sabato 22 giugno 2024

Le "DiStanze" di Marco Petruzzella

Inizia bene la sua proposta poetica in questa raccolta, il milanese Marco Petruzzella, affidandosi in esergo alla famosa poesia ungarettiana “Commiato” indirizzata all’amico poeta Ettore Serra. È proprio su questa definizione, infatti, che il nostro autore fonda il suo progetto poetico di “DiStanze”, ponendo l’accento sull’importanza della poesia e in particolare sullo spessore poetico che la stessa parola assume nel contesto.
Ne consegue un progetto robusto, realizzato utilizzando il gioco di parole sottinteso nel titolo: DiStanze, che offre subito una doppia interpretazione a seconda che si legga tutta la parola insieme, o che si voglia specificare un contenuto poetico allocato in sedi (stanze) opportune, che siano materiali o scomparti di tipo affettivo o psicologico.
È vera pertanto la prima interpretazione, “distanze”, se consideriamo il punto di osservazione dell’autore, che cerca di prendere le distanze, diciamo così, da una realtà circostante che non risponde a quelle prerogative di umanità e di socialità che avrebbe desiderato, peraltro condivisibili da tutti. È una società infuocata, eccessivamente materializzata, calcificata, compartimentata, quella descritta nei versi di Marco Petruzzella, che non concede spazio a sentimentalismi e ad armonie naturali: “Sono infuoco oggi. / Quanti e quanti attorno. / Milano è / la luce, infuoco;”… Sembra non ci sia scampo, in questo groviglio di mattoni e cemento, di cantieri edilizi con gru che invadono il cielo, di folle senza meta, e non c’è possibilità di rivedere il passato, più a misura d’uomo, più dolce e ricco di emozioni: “Dov’è il vicolo sterrato / che ha visto passi bambini… / Le sedie fuori dai negozi, / i rapidi ghiaccioli verdi, / il ciabattino curvo, / i sassolini; dov’è / ieri”…
Ma è plausibile anche, contemporaneamente, la seconda ipotesi interpretativa, e cioè “di stanze”: qui la stanza è metaforicamente il luogo in cui racchiudere i tesori e le valenze disperse o addirittura denigrate dalla infuocata società attuale di cui sopra; un punto d’osservazione consapevole e responsabile, al limite della denuncia, perché il poeta ha pure questo compito, in quanto la poesia è verità e limpidezza, è parola che scuote, che scava e che sveglia, indica la giusta strada, il percorso giusto da seguire per migliorare e migliorarsi (e qui torniamo all’esergo ungarettiano!...). Ritornare dunque non a Itaca, come declama il nostro autore, cioè non vivere la realtà stereotipata e guasta come quella attuale, bensì cercare di ricostruire un mondo migliore “stolti dai segni / di una vita trascorsa.
Una raccolta intelligente e propositiva, con brani poetici che incidono e coinvolgono, anche grazie al frequente uso di neologismi.

Riportiamo qui di seguito alcuni brani tratti dal libro. Sono graditi commenti da parte dei nostri lettori.


Milano

(06/09/96) 

 

Sono infuoco oggi.

Quanti e quanti attorno.

Milano è

la luce, infuoco;

mai il mio io

così poco londrico.

Srotolo pensieri.

Vorrei essere

più alto per guadare lì,

più in basso

le loro menti.

La gente piroetta

nel mio stomaco felice;

ha scavalcato fanghi biblici,

sembra plasmata nel neon.

Infuoco e amo

questa città.

Luminescente stella viva!

[a Milano]

 

*** 

 

Ieri

(La nostalgia)

 

Dov’è il vicolo sterrato

che ha visto passi bambini.

Il cielo della fantasia,

distratto dai tuoi occhi avidi.

Le sedie fuori dai negozi,

i rapidi ghiaccioli verdi,

il ciabattino curvo,

i sassolini; dov’è

ieri

 

 ***

 

La luce accesa

(La morte)

 

È marmo e d’alberi

prossimi al cielo

figli della terra

è terra;

Talvolta sangue, baci e carezze.

È la mano tremante,

è nenia è ninnananna;

Quando non c’è

più nessuno

che lascia

la luce

accesa.

 

 ***

 

Itaca

 

Rinunciare all'idea pavoneggiata

rinunciare all'onda

dedicare inciampi

valutare appetiti ancestrali

sminuire dolori solari.

A tutto questo

possiamo tragicamente approdare

stolti dai segni

di una vita trascorsa.

Non voglio

affatto

sbarcare

ad ITACA

 

 ***

 

Reminder

 

Ricordi il terrazzo

prima del sogno

del sole di marzo?

Ricordi mia forza, mio sempre

mia sola amica,

lo sciocco insolente cavaliere?

E ti davo da mangiare le ciliege

e sorridevi

e salvavamo assieme

le allodole smarrite

dagli specchi assassini del futuro!

 

 ***

 

La gru

 

E perché mai

Una gru dell’edilizia

Col cielo vicino

appare epoca, evocazione,

tempo dolce?

Totalmente estraneo l’auspicato futurismo

moderno materialissimo

Credo sia il cielo

Sono quasi certamente dubbioso

Anche il fracasso di una betoniera

se mischiato alla nebbia e

al capriccio di un bambino

col loden verde degli anni di piombo

avrebbe restituito

lo stesso significato

Avrebbe strappato il momento

Fagocitato dall’innaturale e sconosciuto

slime

I bambini non giocano più in cortile

E finalmente chissenefrega.


Marco Petruzzella, DiStanze, Edizioni Progetto Cultura, 2020, Prefazione di Oreste Castagna.

Marco Petruzzella nasce a Milano nel 1972. Consulente aziendale per professione, artigiano della poesia per vocazione. Attivista per i diritti umani per anni in Italia e all’estero. Ha pubblicato in antologia con Robin Edizioni nell’ottobre 2023; di prossima pubblicazione un suo racconto per ragazzi.
DiStanze è la sua opera prima.


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