Bulzoni de Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco (2010). 




domenica 8 novembre 2020

Le "Radici" di Antonietta Cianci



Il richiamo dei luoghi di origine, dove si è venuti al mondo, specialmente quando si cambia ambiente e città, è sempre molto forte, e facilmente fa insorgere nella persona che si è dovuta allontanare, per motivi di lavoro, familiari o altro, sentimenti di nostalgia e ricordi commoventi, che riempiono lo spazio del cuore e dell’anima nei momenti di rilassamento e di riposo. Mi vengono in mente a tal proposito i versi intensi e addolorati che Quasimodo rivolgeva alla madre, la sua dolcissima mater, dopo il suo trasferimento per lavoro nelle terre di Lombardia. 
Radici che legano affettivamente e culturalmente ognuno di noi quando si trova lontano, radici che nutrono il cuore con immagini e ricordi indelebili, perché è nei luoghi natii che l’esperienza di vita comincia a consolidarsi e ad attorniarsi di valori genuini e fondamentali, imprimendoli nella mente e nell’anima per sempre.
Ma per parlarne in modalità artistica e letteraria, non basta il semplice ricordo. Ognuno di noi può raccontare, attraverso l’arte, per esempio con disegni, aneddoti, storie, racconti, dipinti, il proprio vissuto, le proprie origini, il paesello o la città dove è nato, le proprie vicissitudini familiari, e quant’altro legato alla propria infanzia o gioventù. L’arte, e nel nostro caso la poesia, è una ottima opportunità per esprimere la lontananza, le radici, i ricordi, ma naturalmente bisogna che ci siano gli elementi fondamentali perché il ricordo, il racconto, l’immagine, possa definirsi davvero opera d’arte. Non basta raccontare, scrivere versi di ricordi (o ricordi in versi), per poter dire che ciò che si è scritto è davvero una poesia, una poesia che contenga ed esprima il dolore, il patimento, l’immediatezza della visione, e lo stile, la forma armonica e melodica con la quale si dicono le cose; Quasimodo può esserne un esempio altissimo, da tenere a riferimento.
Tutto questo preambolo, per dire che Radici di Antonietta Cianci, aderisce senz’altro ai canoni di una poesia del ricordo, di una poesia che rievochi e riproponga i luoghi e i tempi di un vissuto fortemente intriso di quei valori indissolubili che formano la personalità, culturalmente e affettivamente, come più sopra affermato. La piena aderenza a queste modalità, nell’opera poetica di Antonietta Cianci, si evidenzia in tutti i brani della silloge nella quale, come afferma anche l’ottimo prefatore prof. Carmine Cimmino, suo conterraneo, Antonietta Cianci sa “costringere” le parole a rappresentare con immediatezza tutta la sua potenza visionaria.
Ed è proprio grazie allo spessore delle sue parole poetiche, che la nostra autrice riesce a rendere le figure, i ricordi, gli stati d’animo e i momenti più significativi legati alla sua terra d’origine, Napoli, aderenti ad una modalità lirica di grande efficacia e coinvolgimento emotivo, assolvendo in tal modo al compito che ogni poeta, e ogni poesia, deve svolgere: coinvolgere/sconvolgere direttamente la sfera emozionale del lettore, inducendolo a riflettere sul tema ma anche interessandolo e gratificandolo sul piano estetico, interiorizzando con la lettura o con l’ascolto diretto dei versi, il loro ritmo, la loro armonia, le loro immagini e allusioni sottintese.
Radici di Antonietta Cianci è dunque, giustamente, un bellissimo canzoniere, come ribadisce il Cimmino, dedicato alla sua città natale, Napoli, ma grazie all’intensa poesia che ne veicola i quadri emotivi e le memorie, è anche una raccolta omogenea di versi che intelligentemente e liricamente attualizzano e incarnano riflessioni e progetti futuri di vita, di amore e di speranza: con nel cuore e nell’anima le radici fondamentali, questo è un viaggio sicuramente proficuo e felice, e la poesia di Antonietta Cianci ne è il tramite più indovinato.
Riportiamo qui di seguito alcuni brani del libro della Cianci, augurandoci che i nostri lettori vogliano aggiungere altre interessanti e gradite riflessioni in merito.




Vorrei insegnarti
ciò che il limite del tuo sguardo
impedisce:
i toni del mio umore
quando l’azzurro
pian piano si addensa
nel blu notte
e incupisce
o quando il rosso digrada
in arancio e intiepidisce in giallo.

E quando i miei colori
ti diventano chiari
prendimi per mano
e portami al riparo.
Portami a Napoli
in mezzo alla gente
tra l’umanità più calda e più vera
portami a Miseno
di notte
a guardare il golfo
e parlami di Ischia.
E appena le luci dell’alba
mi rischiarano il volto stanco,
andiamo via
portami a sentire l’odore del tufo
e della terra dura sul Vesuvio.
E salvami.
Salva i miei colori più belli
tienili con te
tienili per me.

Non è tanto diversa un’alba
da un tramonto
Il principio e la fine
confinanti e legati
le luci e i colori
che riscaldano
e portano pace.

E oggi che cammino
tra le pieghe dell’età adulta
in questa crisi della quarantina
passando per luoghi che non mi fermano
e tempi
che sfuggono e non combaciano
non so se sia alba
o tramonto
il vivere dolorante

Ma nelle mattine di agosto
silenziose e sonnolenti
seduta sui balconi della mia infanzia
io mi ricordo
chi sono.
Alba e tramonto insieme.


***


Napoli è silenziosa
così a novembre
di domenica mattina
quando il cielo è grigio e gonfio di pioggia
E lo scirocco sfiora le mani e il volto stanco

Qui nella stazione piena di valigie addormentate
colma degli sguardi malinconici di chi parte
e forse non vorrebbe
Qui e oggi Napoli è silenziosa
come una madre solitamente chiassosa
che tace accanto alla figlia spaventata
sentendone l’angoscia
proteggendone il dolore. 


***


Lungo la riva buia
della marina deserta
in quel lembo di golfo
dove la brezza di terra
accompagna l’alba

lungo il tragitto dei ricordi
affiora
un filo di luce lunare.

E tu mezzo morto
sotto il peso della notte insonne
a passi faticosi e inquieti
cerchi l’errore
l’abbaglio
il come e il quando
hai perduto
i tuoi giorni migliori
il come e il quando
hai perduto
me e la mia parte migliore.


***


Vorrei, amore mio,
che tu venissi a prendermi
e mi portassi a Napoli
stringendomi la mano
attraverso i quartieri
che sanno di calore e di passato
lungo i muri
che odorano di tufo e di ricordi.

Vorrei che tu fermassi
questo lungo camminare
il mio andare senza sosta
senza meta.

Vorrei trovare pace
quella che sale dalle viscere della nostra Napoli
che parla di silenzi
con la lingua del rumore. 


***

Rimane
nel caos informe
un ordine invisibile
la linea retta
la curva
che diventa cerchio
e trasmuta in sacro.

E a quel disordine
somiglia il mio viaggio
alla ricerca della forma
della retta che tranquillizzi
del cerchio che mi contenga.
Cercare nelle profondità del mio disordine
un ordine per fermarmi.
E stare.


***


È la pioggia
che scende insistente
per giorni e giorni
senza spiragli
È l’aria grigia
negli occhi e fin dentro dell’anima
È il silenzio immobile
che pietrifica il pensiero
l’umanità dissolta
lo stagno dove mai un sasso viene scagliato.

La pioggia, l’aria, il silenzio, lo stagno, l’umanità
sommersa… tutto mi parla di fuga.

(Brani tratti da Radici, di Antonietta Cianci, Transeuropa Edizioni, 2019. Nota introduttiva del prof. Carmine Cimmino)

Antonietta Cianci è nata nel 1980 a Napoli. Dopo essersi laureata in Lettere Classiche ed aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento, si è trasferita a Bergamo, dove attualmente vive e lavora come docente. Questa è la sua prima raccolta poetica.


Alda Merini vista da Ninnj Di Stefano Busà